di Omid Safi (@ostadjaan), editorialista
Come persona di fede, tempi come questi mettono alla prova la mia anima. E’ precisamente in tempi come questi che dobbiamo rivolgerci alla nostra fede. Ci guardiamo dentro, non perché le risposte siano facili, ma perché non guardarsi dentro è impensabile in momenti di crisi.
Allora, cominciamo, non con i cartoons che sono al centro della sparatoria nell’ufficio del Charlie Hebdo a Parigi, ma con gli essere umani. Cerchiamo di far sì che si tratti sempre di esseri umani:
• Stéphane “Charb” Charbonnier, 47 (direttore editoriale)
• Bernard Maris, 68 (economista)
• Georges Wolinski, 80 (vignettista)
• Jean “Cabu” Cabut, 78 (vignettista)
• Bernard “Tignous” Verlhac, 57 (vignettista)
• Philippe Honoré, 73 (vignettista)
• Elsa Cayat (editorialista)
• Michel Renaud (un ospite)
• Frederic Boisseau (lavoratore nelle manutenzioni)
• Franck Brinsolaro, 49 (ufficiale di polizia)
• Moustapha Ourrad (revisore di testi)… Non è Musulmani contro vignettisti, visto che ci sono vignettisti musulmani.
• Ahmed Merabet, 42, (ufficiale di polizia)… Un musulmano che è morto proteggendo i vignettisti dai terroristi musulmani. Musulmano contro Musulmano.
E i fratelli Said Kouachi e Cherif Kouachi, e Hamyd Mourad —gli autori della sparatoria, con un passato criminale alle spalle.
Cerco di resistere all’istinto di far diventare le vittime dei santi o gli autori della strage la personificazione del male. Siamo tutti esseri umani imperfetti, contraddizioni ambulanti di egoismo e bellezza. E a volte, come le azioni dei fratelli Kouachi e di Mourad, questo produce atti di atrocia indicibile.
Allora come gestiamo queste orribili notizie? Lasciatemi suggerire nove passi:
1) Cominciamo dal lutto.
Iniziamo da dove siamo, da dove sono i nostri cuori. Prendiamoci il tempo di seppellire i morti, di piangere, di essere in lutto. Piangiamo il fatto di aver creato un mondo in cui questa violenza sembra essere quotidiana. Piangiamo il fatto che i nostri figli stanno crescendo in un mondo dove la violenza è così banale.
Anche oggi, nello stesso giorno della sparatoria di Parigi, c’è stato un altro attacco terroristico in Yemen, uno che ha reclamato 37 vite — anche se questa tragedia non ha attratto lo stesso livello di attenzione mondiale. Non vi sono state dichiarazioni di presidenti circa l’attacco in Yemen, nessuna campagna #JeSuisCharlie per loro. Portiamo il lutto, piangiamo, e piangiamo il fatto che non tutte le vite sembrano avere lo stesso valore.
2) Sì, questo riguarda (in parte) la libertà di parola.
La satira, specialmente la satira politica, è una tradizione veneranda. La satira, al suo meglio è uno strumento politico per invertire le gerarchie, per disturbare e inquietare. Essere disturbati e inquieti è necessario per l’educazione- l’educazione degli individui e delle comunità. Inquietare non è mai tranquillo, o grazioso.
Non facciamo santi gli autori satirici, alcuni dei quali hanno promosso vignette razziste, nessuno dei quali ha meritato il suo destino, e che sono tutti da rimpiangere. Abbiamo l’integrità di dire che gli autori satirici uccisi hanno speso la loro vita ad abbattere icone sacre. Cerchiamo di non trasformarli, dopo la loro morte, nelle stesse icone sacre contro cui hanno lottato tutta la loro vita.
Ecco una cosa sulla libertà di pensiero: Ci sono poche linee rosse rimaste. In un’epoca in cui praticamente chiunque può avere i suoi scritti pubblicati online, bloccare o censurare qualcuno è diventato impossibile. Sì, la libertà di parola include il diritto ad offendere. Eppure, mi chiedo che la nostra volontà di celebrare il “diritto ad offendere” si estende anche al nostro offrire compassione a quelli che sono offesi. Mi chiedo anche cosa facciamo quando la “libertà di offendere” non è applicata in modo equo a tutto campo, ma ha come bersaglio ripetuto comunità che sono marginalizzate ed ostracizzate.
Allora come si replica a parole/immagini offensive? Se gli autori della sparatoria si fossero presi la pena di aprire il Qur’an, essi avrebbero conosciuto il “respingi il male con qualcosa di più bello” Se avessero cercato di impersonare il Qur’an, non avrebbero abbattuto dei vignettisti ma si sarebbero preoccupati di abbattere il pregiudizio impersonando quelle qualità luminose che trasformano la società una persona alla volta.
3) Non sappiamo le motivazioni politiche degli autori della sparatoria.
La cosa sana e spiritualmente saggia da fare è fermarsi, essere in lutto, seppellire i nostri morti e stringerci l’uno con l’altro. Ma vogliamo spiegazioni. Vogliamo sapere perché. Meritiamo anche di sapere il perché. Riassumendo il problema è che abbiamo un ciclo di 24 ore di notizie, che devono essere riempite di contenuto. Devono essere riempite di contenuto anche quando non abbiamo fatti disponibili.
Alcuni dei servizi giornalistici hanno fatto riferimenti agli autori della sparatoria come “Islamisti.” Se definiamo essere un Islamista come qualcuno che è impegnato a stabilire uno stato Islamico, non vi è prova di questo impegno da parte degli autori della sparatoria. Sembra più prudente chiamarli per quello che sappiamo che sono; criminali violenti..
4) L’Islam non ci racconta l’intera storia. E non sapremo per un po’ di tempo quanta parte della storia ci racconta.
Uno degli ultimi fatti noti su uno degli autori della sparatoria è che è stato coinvolto in un piano per unirsi a un’insurrezione in Iraq nel 2005. Ecco come lo descrive il suo avvocato:
“Kouachi, 22 anni, ha vissuto tutta la sua vita in Franci e non era particolarmente religioso … Beveva, fumava erba, dormiva con la sua ragazza e consegnava pizze per vivere.”
Abbiamo visto questo modello più volte: i fratelli the Tsarnaev erano stati visti bere e fumare erba ; visitavano pornoshops e locali per spogliarelliste e si ubriacavano. Non esattamente il modello del Musulmano pio ed osservante.
Non c’è un Islam mitico che fluttua al di sopra del tempo e dello spazio. L’Islam è sempre abitato da esseri umani reali. In questo caso, così come in quello dei dirottatori del 9/11, potrebbe essere utile guardare alle rivendicazioni politiche degli sparatori, che all’ispirazione di un qualche modello idealizzato di “Islam”.
5) Evitiamo il cliché della “satira contro Islam.”
Lasciamo da parte per un minuto il ricco ed erudito dibattito sul concetto di blasfemia nelle civiltà europea ed islamica. (Prendetevi un’ora buona per leggere il brillante saggio di Talal Asad sul tema.)
Dipingere questo episodio come la lotta della satira verso l’Islam trascura il fatto che gli stessi musulmani hanno un’orgogliosa eredità di satira politica. In posti come l’Iran, la Turchia e l’Egitto vi sono tanti giornalisti e autori satirici che languono in prigione perché hanno osato proclamare la verità- spesso contro governi autocratici e dittatoriali. A mio giudizio, questi sono campioni della libertà di parola, gli Jon Stewarts della maggioranza della società musulmana. Bassem Youssef, che è stato spesso chiamato il “Jon Stewart egiziano” è ancora un altro esempio di una voce satirica che è stata strumentale nella Primavera Araba.
6) Non sopravvalutiamo l’obiezione dei musulmani all’immagine del Profeta.
Sì, molti musulmani oggi non approvano le immagini che raffigurano il Profeta, o a questo proposito anche le raffigurazioni di Cristo e Mosè (che sono anche venerati come profeti dai musulmani). Ma non è così per tutti i musulmani. I musulmani nell’Asia meridionale, Iran, Turchia e Asia Centrale, hanno una ricca tradizione di miniature che raffigurano tutti i profeti, incluse quelle che raffigurano il Profeta Maometto. Queste non sono immagini proibite, fatte in segreto, ma piuttosto un’arte di elite pagata e sostenuto dai califfi e sultani musulmani, prodotte nelle corti dei musulmani.
E concediamo qualche credito ai musulmani. Quello che molti di loro obiettano non riguarda le miniature pietistiche raffiguranti Maometto che ascende al cielo, ma piuttosto le vignette pornografiche e violente che ridicolizzano Maometto.
7) Il contesto non è apologia.
Questo è forse il punto più sensibile. Non vi è motivo di scusare azioni che non meritano alcuna difesa. L’uccisione di artisti, autori satirici, giornalisti, caspita, l’uccisione di essere umani, è un’atrocità che si erge a propria condanna.
Chiedere, insistere e fornire un contesto, comunque, è quello che siamo chiamati a fare. Nessun evento, nessun essere umano, nessun atto, sta da solo. E anche questa vile azione a Parigi- proprio come le vili azioni del 9/11, o le guerre in medio Oriente- tutto si colloca in un contesto più ampio.
I musulmani francesi non sono una raccolta casuale di musulmani. Essi provengono dal Marocco, dall’Algeria, e dalla Tunisia, paesi che erano stati colonizzati dai francesi per decadi. Essi sono, in senso reale, figli delle colonie. I traumi delle popolazioni musulmane francesi oggi sono legate a, e sono un’estensione della violenza inflitta dai francesi ai musulmani colonizzati per decadi. Nessun impero (incluso l’impero americano) ama che gli si ricordi il suo passato coloniale, ma la verità deve essere detta.
La società francese, come molte altre società europee, è percorsa da un’ondata di xenofobia anti- migranti. I partiti anti migranti ottengono sistematicamente circa il 18% dei voti alle elezioni e misure giustificate come forme di “secolarismo” (compreso il bando dell’hijab nelle scuole) si rivolgono quasi esclusivamente alla minoranza musulmana. Un sondaggio Pew Global mostra che il 27 % dei francesi riconosce apertamente di non gradire i musulmani. Le percentuali in altri paesi europei sono anche più alte: il 33% in Germania, il 64% in Italia. Chiaramente, oggi, l’Europa ha un problema musulmano.
Eppure, questo riguarda parzialmente l’appropriazione ideologica della religione e i tempi della libertà di parola, ma è libertà di parola applicata in modo sproporzionato contro una comunità che è dal punto di vista razziale, religioso ed economico ai margini della società francese- e di molte altre società europee. Come tale, trattare questo come un tema riguardante la libertà di parola, senza trattare anche i temi più ampi della xenofobia, è mancare il segno.
Mi chiedo se in tutte le parate in celebrazione della “libertà di parola” ci fermeremo a riflettere sulla proibizione francese alle donne musulmane di portare il velo (hijab) nelle scuole pubbliche, qualcosa che è stato rimosso nell’impegno francese verso il secolarismo. Mi chiedo perché non tutte le libertà di espressione hanno un pari valore.
Una parte legittima della risposta al crimine degli autori della sparatoria è onorare e proclamare il valore della libertà di parola. Questo sicuramente va fatto. E dovrebbe essere fatto in modo aperto ed orgoglioso. Eppure qui vi è anche un elemento di umiltà e sincerità. Si consideri, ad esempio, la risposta sentita del segretario di Stato Kerry alla sparatoria, che ha descritto come “uno scontro più ampio, non tra civiltà, ma tra lo stesso mondo civilizzato e chi si oppone alla civilizzazione.”
Si deve applaudire Kerry per non aver ceduto allo stanco cliché dello “scontro tra culture.” Eppure vi è qualcosa di profondamente disturbante circa il reclamare il mantello della civilizzazione per “noi”. Farlo ci porta alla stessa retorica coloniale del 19esimo secolo che descriveva il mondo come diviso tra l’Ovest “civilizzato” e il Resto “selvaggio”.
Difendiamo la parte migliore della nostra civiltà, gli ideali di libertà, giustizia ed uguaglianza, e abbiamo l’integrità ed onestà nell’affermare anche che molte persone sia dentro che fuori dai nostri confini hanno sperimentato il potere dell’Occidente più come un incubo che come un sogno.
Per gli afro-americani, i nativi americani negli Stati Uniti, per i soggetti colonizzati in Africa, Asia e latino America, gli Stati Uniti, la Francia e l’Inghilterra sono sempre stati esperimenti che non sono stati all’altezza dei solenni ideali che essi/noi proclamiamo. Questo non significa spargere cenere sulla bellezza di questi ideali, ma di mantenerci sempre in allerta, di ricordarci sempre che la tensione tra la civiltà e lo stato selvaggio non è una che divide le civilizzazioni e le nazioni, ma una tensione che è dentro ciascuno di noi, dentro ognuna delle nostre comunità.
8) L’onore di Maometto.
Gli autori della sparatoria sembra abbiamo gridato che lo stavano facendo per vendicare l’onore del Profeta. Lasciatemi mettere da parte l’oggettività e la distanza colta. Il Profeta è la mia via. Nel mio cuore, Maometto è la luce incarnata di Dio in questo mondo e la mia speranza per un’intercessione nell’altro. E per coloro che pensano di essere qui per vendicare l’onore del Profeta, tutto quello che posso dire è che lui è oltre il bisogno di vendetta. Le vostre azioni non lo raggiungono, così come le vignette profondamente offensive di Charlie Hebdo. Quelle figure pornografiche, violente, umiliate, raffigurate nelle vignette di Charlie Hebdo non sono e non erano il mio profeta. Per quanto concerne il vero Maometto, né i vignettisti né gli sutori della sparatoria lo hanno mai conosciuto. Non potete toccarlo. Non avete mai conosciuto Maometto come noi conosciamo Maometto.
E rispetto agli autori della sparatoria, essi ganno fatto più per sminuire l’impressione che la gente ha della religlione del profeta di quello che i vignettisti di Charlie Hebdo abbiamo mai fatto. Se volevano fare qualcosa per portare onore al Profeta, potevano incarnare il comportamento e l’etica del Profeta. Potevano iniziare a studiare la sua vita e i suoi insegnamenti, e avrebbero visto che Maometto rispondeva a quelli che lo perseguitavano con perdono e misericordia.
9) Quindi come rispondiamo?
Le crisi tentano le anime delle donne e degli uomini, portando in superficie sia la feccia che la crema.
Prevedere il futuro è un’impresa da matti. Io non offrirò previsioni, ma ecco quello che spero: spero che porterà fuori il meglio della società francese, e non il peggio. Spero che l’affermazione dei valori della Repubblica francese porteranno uguaglianza, libertà e fratellanza per tutti i 66 milioni di cittadini, inclusi i 5 milioni di musulmani.
Si potrà assistere al ritirarsi dei francesi in un angolo ideologico, colpevolizzando collettivamente la popolazione musulmana per il rifiuto all’”integrazione” e colpevolizzando se stessi per essere troppo tolleranti. Di fatto, incitare il colpo di coda francese potrebbe essere uno degli obiettivi degli autori della sparatoria, come ha ipotizzato Juan Cole . Oppure si può sperare che i francesi rispondano in modo simile agli australiani dopo al loro recente crisi, nella bellissima campagna “I’ll ride with you”.
Si può sperare che la risposta alla sparatoria di Parigi non consista solo nella difesa a gola spiegata della libertà di parola, ma anche in un rinnovato impegno ad una robusta e pluralista democrazia, una che includa le comunità marginalizzate.
Speriamo che i francesi guardino alla risposta della Norvegia, il cui primo ministro Jens Stoltenberg ha detto le seguenti parole solo due giorni dopo la sparatoria, durante la cerimonia in memoria: “ Siamo ancora sconvolti da quello che è accaduto, ma non rinunceremo mai ai nostri valori. La nostra risposta è più democrazia, più apertura, e più umanità… Risponderemo all’odio con l’amore” Sì. Più democrazia, più apertura, e più umanità.
Speriamo che non sia solo la libertà di parola che difendiamo come sacra, ma la libertà di vivere una vita che abbia un significato, sebbene altri lo trovino problematico. Speriamo che la libertà di parlare, di pregare, di vestire come vogliamo, di avere cibo nel nostro stomaco e di avere un tetto sulla nostra testa, di vivere liberi dalla minaccia della violenza, la libertà di essere umani siano visti come profondamente connesse… Sì apprezziamo e dimostriamo a favore della dignità di avere libertà di parola. E ricordiamoci che la parola, come la religione è sempre incarnata in un essere umano. E per onorare la libertà di parola dobbiamo onorare la dignità degli esseri umani.
Possiamo stringerci gli uni agli altri nella compassione. Possiamo abbracciare la piena umanità di tutta l’umanità.