Contemporaneamente all’uscita di questo numero 109 della rivista/notiziario “In Dialogo”, sarà presente nelle edicole anche il numero di MicroMega dedicato a Papa Francesco. Paolo Flores D’Arcais ha inviato una serie di domande cui personalmente ho risposto, anche se con una certa riluttanza. Ritengo di fare cosa gradita alle amiche e agli amici della rete Radié Resh nel farli Partecipi di queste riflessioni.
Dunque queste le otto domande poste dalla Rivista MicroMega
Il papa si è proposto di rinnovare profondamente gli assetti di potere finanziari e della curia. Su un fronte come sull’altro però, nonostante parecchi segnali di “buona volontà”, ancora non sembra vi siano stati cambiamenti davvero rilevanti. Come valuta l’azione di questo pontefice nell’intervenire concretamente, nelle nomine come nelle riforme, sulle contraddizioni che ancora caratterizzano la struttura ecclesiastica?
Molti teologi, intellettuali, preti e religiosi della chiesa conciliare e progressista hanno recentemente firmato un appello per difendere il papa dagli attacchi mossi a loro avviso da autorevoli esponenti e poteri della conservazione che agiscono contro Francesco a livello ecclesiale come nella sfera mondana. Se è vero che lo stile di Francesco risulta indigesto al settore più tradizionalista delle gerarchie, non sarebbe tuttavia un atto di coerenza da parte di questo papa la riabilitazione di tutti coloro che hanno variamente subito la censura, l’emarginazione, addirittura la sanzione canonica da parte della chiesa, sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?
Il sinodo non si è finora espresso su nessuna delle questioni cruciali che riguardano la famiglia, i divorziati risposati, le unioni gay. Ed è evidente che le resistenze al rinnovamento che si sono manifestate in modo talvolta maggioritario nella prima fase, giocheranno un ruolo di freno anche nella seconda. Non ritiene che il papa potrebbe (analogamente a quanto fece Paolo VI con l’Humanae vitae ma in evidente diversa direzione) esprimersi attraverso un’enciclica su tematiche che sono ormai divenute di prepotente urgenza?
La lotta alle posizioni di rendita e ai privilegi ecclesiastici, che Francesco ha con diverse dichiarazioni mostrato di voler fare propria, non dovrebbe accompagnarsi ad atti concreti, come la rinuncia ad alcuni degli innumerevoli privilegi concordatari di cui godono la chiesa ed il Vaticano nel nostro Paese? Ad esempio l’8 per mille, l’esenzione o la riduzione di alcune tassazioni, le rendite che derivano dalle speculazioni immobiliari (specie nell’emergenza abitativa e in quella dell’accoglienza di senzatetto e migranti che caratterizzano la nostra epoca)…
Rispetto al ruolo dei laici e della donne nella chiesa, in cosa vede visibili e reali cambiamenti nell’azione di questo pontificato? È possibile che il sacerdozio femminile resti un tabù, un rifiuto catafratto proprio mentre la chiesa anglicana, la meno distante da quella cattolica tra le Chiese riformate, ha consacrato una donna addirittura vescovo?
Come valuta l’episodio avvenuto alcuni mesi fa sotto questo pontificato della scomunica di Martha Heizer, presidente di Noi Siamo Chiesa internazionale ed Ehemann Gert, suo marito, per aver celebrato l’eucarestia nella propria casa, assieme alla loro comunità ma senza la presenza di un prete? Non sarebbe stato opportuno che il papa che predica una chiesa aperta, tollerante, inclusiva, fermasse questo provvedimento, anche in considerazione del fatto che Noi Siamo Chiesa è in prima fila in molti paesi del mondo su temi “spinosi” ed attuali come il celibato presbiterale, il sacerdozio femminile, la collegialità, i divorziati risposati, i gay, la povertà, il contrasto alla pedofilia tra il clero?
A proposito del tema della pedofilia nella chiesa, oltre al giusto e sacrosanto contrasto ai preti pedofili ed al loro allontanamento e denuncia alle autorità civili (che però in Italia la Cei non ha reso obbligatorio per i vescovi), non sarebbe necessario un profondo ripensamento della formazione dei preti e dell’istituzione del seminario? Su questo fronte ritiene che il papa stia agendo o agirà nel prossimo futuro?
Papa Francesco ha dichiarato ripetutamente di voler dialogare con il mondo ateo senza intenti di “proselitismo”, e di voler rispettare le regole della democrazia pluralista. Come si conciliano queste affermazioni con la reiterata pretesa che le leggi degli Stati sovrani, che riguardano tutti i cittadini, debbano continuare a essere modellate sulla morale della Chiesa cattolica in questioni cruciali come l’eutanasia, quando perfino in seno alla Chiesa voci autorevolissime (da ultimo Hans Küng) hanno sostenuto la liceità dell’eutanasia e in taluni casi addirittura il suo carattere peculiarmente cristiano?
Risposta alle domande
Premetto che ho sottoposto le Vs. domande ad un gruppo di amici preti provenienti da tutt’Italia, in un incontro comune. Eravamo otto: Michele Dosio di Torino, Gianni Chiesa di Bergamo, Claudio Miglioranza di Castelfranco Veneto, Giulio Dazzi di Reggio Emilia, Mario Moriconi di Civitanova Marche, Antonio Patrone di Roma, Giovanni Coppola di Vico Equense, e il sottoscritto di Avezzano.
Le osservazioni che seguono, quindi, sono anche il frutto della discussione che ne è scaturita.
Alle domande, chiare e precise, penso di poter rispondere in maniera complessiva e non organica, non prima però di esternare una critica di fondo al questionario così come formulato.
Nel leggerlo si ha come il sentore che dietro l’impianto di fondo delle domande e nel pensiero ad esse sotteso ci fosse una venatura di clericalismo, come di chi vede la chiesa chiusa in se stessa, uniformemente compatta e saldamente guidata da un capo dalle cui decisioni e/o scelte dipenderebbe il tutto: maturazione e cultura, conversione e rivoluzione, soluzione dei problemi e liquefazione dei potentati. Si nota, insomma, un eccesso di “confianza” (per dirla in linguaggio argentino) negli interventi “gerarchici”, sia pure di “sinistra”, proprio di una mentalità “clericale” che misconosce la complessità dei problemi e l’interconnessione stretta che corre tra settori e campi diversi ma che si fecondano e si condizionano a vicenda.
È da lamentare, inoltre, una specie di fissazione monotematica su problemi sì importanti ma non esaustivi della realtà tutta. A nostro avviso è deformante e limitante voler dare una valutazione su papa Francesco a partire esclusivamente da temi etico-morali-sessuali e tenendo fuori i grandi e gravi temi sociali quali la globalizzazione a senso unico, la finanziarizzazione dell’economia, l’ingiusta distribuzione dei beni, il depotenziamento della politica e, las but not least, il disastro ecologico.
È su questi temi che papa Francesco va portando avanti, con felpata insistenza, una vera e propria rivoluzione, suscitando le ire e gli scandali delle destre internazionali.
«Il mondo, se cambia, cambia con molta, moltissima fatica, e….lentamente. Nonostante le apparenze “rivoluzionarie”» soleva ripetere l’indimenticabile padre David Maria Turoldo.
Francesco, da buon gesuita, avverte il bisogno di far uscire la chiesa da una situazione drammatica e si rende conto che il fare richiede quella gradualità che non dà mai risultati immediati….. Le gratificazioni immediate sono figlie di quella cultura dei consumi che ci sta consumando ed i cui prodotti scompariranno con la stessa rapidità con la quale sono comparsi.
Esattamente alla fine del n.184 dell’Enciclica “Laudato sì”, Papa Francesco scrive: «La cultura consumistica, che dà priorità al breve termine e all’interesse pri-vato, può favorire pratiche troppo rapide o con-sentire l’occultamento dell’informazione»…
Don Roberto Sardelli, l’amico prete della “Scuola 725” dell’Acquedotto Felice, nel suo libro “Il Neo di Francesco”, scrive appunto: «I fedeli non sono una massa di gregari affidata ad un conduttore, ma attori insieme al loro Vescovo nel cammino della transumanza» (p. 17). E noi, che abbiamo sempre criticato l’ipertrofia papale, gli interventi verticistici, le invasioni barbariche dall’alto, «siamo convinti che la chiave del rinnovamento non è quella dei decreti e degli annunci, ma quella di un impegno nel concreto dove si agitano interrogativi inimmaginabili ai quali occorre dare risposta» (Ivi p. 10).
Se, a suo tempo, abbiamo criticato aspramente Paolo VI per il suo intervento a gamba tesa nella discussione sulla procreazione responsabile, non possiamo ora evocare il pugno chiuso di Papa Bergoglio, seppur in “evidente diversa direzione”, sui temi della famiglia, dei divorziati risposati e delle unioni gay.
E se propugniamo, agogniamo e lottiamo per una chiesa senza clero, là dove evangelicamente si riconosce al solo Cristo il ruolo di “unico ed eterno sacerdote”, spogliando i preti del titolo di sacerdoti e restituendoli al ruolo di semplici “ministri/servitori”, non possiamo ritenere una conquista l’introduzione del “sacerdozio femminile”. Sarebbe una corsa al ribasso.
Su questi temi, in particolare, peserà non poco il tipo di formazione di Papa Francesco che sappiamo essere, sul piano dottrinale e teologico, “tradizionalconservatore”; conservatore, ma “conservatore intelligente”, come ha detto il cardinal Kasper e noi aggiungiamo “conservatore illuminato e schietto”. Sui temi dei valori cosiddetti “non negoziabili” non ci aspettiamo una rivoluzione teologica; ci basta la sua apertura pastorale ed umana.
Riguardo, per es., alle persone omosessuali, nella relazione a metà sinodo dello scorso anno, il cardinale Erdö sottolineava che esse hanno «doti e qualità da offrire alla comunità cristiana», per cui la Chiesa deve essere per loro «casa accogliente». Restava il no alle unioni omosessuali, ma, «senza negare le problematiche morali che vi sono connesse», si prendeva atto «che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners».
Sul campo socioeconomico invece, troviamo i suoi interventi e le sue denunce dotate di una lucidità impietosa e di una determinazione incontinente.
Già nella sua prima intervista ad Eugenio Scalfari ebbe a confessare la sua intima convinzione: «Personalmente penso che il cosiddetto liberismo selvaggio non faccia che rendere i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi», ma la critica al sistema prendeva la sua forza in un passaggio cruciale del documento programmatico del suo pontificato, l’esortazione Evangelii Gaudium, pubblicata il 24 novembre 2013 a conclusione dell’anno della fede.
Al numero 53 leggiamo: «Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide. (…) Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa».
E subito dopo, al numero 54, passa alla denuncia della teoria della “ricaduta favorevole”, che presuppone che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. «Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante».
Dopo la critica marxiana al capitalismo, mai era stata espressa una opposizione così forte al sistema economico vigente, alla sua ideologia e alla sua matrice antropologica. Così come si evidenzia nell’enciclica Laudato sì, là dove la critica, dura e senza diplomatiche circonlocuzioni, si sposa con un amore appassionato e viscerale, ma lucido e ragionato, per questa nostra Sorella e Madre Terra in agonia.
Personalmente sono stato uno degli estensori e tra i primi firmatari dell’appello in difesa di papa Francesco contro gli attacchi della destra sfascista italiana e internazionale ed oggi ritengo ancor più necessario difendere Francesco dall’attacco che si preannuncia feroce e impietoso partito dall’America ancor prima che venisse pubblicata l’enciclica Laudato sì sull’ambiente. Ho letto la risposta arrogante che ha dato Jeb Bush cui piace la religione delle sacrestie, quella della carta patinata, la religione “conservante” e che difende la status quo ante… Siccome noi prendiamo tutto dall’ America, soprattutto i lati negativi, tra poco contesteremo anche noi le sane parole del papa non perché abbia sbagliato qualcosa, ma perché ci sbatte in faccia il nostro egoismo, e questo brucia!
Quanto alla riabilitazione di coloro che sono stati emarginati, sanzionati, penalizzati e buttati dalla finestra ritengo che sia giunto il tempo per la loro piena riabilitazione.
Dirò di più: queste persone dovrebbero essere non solo “riabilitate”, ma valorizzate per l’apporto di linfa nuova di cui sono portatrici. Per il momento ci sono stati solo piccoli segnali, come la beatificazione di mons. Romero, qualche telefonata a qualche prete “out” e nulla di più. Ci si augura che in avvenire il dialogo con questo mondo “rimosso” riprenda vigore e slancio.
Su questo campo (domanda n. 2) si nota, è vero, una certa timidezza ma non si capisce bene fino a che punto questa freddezza sia frutto dell’incertezza di Francesco o della strategia della curia che ci risulta essere impegnata a quattro mani e quattro piedi nel tenere a bada il “Santo Padre”!
In questo senso faccio anche mio l’invito di don Roberto che a pagina 106 del suo libro si rivolge al papa con questo grido: «Francesco, scavalca il cerchio magico della curia che come una mantide dopo essersi nutrita di te e averti corteggiato ti mozzerà il capo».
Sì, è vero: la Curia e il Vicariato sono delle brutte, strane bestie, che quando ti abbracciano ti strozzano…; e si ha l’impressione che il motto che campeggia in prima pagina dell’Osservatore Romano “Non praevalebunt”, non prevarranno, non sia a difesa della chiesa ma della curia! Oggi come oggi bisognerebbe lanciare un appello in difesa del Papa non solo dagli attacchi delle destre forcaiole ma anche dalla guerra sorda e lorda che la curia gli sta facendo.
Noi, da parte nostra, non possiamo che rallegrarci per la venuta di papa Francesco, per le scelte “diverse” che ha posto in atto e per le parole “Altre” e “Alte” che sa offrire alla nostra coscienza e alla nostra responsabilità. In piena sintonia con il grande teologo J. B. Metz, noi restiamo però convinti che il «rinnovamento non si attua solo nel cervello, ma nella prassi trasformata della comunità dei credenti» e che la strada è lunga e il lavoro deve coinvolgere la base.
La porta del cantiere è stata aperta.
A noi il dovere di valicarla.