Carissima, Carissimo,
“Non lasciare cadere la speranza”, terminava con questa esortazione l’ultima conversazione tra il vescovo dei poveri, Helder Camara e Marcelo Barros, benedettino brasiliano, noto biblista, compromesso con le pastorali sociali, dieci giorni prima che Helder morisse. La speranza é quella che ci consente di non deprimere il nostro sguardo sotto l’orizzonte cupo dei tempi che stiamo attraversando. E’ la forza che ci fa levare il capo oltre l’ostacolo. Quella siepe che sembra oscurare e negare le infinite possibilità della vita.
Le guerre e la crisi economica, così come le devastazioni ambientali, non sono catastrofi naturali, ma artificiali. Sono provocate da noi uomini, per colpa dei quali milioni di esseri umani muoiono.
Nei mesi di aprile-maggio ho incontrato Frei Betto, Waldemar Boff, Aleida Guevara e lo stesso Marcelo Barros, con i quali mi sono intrattenuto in lunghe conversazioni. Dal 25 al 27 aprile, insieme a molti di voi ho vissuto la presenza di tanti amici e ascoltato relazioni dei nostri tanti referenti dei loro progetti durante il nostro 25° convegno delle Rete, dove abbiamo fatto memoria e, ascoltato le relazioni dei tanti testimoni, che ci hanno indicato vie per un “reale cambiamento”. Adesso si tratta di fidarsi e affidarsi alle loro tante proposte, spesso grondanti di sofferenza, dolore e sangue. Vivendo con i piedi ben piantati su questa terra, alzare lo sguardo, non per aria, ma davanti a noi, ai nostri lati e dietro di noi, vedendo e sapendo leggere la realtà nella quale siamo, mettere in moto la nostra intelligenza per agire facendo il bene effettivamente praticabile.
“Non lasciatevi rubare la speranza” pronunciava il 24 marzo 2013 papa Francesco, nel giorno dell’anniversario dell’assassinio di mons. Oscar Romero. Come invocazione a trovare un nuovo equilibrio, uscendo dal castello di carte che imprigionano, che fanno perdere la freschezza, il profumo e la primavera del Vangelo.
In definitiva è chiedere alla sua Chiesa di scendere dal piedistallo della sua autorevolezza, di smettere l’armatura del dottrinarismo del giuridicismo e del devozionismo, in una sola parola, liberarsi del clericalismo. Una chiesa che si spogliasse della ricchezza e del collateralismo con il potere, che uscisse da sé per rivolgersi al mondo con l’atteggiamento di misericordia che il Concilio aveva inaugurato. E che, come ricordava Frei Betto nelle sue conferenze, gli ultimi due papati, 34 anni, lo hanno chiuso nel “congelatore”.
La speranza, quella autentica, non può essere legata agli indici della Borsa, agli andamenti dello Spread o alle percentuali del PIL (prodotto interno lordo): ma deve essere radicata nella passione della ricerca della giustizia da parte di ogni donna e ogni uomo.
Papa Francesco ha cominciato a fare la riforma del ruolo del Papato prima di fare la riforma della Curia. E questo é segno di alta intelligenza e di spirito francescano, ma adesso tocca alla Curia, definendo così una chiesa dei poveri, con i poveri e povera. Più semplice, più legata al popolo, legata alla natura e che sente tutti gli esseri come fratelli e sorelle. Ma attenzione: un uomo solo al comando no funziona. E’ utile, necessario, fondamentale che le comunità inizino veramente a introiettare e vivere il messaggio di Francesco, altrimenti sarà tutto inutile. Sappiamo quanto sia difficile per chi ha il potere: riformarsi, lasciarlo.
A quando: più potere, più servizio?
Antonio
Segue adesso una riflessione inviataci da Erri De Luca
La Terra Europa
L’Europa non è una nave e non corre pericolo di arrembaggio da parte di pirati. La sua vulnerabilità è tutta interna. L’ Europa è una cucina e occorrono tutti i suoi ingredienti. Primo di questi: il flusso migratorio, contro il quale è inutile il filo spinato. Muri e mari non servono a scacciare. Neanche la pena di morte servirebbe: l’affrontano già.
Sono flussi che rinnovano nascite, energie produttive, forze lavoro. I nostri politici preferiscono chiamare “ondate” questi spostamenti. La parola vuole suggerire alla terraferma il bisogno di proteggersi dalle inondazioni. Ma gli esseri umani hanno la proprietà fisica dei solidi, che possono affondare ma non evaporare. Con “ondate” i nostri politici si procurano qualche consenso elettorale sfruttando il sentimento della paura. Ma la storia d’Europa è gigantesca per il coraggio, per l’esplorazione dell’ignoto, perché visionaria, non perché impaurita e miope.
L’ unione europea deve accorgersi che la sua origine è Mediterranea. Deve alle sue correnti la diffusione del vocabolario, delle arti, delle religioni. Deve al Mediterraneo anche il nome Europa. Il peggiore sbaglio e il maggiore limite è ridursi a un’espressione economica, al territorio, o peggio alla zona, dell’euro. Ma Euro è l’antico nome greco del vento di Sud Est. Sud più Est: sono i due punti cardinali responsabili della civiltà europea.
Euro è un vento, non una banconota.
Oggi alcune tensioni superficiali spingono contro la moneta unica per tornare a stampare a volontà il biglietto locale. Questa spinta di scarso significato politico, ne assume uno strategico, da “Finis Europae”, proprio perché lo stato dell’unione si misura sui minimi termini di una moneta in comune.
Il primato del mercantile sul politico rende il patto Europa inefficiente. Il suo Parlamento è un parcheggio di lusso per politici con carriera scaduta in patria.
Se l’Europa è l’ euro, allora è una fiche lanciata su un tavolo da gioco.
Se il valore Europa è la valuta euro, allora l’unione è una qualunque impresa commerciale e può fallire.
Antidoto a questo cedimento non è l’ abbassamento del traguardo, ma il suo innalzamento: non una riduzione delle aspettative, ma il rilancio dell’ideale fissato dai padri fondatori.
Nei secoli passati la religione cristiana si è spesso ridotta a compravendita di favori, indulgenze, benefici. Ne è uscita risalendo puntualmente alle origini della parola sacra.
Lo stesso rimedio serve all’unione europea. Risalire alla sua origine di ceneri e macerie, da dove partì il riscatto e la ricostruzione.
Voglio immaginare che sarà così. Voglio immaginare i suoi atleti partecipare alle Olimpiadi sotto una sola bandiera, ascoltare una musica scritta per il secondo tempo della Terra Europa.
Erri De Luca