La Rete Radié Resch nel mese di maggio ha organizzato cinque seminari: Torino, Isola Vicentina (VI), Ancona, Quarrata (PT) e Salerno per riflettere sul tema della democrazia, che da tempo percepiamo assediata, svuotata, dallo strapotere della finanza e delle multinazionali. I diversi incontri sono stati introdotti dal contributo di noti esperti: Andrea Baranes, Marco Bersani, Roberto Burlando, Roberto Mancini, Gianni Tognoni.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale e l’avvio della divisione del mondo in area capitalista guidata dagli USA e in area comunista sotto il controllo dell’URSS, in Occidente abbiamo vissuto un primo trentennio -fino alla crisi petrolifera del 1973- caratterizzato da una crescita economica sostenuta; è subentrato poi un quindicennio di rallentamento, con diminuzione dei profitti, a cui i governi hanno reagito applicando le teorie del neoliberismo sulla spinta dell’indirizzo politico adottato da Tatcher in Inghilterra e da Reagan negli Stati Uniti e raccomandato o imposto ai Paesi del Terzo Mondo dalle istituzioni internazionali (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale).
L’avvento della globalizzazione
Poi l’implosione dei regimi comunisti dell’Est Europa e dell’Unione Sovietica tra il 1989 e il 1991 ha inaugurato la fase della globalizzazione con gli Stati Uniti che si sono arrogati il potere di unica superpotenza intenzionata a subordinare ai propri interessi il destino del mondo intero.
Fino alla fine degli anni Ottanta la democrazia occidentale si era distinta per la conquista di un avanzato sistema di welfare, per l’ampliamento dei diritti civili e sociali, e per una moderata redistribuzione della ricchezza tra le classi: risultati resi possibili sia dalla combattività operaia sia dal timore che i lavoratori aspirassero al comunismo. L’avvento della globalizzazione ha invece invertito il processo: erosione delle conquiste sociali e dei diritti, aumento della diseguaglianza dei redditi con impoverimento della classe lavoratrice e media e con sfrenato arricchimento dell’alta borghesia.
Da un quarto di secolo -nell’analisi di Baranes, Bersani, Burlando- le trasformazioni sono diventate vorticose e radicali: i governi applicano politiche neoliberiste esasperate che vengono elaborate in centri di ricerca finanziati dalle multinazionali, che vengono discusse in riunioni di club elitari (Bilderberg, Forum di Davos), adottate in summit internazionali e imposte a tutti. Tali politiche sono state all’insegna della deregolamentazione, quindi della liberalizzazione per la circolazione di merci e capitali, della privatizzazione dei servizi pubblici e dei beni comuni, della finanziarizzazione dell’economia. I capitali, liberi di muoversi senza restrizioni, scelgono di andare dove possono accumulare il massimo profitto, dove non ci sono vincoli sociali e ambientali, dove l’ordine pubblico è assicurato, dove i beni comuni sono saccheggiabili pagando tangenti all’establishment militare e politico.
La politica subordinata alla finanza speculativa
Nei primi decenni del secondo dopoguerra alla politica era affidato il compito di governare l’economia; nell’era della globalizzazione alla politica è affidato il compito di eseguire i diktat dei mercati e più specificamente dei mercati finanziari; infatti l’economia reale, che produce beni e servizi, è tutto sommato poca cosa rispetto al flusso dei movimenti finanziari. L’economia della globalizzazione è finanziarizzata: ma è una finanza che non si mette a servizio dell’economia, è una finanza che cresce su se stessa e fa guadagnare una ristretta cerchia di speculatori, aumentando le diseguaglianze sociali e impoverendo persone e popoli. È il finanzcapitalismo, come lo ha definito il sociologo Luciano Gallino.
La finanza è diventata fondamentalmente speculativa, disancorata dall’economia della vita delle persone e dei popoli. La finanza speculativa, quando si interessa all’economia reale, produce disastri, come quando ha cominciato nel 2008 a scommettere sulle derrate alimentari facendo impennare i prezzi e affamando milioni di persone o quando nel 2011 ha iniziato l’assalto agli Stati (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda) indeboliti dalla crisi e dal salvataggio delle banche d’affari aggravando il costo del debito.
Ma gli assalti speculativi agli Stati hanno lo scopo principale di imporre le politiche gradite ai protagonisti della finanza, che sono gli investitori istituzionali (compagnie di assicurazione, fondi pensioni, fondi comuni di investimento) e le grandi banche (che usano i depositi dei cittadini per speculazioni nelle Borse). Tali politiche si propongono di demolire le conquiste del welfare (previdenza), di privatizzare tutto ciò che è pubblico (istruzione, sanità, servizi pubblici), di ridurre il cittadino a consumatore, di rendere precario il lavoro, di accentrare i livelli decisionali, di depotenziare la capacità di autorganizzazione delle comunità, di svuotare la democrazia.
Finanza speculativa nuovo nome del totalitarismo
Nell’attuale sistema economico-finanziario lo svuotamento della democrazia è il maggior problema che la politica ha di fronte e che non è in grado di affrontare. La finanza vede la democrazia come un intralcio, un impedimento al perseguimento dei propri obiettivi, e quindi ispira ai politici di cambiare i sistemi elettorali e la stessa Costituzione in funzione della governabilità. La finanza esige dai governi la cosiddetta “politica delle riforme”: austerità nei bilanci degli Stati, eliminazione delle garanzie per il lavoratore, contrazione del welfare e dei diritti.
Una generazione che aveva creduto nella continuità del progresso, nella espansione dei diritti, sta amaramente apprendendo che la storia non è fatta solo di avanzamenti, ma anche di arretramenti, che i diritti non vanno soltanto conquistati ma anche difesi, che ogni generazione, ogni popolo, conserverà in futuro soltanto i diritti che sarà in grado di difendere con lotte (nonviolente).
“La finanza -per Gianni Tognoni- si pone come una teologia dogmatica che, per definizione, non è giudicabile, si autovalida, si ritiene depositaria della verità. […] La finanza è uno dei nomi che assumono oggi i totalitarismi, ma pretende di non essere valutata come un totalitarismo”. La finanza attacca i suoi oppositori marchiandoli come affetti da virus ideologici. Ma lo stesso liberismo economico è una ideologia, che affida al libero mercato una capacità di autoregolamentazione che nella storia non ha mai concretamente dimostrato di saper realizzare: in questi decenni le diseguaglianze sono fortemente aumentate sia tra gli Stati sia all’interno della vita degli Stati.
Finanza predatrice e shock economy
Una finanza senza legge detta legge, massacrando l’economia e la vita di miliardi di persone. Una finanza senza limiti detta limiti, imponendo agli Stati politiche di restrizione delle spese sociali anche a costo di restringere i fondamentali diritti delle persone, politiche di privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici, politiche di sfruttamento della terra a prescindere dai diritti dei popoli e delle generazioni future. Il potere finanziario afferma la sua signoria sul mondo: attraverso l’aumento di spese militari e la moltiplicazione dei conflitti armati, attraverso la mercificazione di ogni bene e la speculazione sui prezzi delle principali derrate alimentari, attraverso l’accaparramento di materie prime, di terre coltivabili, di risorse strategiche, attraverso il mantenimento dei paradisi fiscali e l’impunità dei sistemi mafiosi/criminali.
Le politiche degli Stati sono ispirate dai mercati finanziari, dall’andamento delle Borse, ricorrendo alla strategia della shock economy: che consiste nel creare un’emergenza -ad es. l’emergenza dello spread, del debito pubblico- così che si renda possibile, anzi inevitabile, assumere decisioni, provvedimenti che in condizioni normali sarebbe impossibile proporre e ancora meno attuare. Ma l’obiettivo più sconvolgente di simile strategia è stato espresso in un documento del Fondo monetario internazionale del 2010: “Le pressioni dei mercati potrebbero riuscire lì dove altri approcci hanno fallito”, e cioè dove? Sul piano dei diritti, dei beni comuni, sul piano della democrazia: svaligiare i diritti conquistati dalle lotte del movimento operaio del Novecento, riscrivere la Costituzione e lo Statuto dei lavoratori, cancellare l’esito “intollerabile” di un referendum che ha inviperito la finanza internazionale: il referendum sull’acqua e sul nucleare del giugno 2011.
Finanza speculativa contro democrazia
Siamo forse allo scontro decisivo, che decide il futuro: finanza speculativa contro democrazia. Svuotare la democrazia, senza abrogare le istituzioni democratiche, senza colpi di Stato militari, è avviarsi a quel modello di società che lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano definiva “democratura”. Se i governi decidono quello che i mercati, la finanza internazionale, dettano ed esigono, non quello che i cittadini chiedono e di cui necessitano, la democrazia si avvia a estinguersi.
Una democrazia è viva e sostanziale quando risponde ai bisogni dei cittadini, quando li riconosce come persone titolari di diritti, quando pratica una politica che diminuisce le differenze, quando difende i beni comuni dalla bramosia privatizzatrice delle multinazionali, quando promuove la partecipazione dal basso dei cittadini alla soluzione dei problemi, quando si avvicinano i centri decisionali ai cittadini.
Per costruire una democrazia reale, bisogna resistere contro un sistema economico che mette a proprio fondamento -ha affermato Roberto Mancini- la “dichiarazione universale dei diritti del denaro, non dell’uomo”. Ma la sfida non si esaurisce sul terreno economico: “non basta un’altra economia, serve un’altra civiltà, una svolta spirituale nel senso della vita”. Un’economia che non prescinda dall’etica, una civiltà che si apra a relazioni di dono e di solidarietà, che consideri tutti i viventi come commensali con pari diritti al tavolo della Natura.
Resistenza nelle scelte quotidiane
La resistenza deve praticarsi nelle scelte quotidiane di ognuno, come hanno testimoniato alcuni esponenti di lotte in corso, ospiti nei Seminari: a Torino un rappresentante del movimento NoTav che da vent’anni lotta in difesa del proprio territorio contro una “grande opera” inutile; a Isola Vicentina (VI) un socio della cooperativa agricola “Il Cengio” che si impegna per il reinserimento lavorativo di disoccupati; a Quarrata (PT) esponenti dell’associazione SE.ME che sta gestendo un esperimento di microcredito; a Salerno un operaio della Italcables di Caivano i cui dipendenti stanno tentando di riavviare la produzione a fronte della decisione dell’azienda multinazionale di cessare l’attività; ad Ancona il missionario padre Panichella che in Brasile anima e incoraggia le lotte degli ultimi.
Nelle scelte quotidiane di resistenza che vanno sempre più condivise e che sono state prese in considerazione, per sfatare la rassegnata affermazione che “non c’è alternativa” al sistema economico-finaniziario dominante, si è ricordato: scegliere Banca Popolare Etica come propria banca, partecipare alla vita dei Gas e alla costruzione di “distretti di economia solidale”, sostenere le campagne in corso (Tassazione delle transazioni finanziarie, contro le “banche armate”, stop al TTIP-Patto commerciale tra USA e UE), fare rete con tutti i gruppi locali che operano nella solidarietà con gli immigrati, portare nelle scuole la sensibilità per i problemi dei Paesi del Sud del mondo, avviare una riflessione sugli effetti della finanza speculativa nella vita delle comunità con cui la Rete Radié Resch vive relazioni di solidarietà.
Dalla Grecia un messaggio di dignità e di democrazia
Riflettere sul rapporto tra finanza e democrazia non ha potuto prescindere in questi mesi e soprattutto in questi giorni dalla solidarietà con il popolo greco: perché la vicenda del debito della Grecia è paradigmatica di un rapporto vampiristico tra finanza e democrazia: la signoria incontrastata della finanza espropria la democrazia, la riduce a rito sterile dove la vita e la dignità delle persone vengono sacrificate. Le politiche neoliberiste di austerità imposte in questi anni alla Grecia da Fondo monetario / Banca centrale europea / Commissione Europea -ha dichiarato l’economista Christian Marazzi- “si sono rivelate per quello che sono sempre state: un attacco sistematico alla democrazia, un totale disprezzo delle classi lavoratrici, il perseguimento criminale di politiche di arricchimento dei più ricchi” (in “il manifesto”, 1 luglio 2015, p. 4).
Il premier Alexis Tsipras il 27 giugno scorso si è rivolto ai suoi concittadini con un appello: “Greche e greci, a questo ultimatum ricattatorio che ci propone di accettare una severa e umiliante austerity senza fine e senza prospettiva di ripresa sociale ed economica, vi chiedo di rispondere in modo sovrano e con fierezza, come insegna la storia dei greci. […] La Grecia è il paese che ha fatto nascere la democrazia, e perciò deve dare una risposta vibrante di Democrazia alla comunità europea. E sono del tutto sicuro che la vostra scelta farà onore alla storia della nostra patria e manderà un messaggio di dignità in tutto il mondo”.
Comunque finisca la vicenda greca non si potrà non ripartire da qui: da chi ha scelto di non piegarsi al ricatto, ma di ergersi a fronte alta per affermare la propria dignità di cittadino e di popolo.
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