da Limes.it – Carlo Cauti
In attesa di vedere chi sarà presidente tra Dilma Rousseff e Aécio Neves, un dato è certo: il gigante latinoamericano ha eletto il parlamento più conservatore degli ultimi 50 anni.
Nel giugno del 2013 le strade e le piazze del Brasile sono state invase da manifestazioni di protesta. Cariche del simbolismo tipico di un movimento di massa latinoamericano, chiedevano a gran voce un profondo cambiamento politico e l’estensione dei diritti sociali. Molti osservatori, analisti e politici hanno vaticinato che si trattasse dell’anticamera di una rinascita della nuova sinistra.
Come dicono in Brasile, “sabe de nada, inocente” (“non hai capito niente, sprovveduto”). L’elezione per il rinnovamento di parte del Congresso federale brasiliano, tenutasi domenica 5 ottobre in concomitanza con il primo turno delle elezioni presidenziali, ha mostrato che il cambiamento è avvenuto, sì – ma nella direzione opposta. La maggior parte dei nuovi deputati e senatori è di stampo spiccatamente conservatore. Probabilmente si tratta del Congresso più conservatore dal 1964, anno del Golpe.
Tra le fila degli eletti sono aumentati gli ex militari, i leader religiosi (soprattutto i pastori evangelici), i grandi possidenti terrieri (chiamati ruralistas) e gli esponenti politici che si sono volutamente costruiti un’immagine conservatrice, a volte perfino estremista.
Non è possibile usare il termine “destra” in questo contesto. Le idee e i principi della destra europea o statunitense non hanno molto a che vedere con quelle espresse da questa corrente politica brasiliana. Concetti come “meno Stato in economia”, “riduzione delle tasse”, “libero scambio internazionale” e “libera concorrenza” sono visti con fastidio da molti di questi nuovi congressisti. Le loro campagne elettorali si sono fondamentalmente basate su proposte anti-aborto (che in Brasile è ancora un reato), maggiore sicurezza pubblica, riduzione dell’età minima per essere perseguibile penalmente, maggiore penalizzazione delle droghe, eliminazione di molte leggi di protezione ambientale e divieto per i matrimoni gay.
Due tra questi congressisti conservatori – riconfermati a pieni voti – meritano di essere citati. Uno è il pastore evangelico Marcos Feliciano, ex presidente della commissione Diritti Umani della Camera accusato di omofobia, razzismo e promotore della cosiddetta “cura gay”. L’altro è il deputato Jair Bolsonaro, ufficiale riservista dell’Esercito brasiliano dichiaratamente omofobo, antiabortista e a favore dell’introduzione della pena di morte nel codice penale brasiliano. Quest’ultimo ha ricevuto il maggior numero di voti nel suo collegio elettorale, Rio de Janeiro.
Per comprendere la situazione degli omosessuali in Brasile basti sapere che le unioni civili tra persone dello stesso sesso non sono una legge ma un’imposizione giudiziaria. Nel 2011 il Supremo Tribunal Federal (Stf) ha riconosciuto l’unione stabile tra le persone dello stesso sesso, obbligando di fatto la pubblica amministrazione brasiliana a registrare queste unioni. Quasi quattro anni dopo non esiste una legge specifica che regolamenti la questione. Il Congresso precedente si è rifiutato di affrontare il problema, gli Stati cercano di fare ostruzionismo alla registrazione e molti congressisti eletti hanno condotto l’intera campagna elettorale contro questa sentenza.
I deputati storici che sedevano alla Camera e al Senato fin dalla ridemocratizzazione del 1985 non saranno presenti nella prossima legislatura. Uno tra tutti: Eduardo Matarazzo Suplicy, senatore storico del Partido dos trabalhadores (Pt) di São Paulo, rappresentante dell’ala razionale, quella che cercava un dialogo con i partiti dell’opposizione e che non sempre si è trovata d’accordo con le scelte fatte dal governo. Il senatore è stato fatto fuori machiavellicamente dai suoi stessi compagni, reo di essere troppo morbido con gli avversari. Suplicy interessa noi italiani direttamente, poiché è stato uno dei maggiori difensori di Cesare Battisti, dichiarando più volte la sua supposta innocenza, spendendosi personalmente per evitare l’estradizione in Italia e arrivando a finanziare personalmente la permanenza dell’ex terrorista dei Proletari Armati per il comunismo (Pac) a São Paulo.
Nella politica brasiliana l’ideologia è una grande sconosciuta. Deputati e senatori si collocano non in base al partito politico con il quale sono stati eletti – quasi sempre una semplice sigla senza contenuti – ma in base agli interessi che rappresentano. Si riuniscono in frentes (o bancadas), gruppi bipartisan che riuniscono deputati e senatori accomunati da una stessa battaglia in difesa di interessi condivisi.
Alla luce di ciò, un esempio che fa comprendere la virata a destra del Congresso è il dimezzamento del numero di deputati e senatori della frente legata ai movimenti sindacali: da 83 a 46. La frente pro-Lgbt è ora ridotta a soli 37 congressisti, mentre aumenta quella evangelica, che supera gli 82 deputati federali. Si rafforza anche la bancada ruralista, con oltre 200 rappresentanti. Questo lascia presagire leggi più blande per la difesa dell’ambiente, dell’Amazzonia e delle tribù indigene.
Tra i ruralistas eletti c’è il fazendeiro del Rio Grande del Sud Luís Carlos Heinze, uno dei principali produttori di riso della regione, riconfermato con il maggior numero di voti espressi dallo Stato. In una manifestazione realizzata nel municipio di Vicente Dutra, Heinze ha affermato pubblicamente che “quilombolas, indios, gay e lesbiche rappresentano tutto ciò che non serve a niente”. Nel dicembre dello stesso anno ha organizzato una manifestazione con lo scopo di trovare fondi per la creazione di milizie private contro gli indios. In quell’occasione ha consigliato i produttori rurali di assumere agenti di sicurezza privati per difendere i loro possedimenti, anche se ciò significasse uno spargimento di sangue.
Il vero boom, tuttavia, è quello degli ex membri delle forze dell’ordine: circa il 30% del totale degli eletti. Si tratta della cosiddetta frente da bala: il “fronte delle pallottole”, a causa delle proposte a favore della diffusione delle armi da fuoco tra la popolazione e della modifica delle leggi sulla legittima difesa. Un risultato che mostra chiaramente come la domanda di sicurezza in Brasile sia una priorità assoluta per la popolazione e come le forze dell’ordine stimolino ancora i sentimenti del brasiliano medio. In Brasile ogni anno vengono registrate circa 50 mila morti violente, la maggior parte delle quali legate a furti, rapine o atti di criminalità urbana.
Tra i membri della frente da bala, il tenente colonnello della Polizia Militare Alberto Fraga, tra i leader del comitato per il No al referendum del 2005, che doveva decidere se rendere illegale la vendita di armi da fuoco e munizioni ai civili. In quell’occasione il No vinse con oltre il 63% dei voti e la proposta di divieto decadde.
Aumenta anche la frammentazione del Congresso. I brasiliani hanno deciso attraverso il voto che sei partiti politici in più dovranno rappresentarli alla Camera, che passerà così dalle attuali 22 a 28 formazioni. Alcuni di questi partiti esprimono anche un solo deputato. Molti si riconoscono dal nome colorito. Uno tra tutti, il Partito Ecologico Nazionale (Pen), che durante la campagna elettorale ha espresso un profondo odio per il Partito Verde, calorosamente ricambiato.
Il Senato, invece, vedrà lo stesso numero di partiti: 16. Un arcobaleno politico che è sintomo di democrazia vitale, ma anche prodromo dell’ingovernabilità cronica. Una condizione che obbligherà il prossimo presidente, che sia il capo di Stato in carica Dilma Rousseff o Aécio Neves, a elaborare una gigantesca manovra politica per la creazione di una base parlamentare solida. I ricatti saranno all’ordine del giorno.
Dilma ha già fatto i conti con questa situazione. Ha dovuto formare un governo con ben 39 ministeri e gestire casi di corruzione quasi quotidiani che hanno portato alle dimissioni di molti ministri. Lo stesso caso del mensalão è iniziato così. Per cercare di compattare una base politica parlamentare altrimenti inesistente, il governo del Pt ha dovuto letteralmente comprare il voto dei deputati e dei senatori, nonostante il Congresso dell’epoca fosse meno frammentato di quello attuale.
Per quanto riguarda la presenza delle donne, nel nuovo Congresso la percentuale sarà inferiore al 10%. Le quote rosa in Brasile sono lontane anni luce. Pur avendo una presidente donna, peraltro non scelta ma praticamente imposta da Lula, il Brasile ha eletto pochissime rappresentanti al Congresso. Segnale di un maschilismo quasi reazionario e ben radicato.
Il risultato elettorale riflette il forte conservatorismo del popolo brasiliano. Una recente ricerca comportamentale dell’Istituto Ipsos Public Affairs, condotta in 20 paesi su questioni come l’importanza della religione nella propria vita, la condizione femminile o quella omosessuale, le risposte dei brasiliani hanno mostrato un livello di conservatorismo secondo solo a quello espresso dai turchi. Molto spesso anche superiore.
All’affermazione “il ruolo delle donne nella società è quello di essere brave madri e spose” il 38% dei brasiliani si è detto d’accordo. Nel caso dell’importanza della religione nella vita il 79% dei brasiliani ha risposto “molto importante”. Gli stessi ricercatori dell’Ipsos pensavano che i risultati fossero sbagliati, tanto erano distanti dall’immagine che avevano del Brasile e dei suoi abitanti.
Secondo un altro sondaggio, realizzato dall’istituto Datafolha, il brasiliano medio preferisce più Stato in economia ed é più conservatore sulle questioni morali. Ha forte difficoltà a comprendere aspetti economici come la libera concorrenza o la liberalizzazione del mercato, vede con favore l’interventismo statale attraverso politiche pubbliche, è assolutamente contrario alla legalizzazione dell’aborto o dell’uso di droghe ed è infine favorevole alla diminuzione dell’età minima per essere perseguiti penalmente.
Le elezioni del Congresso vanno in totale controtendenza rispetto alle richieste delle manifestazioni del 2013. È la vittoria del Brasile profondo, il trionfo di quella maggioranza silenziosa che non ha partecipato alle proteste di piazza, che non vive nei grandi centri urbani – o che al massimo ne occupa le periferie. Una maggioranza profondamente religiosa, tendenzialmente omofoba, che guarda con fastidio le battaglie per i diritti civili e che nella lotta alla criminalità preferisce le vie di fatto a quelle di diritto.
Nel giugno del 2013 lo slogan delle manifestazioni di piazza era “O gigante acordou”, il gigante si è svegliato. Il gigante, però, era conservatore, perfino reazionario. Nessuno lo aveva previsto.