Bisogna essere santi
per essere anche poeti:
dal grembo caldo d’ogni nostro gesto,
d’ogni nostra parola che sia sobria,
procederà la lirica perfetta
in modo necessario ed istintivo.
Noi ci perdiamo, a volte, ed affanniamo
per i vicoli ciechi del cervello,
sbriciolati in miriadi di esseri
senza vita durevole e completa;
noi ci perdiamo, a volte, nel peccato
della disconoscenza di noi stessi.
Ma con un gesto calmo della mano,
con un guardar “volutamente” buono,
noi ci possiamo sempre ricondurre
sulla strada maestra che lasciammo,
e nulla è più fecondo e più stupendo
di questo tempo di conciliazione.
Alda Merini
Questa poesia Santi e Poeti, la prima scritta da Alda Merini diciassettenne (prima di quella che si è fino ad ora ritenuta la prima poesia conosciuta delle sua produzione) è una delle tre, inedite ritrovate o ora pubblicate nel libro “Santi e Poeti”, per Scripta Edizioni. Davanti a questo piccolo tesoro ritrovato si ha la sensazione di entrare nella macchina del tempo davanti a questi tre inediti di Alda Merini. Essere riportati indietro alla terra dell’origine dove tutto ha avuto inizio. Trovarsi esattamente nello stesso fuso orario di Pasolini, di Manganelli, di Montale ed altri quando lessero la prodigiosa scrittura di una adolescente. Questa è la storia di tre frammenti, di tre pezzi mancanti di un quadro.
Un quadro compiuto da tempo con tutti i colori della maturità e perfino del riconoscimento. Ma, ecco il piccolo miracolo, alla fine della storia, quei tre pezzi mancanti, quei riquadri vuoti del puzzle si ritrovano. A ritrovarli non è qualche studioso in una biblioteca ma la stessa Autrice, nella sua soffitta, sui Navigli. Per cinquant’anni tra le tempeste dell’esistenza e la complessità della storia, quei tre inediti sono ancora là, sul pavimento, dove Lei da adolescente li ha lasciati. Come un pegno d’amore, un voto fatto al suo invisibile amato.
Si specchia la vecchia poetessa nelle parole adolescenti e si rivede, si ritrova e contempla il tempo della grazia in cui un amore divino ingravidò la sua parola. Lì in quella sua geografia interiore, vergine dalla follia, finalmente ritrova la fonte del suo canto. La sua “ragione poetica” direbbe la filosofa della poesia Maria Zambrano. Li dove il suo corpo ancora intatto, non bruciato dagli elettroshock, protetto dagli abbandoni che conoscerà il suo destino, tiene nel grembo la promessa che la renderà madre della parola.
È la traccia giovane di ciò che l’aspetta che la porterà lontano dove quella parola si compirà insieme al suo destino. Parola e corpo del poeta indissolubilmente uniti, per sempre, uniche vere nozze eterne. Come gli antichi profeti, Alda Merini pagherà quella parola ogni giorno, con essa sarà innalzata nella gloria e precipitata negli abissi. Ma sarà fedele alla parola più che ad ogni altra cosa. Con lei si alzerà e si stenderà, con lei camminerà per via, la metterà sugli stipiti della sua porta, la fisserà sulla sua fronte e sui suoi polsi.
E la parola da cui fu originata le toglierà ogni cosa, sangue, respiro, la renderà inguaribile mendicante del verso. Questi tre inediti sono la parola dell’origine che torna quando la storia è già compiuta. Torna a dire quello che era da principio. La fonte dove si distillò l’acqua del parto della poetessa dei Navigli.
Sono tre punti di luce, tre piccole meteoriti nel buio della notte.
Intorno ad essi ruotano, satelliti nell’orbita, alcuni contributi critici.
Sono contributi diversi: critica letteraria e teologica che osservano dalle lenti dei loro cannocchiali i movimenti delle galassie meriniane.
Quelli di Roberto Fattore, Luca Bragaja e Vito Mancuso sono contribuiti importanti su un terreno ancora arido di riflessioni critiche, piccole ma preziose fonti d’acqua lungo le sacche di una sospettosa e talora indifferente accademia.
Scrive Vito Mancuso : “ Io credo che Santi e Poeti sia un vero e proprio manifesto di Alda Merini (…) l’energia che dà origine all’ispirazione è l’armonia del soggetto con il bene e la giustizia, in una relazione così stretta da chiamarsi santità: “Bisogna essere santi per essere anche poeti (…) la poesia sorge dalla lacerazione esistenziale e si compie nella conciliazione tra il singolo e la vita del mondo”.
Il teologo Mancuso riporta il famoso passo della Merini nel suo testo “Corpo d’amore” in cui la poetessa milanese scrive di Cristo “dal cuore di donna”.
Mancuso sottolinea la differenza tra la percezione di questo Cristo dal cuore femminile rispetto invece alla percezione di una Chiesa istituzione che “viene sentita dalla Merini come la portavoce di un Dio maschio e crudele”.
Torniamo infine alla soffitta, dove Alda Merini rinvenne i suoi gioielli, lasciati quasi distrattamente in un meridiano del tempo. E poi consegnati all’amica Marisa Tumicelli, sorella di anima.
Distrattamente? Forse no. Ma con quella voglia di adolescente sorpresa che le abitò sempre in corpo.
Un qualunque indovino, leggendo quei versi, le avrebbe predetto i suoi giorni. L’avrebbero costretta forse a cambiare parallelo, a spostare la lancetta del suo tempo.
Per questo, Alda Merini, nascose quei versi dov’erano fin da principio, all’imbocco del suo destino tra santità e poesia. Li protesse tenacemente come quei versi protessero lei, per non invertire la rotta, sposando per sempre poesia e santità. E questa è stata la sua vita. Forse il suo mistero.
Tant’è che alla fine della vita e dopo mille gorghi nel suo fiume, aveva ancora la pelle morbida e chiara di ragazza e a quasi ottant’anni, morì adolescente…