1. Ogni popolo, compreso quello dei Rom e Sinti, ha il diritto della propria auto-determinazione. Perché lo riconosciamo quasi automaticamente a tanti popoli, invece per i Rom non avviene?
Da decenni ormai sono continuamente assaliti da assistenti, operatori, associazioni… Quanti Progetti di ogni tipo, abbiamo visto scorrere sulle loro teste, quante soluzioni si sono accavallate sulle loro vite… per poi rivelarsi fallimentari e quasi sempre incolpare i Rom del loro insuccesso. Le soluzioni che in questi decenni sono state proposte, non hanno fatto altro che incancrenire il problema.
La loro auto-determinazione viene sacrificata in nome di un bene stabilito da altri, al di fuori del loro mondo, o per lo meno non sufficientemente conosciuto e quasi sempre (ieri come oggi) senza una loro reale partecipazione e coinvolgimento. A loro in genere spetta adeguarsi al “benefattore/salvatore” di turno. È uno dei tanti luoghi comuni, tra i più diffusi anche tra coloro che si occupano di Rom, quello di credere che loro hanno bisogno di qualcuno che decida al posto loro, nel bene e nel male.
C’è sempre qualcuno pronto a suggerire come organizzare la loro vita: che la lavatrice non va messa in quel posto, che i bambini devono vestire in altro modo, chi devono frequentane e chi no, chi può e non può venire a visitarli, che la casa è la soluzione del problema Rom, che i Rom non sono più nomadi, che i campi devono essere superati, che non devono andare più ad accattonare perché non è dignitoso, che non bisogna accendere più fuochi all’aperto, che bisogna stare nello spazio assegnato, che l’integrazione è fare questo e non quello, che le regole (patti) bisogna rispettarle sempre, anche quando sono state sottoscritte sotto forma di ricatto o per incutere paura.
Noi, con le nostre Associazioni, con le più fantasiose politiche sociali studiate ad hoc, pensiamo di dover essere noi a trovare per loro le soluzioni, con convegni nazionali/internazionali, dibattiti, seminari, studi.. i Rom invece decidono della loro vita attorno ad un fuoco o bevendo insieme una tazza di caffè, consultandosi tra di loro. Luoghi e tempi diversissimi e distanti tra loro. I nostri a lunga programmazione, i loro invece, hanno il respiro breve, perche seguono quelli della loro esistenza, fatta di sensazioni, possibilità da cogliere al volo, clima che si respira in un dato momento, paure. I nostri luoghi cercano la visibilità, i loro invece sono più nascosti, lontani dai centri di decisione, seguono altre mappe, altri canali, ma sono il loro cammino che seguono perché fiutano la vita…
2. Rimanere in balia di chi ha un potere più alto del loro. Sembra proprio essere la condizione di vita dei Rom e Sinti, ieri come oggi. Progetti sempre pensati da altri, da chi ha la possibilità e la capacità di accedere a finanziamenti destinati ai Rom, ma senza un diretto loro coinvolgimento, e con condizioni stabilite in assenza degli interessati, i Rom per l’appunto. Quasi sempre, questi Progetti (finanziati) presentati dalle Amministrazioni locali e Associazioni, hanno come una delle finalità la volontà di disgregare le comunità Rom, che è un modo per cancellarli. E i fatti recenti di Roma vanno proprio in questa direzione.
Oggi il diritto di parola è accordato a chi propone soluzioni, possibilmente quelle a noi congeniali. È il tempo della “politica del fare”, ed è uno dei rischi che vediamo diffondersi: basta perdere tempo con tentennamenti e analisi di carattere sociologiche e antropologiche, che portano a nessun risultato, “vogliamo risultati e alla svelta, basta attendere”. Ora bisogna indicare soluzioni, percorsi chiari e risolutivi, perché i Rom devono finalmente integrarsi, altrimenti non ci può essere futuro per loro.
Ma quale futuro? Il loro o il nostro futuro?
3. Anche oggi chi si occupa dei Rom (del resto come ieri), non fa altro che parlare di casa, che bisogna guardare oltre i campi, che l’Italia è il paese dei campi, l’unico in Europa, che è poi una bugia perché di campi Rom e Sinti ce ne sono un pò ovunque nei paesi Europei: Inghilterra, Francia, Irlanda, Spagna… di simili ai nostri, altri strutturati diversamente, ma pur sempre campi. Basta fare una semplice ricerca in Internet con Google per scoprire l’esistenza di campi un pò ovunque.
Campi = ghetti sembra una equazione scontata. Ne siamo sicuri? Il campo è solo e sempre ghetto?
Spesso parlando dei campi “nostrani” si dice che bisogna chiuderli perché sono dei ghetti, in quanto non aiutano l’integrazione, perché si trovano in posti isolati, lontani dalle città e dai servizi… e c’è anche del vero in questo. Ma, si da per scontata, come unica soluzione possibile al campo-ghetto, sempre e solo la casa, per noi è invece è una soluzione semplicistica e miope. Nei loro paesi di origine, lo si sente dire spesso da chi sostiene la casa come unica “soluzione”, i Rom vivevano nelle case e non nei campi. Ma vivevano e vivono tutt’ora in autentici quartieri ghetto scomodi e spesso distanti dai centri, più o meno come i nostri campi.
Il campo è anche lo spazio della sopravvivenza per tanti Rom, è anche quello della relazione, è il respiro che permette a tanti di loro di vivere e di affrontare la vita. Ovunque i Rom cercano e si costruiscono uno “spazio” dove poter vivere..è questo che molti Rom cercano, sia qui da noi come nei loro paesi di origine: in case o in quartieri ghetto.
I quartieri di Rom della ex Jugoslavia o dei Balcani, fatti prevalentemente di case, alloggi e baracche non sono poi tanto diversi dallo “spirito” dei campi Rom, rispecchiano lo stesso modo di vivere lo spazio, che è diverso dal nostro, è un modo di stare insieme. In effetti i campi, con tutti i loro limiti che ben conosciamo, riproducono questo “modo di stare insieme” che la nostra società ormai ha perso da tempo e che giudica negativamente o frettolosamente rimuove e colpevolizza.
I campi sono, con tanti limiti e le sue contraddizioni, lo spazio condiviso, spazi nei quali la relazione costituisce il soggetto e l’arricchisce. La nostra società (quella Occidentale in genere) invece tende a separare, la persona viene percepita come separata, appartata… “appartamento” appunto!
Con ciò non vogliamo negare o nascondere che spesso i campi oggi stanno diventando invivibili anche per gli stessi abitanti e bisognerebbe analizzare con saggezza e ponderazione le cause. E una di queste, per noi è riconducibile anche all’intervento delle politiche sociali, che spesso rischiano di peggiorare di molto il tessuto già fragile delle stesse comunità Rom. La domanda che noi ci poniamo è la seguente: perché anche lo “spazio” all’interno degli stessi campi Rom sta degenerando e perdendo la loro specificità?
4. Politiche sociali e sicurezza.
Oggi constatiamo un pò ovunque, che le politiche sociali si sono arrese alla loro tipica “missione” di ascolto e di prevenzione del disagio, e di accompagnamento, preferendo di fatto allinearsi più alle politiche della sicurezza e del controllo, che dare risposte a questi disagi. Con i Rom è quasi scontato, oggi i poveri sono facilmente abbandonati e scaricati dai servizi sociali, complice anche la politica che in questi ultimi anni non ha voluto affrontare il tema della povertà, preferendo rimuoverla e nasconderla. Oggi le politiche sociali verso i Rom di fatto si confondono spesso con quelle della sicurezza e del controllo, che di fatto è anche quello che sta chiedendo l’opinione pubblica condizionata spesso dagli “imprenditori della paura”, diffusi in tanti settori sia della politica e della stampa. Così facendo si rischia di speculare solo sulla sicurezza e non sulle cause del disagio in sé, questo vale in particolar modo per le popolazioni Rom, ma si allarga anche sui settori deboli della nostra società: immigrati, profughi, poveri, cittadini italiani senza casa.
Ciò che notiamo da diverso tempo è una vera “assenza di cuore” nelle politiche sociali verso i deboli in genere. Il rischio è che questo vuoto oggi, come ieri è sostituito da altri interessi di varia natura, in primis quello economico, appetibile a molti, forse a troppi: sempre sulla pelle dei Rom, arrivando anche a constatare come anche la “politica” ruba sui Rom e sulle fasce deboli della popolazione. Perché l’integrazione proprio perché costa, oggi è diventata una affare che fa gola a tanti.
5. “Basta campi”… e poi?
Oggi lo dicono tutti, in tutte le salse. Molti di questi mai hanno messo piede in un campo, mai hanno conosciuto realmente un Rom, mai hanno partecipato ad una loro festa, nemmeno ascoltato un loro desiderio o raccolto un loro timore. Basta campi è un mantra che si ripete da ogni parte: da destra e da sinistra, dai laici come da istituzioni religiose… molti senza la minima conoscenza della realtà, oggi è di moda dirlo: “Basta campi”, che coincide, il più delle volte a: “basta Rom” nel mio territorio.
La penso in maniera diversa. Innanzitutto, perché spetta a loro scegliersi il loro futuro, non noi. Oggi quando si parla dei campi Rom si sottolineano solo gli aspetti negativi, che in parte anche noi condividiamo, frequentandoli e vivendoci dentro li conosciamo, ma le analisi e le cause di tanto degrado sono assenti. Perché i campi hanno subito questo degrado?
I campi Rom sono anche l’unico spazio qui in Italia, dove i Rom si sentono “custoditi”, sostenuti ed aiutati (non dagli operatori, assistenti sociali…) da altri Rom. Cosa che non sempre avviene in un appartamento posto in un quartiere della nostra città. Anzi, è più facile che un Rom si senta giudicato e rifiutato, visto con sospetto e con la stessa diffidenza del Rom che vive in un campo. Spingendoli a vivere in case, in nome di una presunta integrazione, spesso non si è fatto che alimentare ancora più intolleranza verso i Rom. Abbiamo visto anche il fallimento di tante famiglie Rom incentivate dai servizi sociali ad andare a vivere in case o appartamenti.
Il campo, con tutte le sue difficoltà, i suoi disagi, comprese le sue contraddizioni interne (che abbiamo visto aumentare in questi ultimi anni), nonostante tutto…permette a tanti Rom di “sentirsi accarezzati”: con i tempi che corrono non è certo poca cosa! Meglio la “carezza di una semplice baracca” in un campo Rom, che la paura di un futuro incerto gestito da cuori anonimi e freddi calcolatori.