Verona, 25 maggio 2014
Carissimo papa Francesco, Vescovo di Roma e Primate dell’unità delle Chiese e Bartolomeo, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli,
Sono un monaco benedettino che cerca di vivere la sua fede e la sua esperienza monastica come pellegrino insieme agli impoveriti della terra. Don Helder Camara, vescovo che mi ha ordinato e maestro di vita, mi ha indicato da sempre, fin dal primo giorno, la strada dell’unità come via maestra per ritornare al primo amore. Le ultime parole che ho ricevuto da lui, dieci giorni prima di morire e che ho accolto come una consegna sono state: “Non lasciare cadere la profezia!”.
In questo spirito, mi permetto di scrivervi questa lettera aperta a partire del vostro pellegrinaggio alla terra di Gesù.
Vi ringrazio molto per questo gesto profetico. Riprendendo l’incontro fraterno tra il papa Paolo VI e il patriarca Atenágoras in Gerusalemme, state dando un nuovo segno d’unità tra le Chiese dell’Oriente e la Chiesa Latina. Il vostro incontro in Gerusalemme ci ricorda il primo incontro dei discepoli di Gesù che ha segnato la più profonda apertura della Chiesa ai gentili (At 15). In questa chiave, ringraziamo profondamente per il dialogo semplice, umano e amorevole che papa Giovanni XXIII e il patriarca Atenágoras avevano saputo sviluppare con l’umanità e che voi avete ripreso e attualizzato.
50 anni fa, il papa Paolo VI e il patriarca Atenágoras hanno compiuto il gesto di revocare le reciproche scomuniche. In tal modo, essi hanno liberato le loro Chiese da un peso del passato che li aveva reso le Chiese ostili e incapaci di riconoscere reciprocamente i segni del Risorto. Ora, se loro hanno avuto il coraggio di liberare il passato, noi vi chiediamo il coraggio di liberare il futuro. Questo significa la possibilità di non solo togliere gli ostacoli al dialogo, ma di fare del dialogo la forma permanente de nostro essere Chiesa. Se a partire di questo viaggio, voi potreste scrivere e firmare insieme qualche messaggio al mondo condiviso tra voi, tutti vi ringrazieremo per questo segno di unità nel ministero di Cristo.
Voi andate a pregare in Betlemme presso al luogo della Natività, in Gerusalemme nel Cenacolo e nel Santo Sepolcro.
Se Betlemme ci ricorda l’atto della nascita, ricorda anche a noi la possibilità di rinascere. Questo gesto ecumenico del vostro pellegrinaggio ha il sapore di una possibile rinascita, cioè, di riaprire l’orizzonte indicato dal papa Giovanni di tornare alle sorgenti della fede. Tutte le Chiese cristiane aspettano molto dal Concilio Panortodosso che l’Ortodossia sta preparando. Cosi anche dallo stile di maggiore sinodalità che il papa Francesco propone alla Chiesa Latina. Tutti speriamo che ciò possa aiutarci a riprendere la prassi ecclesiale dei primi secoli del Cristianesimo.
A Gerusalemme, il Cenacolo ci ricorda la parola del patriarca Atensgora: “L’unica vera teologia che può guidare le Chiese è la teologia eucaristica.” (…) “Il luogo dove non vi è più separazione, ma soltanto il grande amore, la grande gioia è il Calice, il santo Graal, nel cuore della Chiesa”. Sarebbe bello vedere il vescovo di Roma e il patriarca di Costantinopoli, pubblicamente, lavarsi reciprocamente i piedi, testimoniando cosi la reciproca fonte del loro servizio. Questo gesto indicherebbe un passo nuovo nel cammino ecumenico di tutte le Chiese. Perché questo avvenga, sarebbe importante che la Chiesa Cattolica decidesse di entrare a pieno titolo nel Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Tutti noi cristiani vogliamo essere con voi nella preghiera presso il Santo Sepolcro. In realtà, non si può negare che nei secoli la pietra del Santo Sepolcro sia stata trasformata in una pietra di scandalo. Il luogo della comunione e della donazione della vita offerta per amore è diventato luogo di violenze e guerre. Per questo, è urgente una profezia nuova di solidarietà alle vittime delle violenze di oggi. Pensiamo concretamente al popolo palestinese, sotto occupazione militare e nuove forme di colonizzazione. In comunione con la parte delle comunità ebraiche a cui sta a cuore la pace e la nonviolenza, aiutate il mondo a svelare l’oppressione che soffre il popolo palestinese.
Noi crediamo che accanto alle orme dei vostri piedi ci saranno sempre in questo pellegrinaggio anche le orme dei vostri predecessori Paolo VI e Atenagoras. C’è infatti una profonda relazione tra il visibile e l’invisibile, tra il già e il non ancora. Se, un giorno, le nostre Chiese, aldilà della prassi attuale di canonizzazione, potessero riconoscere reciprocamente i propri santi, come anche quelli delle altre Chiese cristiane e delle diverse religioni in quanto giusti dell’umanità e testimoni dell’amore universale, si potrebbero venerare in una comune liturgia uomini come Atenagora e Giovanni XXIII.
Vi pensiamo come pellegrini di Emmaus che tornano verso Gerusalemme. Il vostro cuore arde nel cuore del mondo, le vostre domande al pellegrino risorto interpellano tutti noi e il vostro scrutare insieme le Scritture danno una nuova luce ai nostri occhi. Nella speranza di spezzare insieme a tutte le Chiese il pane della comunione, preghiamo con voi l’invocazione evangélica: “Rimani con noi, Signore, perché si fa sera”.
Nella gioia della nostra comunione, vi domando la vostra preghiera e la vostra benedizione,
il vostro servitore minore,
il fratello Marcelo Barros