di Fabio Marcelli | Il Fatto Quotidiano 17 settembre 2014
Il sistema educativo cubano è il migliore dell’area latinoamericana e dei Caraibi. Non lo afferma qualche polveroso bollettino veterocomunista ma l’istituzione guida del neoliberismo internazionale, la Banca mondiale. Secondo un recente rapporto dell’istituzione in questione, Cuba possiede un corpo docente di alta qualità e presenta parametri elevati, un forte talento accademico, retribuzioni adeguate ed elevata autonomia professionale, al pari di Paesi rinomati in questo senso a livello mondiale, come Finlandia, Singapore, Cina (in particolare la regione di Shanghai), Corea, Svizzera, Paesi Bassi e Canada.
Già in precedenza, peraltro, sempre il Banco mondiale aveva sottolineato, in un altri suoi rapporti, il riconoscimento internazionale attribuito a Cuba per i suoi successi nei campi dell’educazione e della salute, ottenuti grazie a un sistema di servizi pubblici che supera il livello presente nella maggiore parte dei Paesi in via di sviluppo e in alcuni settori è comparabile a quello dei Paesi sviluppati. E che fin dalla rivoluzione del 1959 è stato creato un sistema che permette l’accesso universale alla salute e all’educazione. Un modello che ha permesso a Cuba di raggiungere l’alfabetizzazione generale, sradicare determinate malattie, garantire l’accesso all’acqua potabile e la salute pubblica di base, con bassi livelli di mortalità infantile e alta speranza di vita, con un costante miglioramento degli indicatori sociali dal 1960 al 1980 e un ulteriore miglioramento dei tassi di mortalità infantile e speranza di vita negli anni Novanta. La Banca mondiale osservava come le prestazioni dei servizi sociali a Cuba siano fra le migliori del mondo in via di sviluppo, come documentato del resto da fonti di varie organizzazioni internazionali come l’Organizzazione mondiale della salute, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e altre agenzie delle Nazioni Unite.
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Non male, specie per un Paese sottoposto da oltre cinquanta anni a un blocco economico e a continui attentati e atti di terrorismo da parte della massima potenza mondiale. Non è del resto casuale che metodologie, expertise e risorse umane cubane siano attivamente presenti in tutta l’America Latina e in tutto il mondo, nel settore in questione come in altri, specie la sanità. Va d’altronde considerato come il Paese dedichi all’insegnamento il 13% del proprio bilancio nazionale. Si pensi che in Italia, nel 2008, la percentuale dedicata al tema raggiungeva il 4,6%, mentre in anni più recenti la spesa è stata ulteriormente tagliata, come notato dalla stessa Unione europea.
Nonostante i vacui blablabla di Renzi, non inferiore da questo punto di vista ai suoi predecessori, la situazione permane estremamente deplorevole anzi si aggrava ogni giorno di più, da tutti i punti di vista: dall’edilizia scolastica al precariato dei docenti, dagli strumenti didattici a disposizione alla dispersione scolastica. E non bastano certo i più o meno oxoniani anglicismi del nostro governo a colmare lacune sostanziali.
Vero è peraltro che in una società come la nostra, la paideia, l’educazione dei giovani, non è in mano alla scuola, ma molto di più, a una televisione di pessima qualità e a social media dove si trova di tutto e il suo contrario. Senza contare i miti che vanno per la maggiore nell’immaginario collettivo anche giovanile e i valori di riferimento che sono più che altro denaro, violenza e individualismo sfrenato. In molti casi i modelli educativi e di vita sono rappresentati dai capi della criminalità, Bellusconedocet.
Del tutto relativo, pertanto, si rivela il concetto di Paese in via di sviluppo e di Paese sviluppato. Potremmo dire, che grazie ai tagli di spesa imposti dall’Unione europea e alle fallimentari e liquidatorie politiche perseguite da una classe politica di semianalfabeti, da Gelmini in poi, il nostro Paese si stia decisamente avviando verso il sottosviluppo, mentre Cuba si conferma un Paese di sviluppo le cui success stories indicano a molti altri Paesi quale deve essere la via da seguire.
Per non parlare dell’impegno di Cuba sul fronte della salute, non solo per sé ma per tutto il pianeta. Mentre da noi alcuni blaterano in modo insensato di chiusura delle frontiere per bloccare i virus, Cuba, raccogliendo il plauso delle Nazioni Unite, ha inviato 165 medici e infermieri in Africa per combattere il virus dell’Ebola.
Potremmo proporre un cambiamento, sia pure temporaneo, trasferendo l’attuale ministro dell’educazione cubano nel nostro governo e inviando la Giannini a imparare qualcosa all’Avana. Più difficile risulterebbe lo scambio fra Renzi e Raul, si teme fortemente che il nostro, dopo qualche giorno di chiacchiere a vuoto, sarebbe destituito e mandato a tagliare la canna da zucchero a tempo indeterminato. E senza gelato, beninteso. Ma visto che ci siamo potremmo mandare a Cuba in rieducazione grandissima parte della nostra classe politica e imprenditoriale.