Messori, Boff e il Papa

Carissima, carissimo, pensando di farvi cosa gradita, sotto trovi l’attacco che Vittorio Messori, sicuramente a nome di “altri” a papa Francesco, e successiva risposta di Leonardo Boff, teologo brasiliano, sollecitato.
Antonio

Sull’imprevidibilità del Papa.
Dubbi e riflessioni personali di Vittorio Messori

Corriere della Sera, mercoledì 24 dicembre 2014

Credo sia onesto ammetterlo subito: abusando, forse, dello spazio concessomi, ciò che qui propongo, più che un articolo, è una riflessione personale. Anzi, una sorta di confessione che avrei volentieri rimandata, se non mi fosse stata richiesta. Ma sì, rimandata perché la mia (e non solo mia) valutazione di questo papato oscilla di continuo tra adesione e perplessità, è un giudizio mutevole a seconda dei momenti, delle occasioni, dei temi. Un Papa non imprevisto: per quanto vale, ero tra quelli che si attendevano un sudamericano e un uomo di pastorale, di esperienza quotidiana di governo, quasi a bilanciare un ammirevole professore, un teologo sin troppo raffinato per certi palati, quale l’amato Joseph Ratzinger. Un Papa non imprevisto, dunque, ma che subito, sin da quel primissimo «buonasera», si è rivelato imprevedibile, tanto da far ricredere via via anche qualche cardinale che era stato tra i suoi elettori.
Una imprevedibilità che continua, turbando la tranquillità del cattolico medio, abituato a fare a meno di pensare in proprio, quanto a fede e costumi, ed esortato a limitarsi a «seguire il Papa». Già, ma quale Papa? Quello di certe omelie mattutine a Santa Marta, delle prediche da parroco all’antica, con buoni consigli e saggi proverbi, con persino insistiti avvertimenti a non cadere nelle trappole che ci tende il diavolo? O quello che telefona a Giacinto Marco Pannella, impegnato nell’ennesimo, innocuo digiuno e che gli augura «buon lavoro», quando, da decenni, il «lavoro» del leader radicale è consistito e consiste nel predicare che la vera carità sta nel battersi per divorzio, aborto, eutanasia, omosessualità per tutti, teoria di gender e così via? Il Papa che, nel discorso di questi giorni alla Curia romana, si è rifatto con convinzione a Pio XII (ma, in verità, a san Paolo stesso) definendo la Chiesa «corpo mistico di Cristo»? O quello che, nella prima intervista a Eugenio Scalfari, ha ridicolizzato chi pensasse che «Dio è cattolico», quasi che la Ecclesia una, sancta, apostolica, romana fosse un optional, un accessorio da agganciare o meno, a seconda del gusto personale, alla Trinità divina? Il Papa argentino consapevole, per diretta esperienza, del dramma dell’America Latina che si avvia a diventare un continente ex cattolico, con il passaggio in massa di quei popoli al protestantesimo pentecostale? O il Papa che prende l’aereo per abbracciare e augurare buoni successi a un amico carissimo, pastore proprio in una delle comunità che stanno svuotando quella cattolica e proprio con il proselitismo da lui condannato duramente nei suoi?
Si potrebbe continuare, naturalmente, con questi aspetti che paiono – e forse sono davvero – contraddittori. Si potrebbe, ma non sarebbe giusto, per un credente. Questi, sa che non si guarda a un Pontefice come a un presidente eletto di repubblica o come a un re, erede casuale di un altro re. Certo, in conclave, quegli strumenti dello Spirito Santo che, stando alla fede, sono i cardinali elettori condividono i limiti, gli errori, magari i peccati che contrassegnano l’umanità intera. Ma capo unico e vero della Chiesa è quel Cristo onnipotente e onnisciente che sa un po’ meglio di noi quale sia la scelta migliore, quanto al suo temporaneo rappresentante terreno. Una scelta che può apparire sconcertante alla vista limitata dei contemporanei ma che poi, nella prospettiva storica, rivela le sue ragioni. Chi conosce davvero la storia è sorpreso e pensoso nello scoprire che – nella prospettiva millenaria, che è quella della Catholica – ogni Papa, consapevole o no che lo fosse, ha interpretato la sua parte idonea e, alla fine, rivelatasi necessaria. Proprio per questa consapevolezza ho scelto, per quanto mi riguarda, di osservare, ascoltare, riflettere senza azzardarmi in pareri intempestivi se non addirittura temerari. Per rifarci a una domanda fin troppo citata al di fuori del contesto: «Chi sono io per giudicare?». Io che – alla pari di ogni altro, uno solo escluso – non sono certo assistito dal «carisma pontificio», dall’assistenza promessa del Paraclito. E a chi volesse giudicare, non dice nulla l’approvazione piena, più volte ripetuta – a voce e per iscritto – dell’attività di Francesco da parte di quel «Papa emerito» pur così diverso per stile, per formazione, per programma stesso?
Terribile è la responsabilità di chi oggi sia chiamato a rispondere alla domanda: «Come annunciare il Vangelo ai contemporanei? Come mostrare che il Cristo non è un fantasma sbiadito e remoto ma il volto umano di quel Dio creatore e salvatore che a tutti può e vuole dare senso per la vita e la morte?». Molte sono le risposte, spesso contrastanti.
Per quel poco che conta, dopo decenni di esperienza ecclesiale, io pure avrei le mie, di risposte. Avrei, dico: il condizionale è d’obbligo perché niente e nessuno mi assicura di avere intravisto la via adeguata. Non rischierei forse di essere come il cieco evangelico, quello che vuole guidare altri ciechi, finendo tutti nella fossa? Così, certe scelte pastorali del «vescovo di Roma», come preferisce chiamarsi, mi convincono; ma altre mi lascerebbero perplesso, mi sembrerebbero poco opportune, magari sospette di un populismo capace di ottenere un interesse tanto vasto quanto superficiale ed effimero. Avrei da osservare alcune cose a proposito di priorità e di contenuti, nella speranza di un apostolato più fecondo. Avrei, penserei: al condizionale, lo ripeto, come esige una prospettiva di fede dove chiunque anche laico (lo ricorda il Codice canonico) può esprimere il suo pensiero, purché pacato e motivato, sulle tattiche di evangelizzazione. Lasciando però all’uomo che è uscito vestito di bianco dal Conclave la strategia generale e, soprattutto, la custodia del «depositum fidei». In ogni caso, non dimenticando quanto Francesco stesso ha ricordato proprio nel duro discorso alla sua Curia: è facile, ha detto, criticare i preti, ma quanti pregano per loro? Volendo anche ricordare che egli, sulla Terra, è il «primo» tra i preti. E, dunque, chiedendo, a chi critica, quelle preghiere di cui il mondo ride ma che guidano, in segreto, il destino della Chiesa e del mondo intero.

Appoggio a papa Francesco contro uno “scrittore nostalgico”
di Leonardo Boff

Ho letto con un po’ di tristezza l’articolo critico di Vittorio Messori sul Corriere della Sera esattamente nel giorno meno adattato: la felice notte di Natale, festa di gioia e di luce: Le scelte di Francesco:i dubbi sulla svolta del Papa Francesco. Lui ha provato a danneggiare questa gioia al buon pastore di Roma e del mondo, Papa Francesco. Ma invano perché non conosce il senso di misericordia e di spiritualità di questo Papa, virtù che sicuramente non dimostra Messori. Dietro parole di pietà e di comprensione porta un veleno.  E lo fa in nome di tanti altri che si nascondono dietro di lui e non hanno il coraggio di apparire in pubblico.
Voglio proporre un’altra lettura di Papa Francesco, come contrappunto a quella di Messori, un convertito che, a mio parere, ancora deve portare a termine la sua conversione con il ricevimento dello Spirito Santo, per non dire più le cose che ha scritto.
Messori dimostra tre insufficienze: due di natura teologica e un’altra di comprensione della Chiesa del Terzo Mondo.
Lui  si è scandalizzato per la “imprevedibilità” di questo pastore perché “continua a turbare la tranquillità del  cattolico medio”. Bisogna chiedersi della qualità della fede di questo “cattolico medio”, che ha difficoltà ad accettare un pastore che ha l’odore delle pecore e che annuncia “la gioia del vangelo”. Sono, generalmente, cattolici culturali abituati alla figura faraonica di un Papa con tutti i simboli del potere degli imperatori pagani romani. Adesso appare un Papa “francescano” che ama  i poveri, che non “veste Prada”, che fa una critica dura al sistema che produce miseria nella gran parte del mondo, che apre la Chiesa non solo ai cattolici  ma a tutti quelli che portano il nome di “uomini e donne”, senza giudicarli ma accogliendoli nello spirito della “rivoluzione della tenerezza” come ha chiesto ai vescovi dell’America Latina riuniti l’anno scorso a Rio.
C’è un grosso vuoto nel pensiero di Messori. Queste sono le due insufficienze teologiche: la quasi assenza dello Spirito Santo. Direi di più, che incorre nell’errore teologico del cristomonismo, cioè, solo Cristo conta.  Non c’è propriamente un posto per lo Spirito Santo. Tutto nella Chiesa si risolve con il  solo Cristo, cosa che il Gesù dei Vangeli esattamente non vuole. Perché dico questo? Perché quello che lui deplora è la “imprevedibilità” della azione pastorale di questo Papa. Or bene, questa è la caratteristica dello Spirito, la sua imprevedibilità, come lo dice San Giovanni: “Lo Spirito soffia dove vuole, ascolti la sua voce, però non sai da dove viene né verso dove va”(3,8). La sua natura è la improvvisa irruzione con i suoi doni e carismi. Francesco di Roma nella sequela di Francesco d’Assisi si lascia condurre dallo Spirito.
Messori è ostaggio di una visione lineare, propria del suo “amato Joseph Ratzinger” e di altri Papi anteriori. Purtroppo, fu questa visione lineare che ha fatto della Chiesa una cittadella, incapace di comprendere la complessità del mondo moderno, isolata in mezzo alle altre Chiese ed ai cammini spirituali, senza dialogare e imparare dagli altri, anche essi illuminati dallo Spirito. Significa essere blasfemi contro lo Spirito Santo pensare che gli altri hanno pensato solo in modo sbaglato. Per questo è sommamente importante una Chiesa aperta come la vuole Francesco di Roma. Bisogna essere aperta alle irruzioni dello Spirito chiamato da alcuni teologhi “la fantasia di Dio”, a motivo della sua creatività e novità, nelle società, nel mondo, nella storia dei popoli, negli individui, nelle Chiese e anche nella Chiesa Cattolica.
Senza lo Spirito Santo la Chiesa diventa un’istituzione pesante, noiosa, senza creatività e, ad un certo punto, non ha niente da dire al mondo che non siano sempre dottrine sopra dottrine, senza suscitare speranza e gioia di vivere.
È un dono dello Spirito che questo Papa venga da fuori della vecchia cristianità europea. Non appare come un teologo sottile, ma come un Pastore che realizza quello che Gesù ha chiesto a Pietro: “conferma i fratelli nella fede”(Lc 22,31). Porta con se l’esperienza delle chiese del Terzo Mondo, specificamente, quelle della America Latina.
Questa è una altra insufficienza di Messori: non avere la dimensione del fatto che oggi come oggi il cristianesimo è una religione del Terzo Mondo, come ha accentuato tante volte  il teologo tedesco Johan Baptist Metz. In Europa vivono solo il 25% dei cattolici; il 72,56% vive nel Terzo Mondo (in America Latina il 48,75%). Perché  non può venire da questa maggioranza uno che lo Spirito lo ha fatto vescovo di Roma e Papa universale? Perché non accettare le novità che derivano da queste chiese, che già non sono chiese-immagine delle vecchie Chiese europee ma chiese- sorgenti con i loro martiri, confessori e teologi?
Forse nel futuro, la sede del primato non sarà più Roma e la Curia, con tutte le proprie contraddizioni, denunciate  da Papa Francesco nella riunione dei Cardinali e dei prelati della Curia con parole solo sentite nella bocca di Lutero e con meno forza nel mio libro condannato dal Card. J. Ratzinger “Chiesa: carisma e potere”(1984), ma là dove vive la maggioranza dei cattolici: in America, Africa o Asia. Sarebbe un segno proprio della vera  cattolicità della Chiesa all’interno del processo di globalizzazione del fenomeno umano.
Speravo in maggiore intelligenza e apertura di Vittorio Messori con i suoi meriti di cattolico, fedele a un tipo di Chiesa e rinomato scrittore. Questo Papa Francesco ha portato speranza e gioia a tanti cattolici e ad altri cristiani. Non perdiamo questo dono dello Spirito in funzione di ragionamenti piuttosto negativi su di lui.

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