Ci sono dei momenti in cui sembra che la realtà reale fluisca in un corso d’acqua che fuoriesce dalle nostre coordinate quotidiane. E così: da sapienti analisti della realtà o intuitivi profeti dei movimenti della stessa, forse non sappiamo bene cosa fare ma certamente riusciamo a dire su di essa molte, molte cose. La sua complessità non ci trattiene e la sua più che evidente sofferenza, ancora meno. Per di più si aggiungono le notizie dei social, quelle dei giornalisti televisivi fino ad arrivare ai commenti dei parroci durante la celebrazione. La nostra testa diventa uno scrigno in cui si accumulano dati, dunque numeri, parole, immagini, mentre gli spazi si intersecano: quelli più familiari e quelli geograficamente più lontani e diversi dai più conosciuti e quotidiani.Nonostante tutte le nostre analisi e le nostre parole la consapevolezza del come stare in questa storia, si fa sempre più difficile, a volte confusa. A chi devo credere? Come discernere non solo il discorso ma ogni parola, ogni sillaba, ogni pensiero. Come centellinare le voci e i movimenti di una realtà reale che di per sé parla da sola? E poi, perché tanta preoccupazione sulla realtà reale: siamo forse noi i suoi custodi, per usare un antico e conosciuto testo delle Scritture ebraico-cristiane? O forse la realtà reale mi deve interessare proprio perché me lo dice la mia religione o la mia appartenenza ideologica?
Qualcuno dice che, a noi, esseri umani, ciò che ci distingue dai grandi primati, i nostri antenati, è la capacità umana di empatia (cfr. Carol Gilligan, La virtù della resistenza, 2014). Stando a questa prospettiva si tratta dunque di qualcosa che ci viene dal nostro principio umano, il nostro sviluppo, il nostro modo di crescere comunque in mezzo ad altre ed altri. In oltre, in questa prospettiva, crescere in mezzo ad altre e altri significa dunque coltivare relazioni “alloparentali”, cioè fuori dal ristretto nucleo familiare o parentale. Mi domando dunque, in tutto il corso della storia e in questa nostra storia presente, dove si è perduto questo legame empatico?
Forse si è perso per aver coltivato troppo quei sensi di appartenenza “parentali”, certo non solo familiari ma culturali, religiosi, ideologici, ecc.? O forse per quella crescente presa di coscienza degli esseri umani chiamata proprietà privata, dove in quel termine “privata” è entrato un po’ tutto?
Certamente il fiume della storia attuale con tutte le sue vicende ci travolge, ma soprattutto perché altri ce lo presentano volutamente così, incalzante, enorme, quasi travolgente, per cui meglio ripararci, allontanarci o nasconderci in qualche recinto più domestico. Forse è vero, ma ciò non toglie che la vita comunque cresce nell’empatia e non solo in quella umana ma in quella umanocosmica. E l’empatia non sfocia solo nei gesti che per altro richiedono abitare nello stesso luogo, essere vicini, superare il virtuale, ma anche nelle strategie del pensiero e dell’infinito desiderio che provocano comunque delle scelte e che decidono anche cosa si deve fare o non fare e come muoversi in questa complessa realtà reale. E’ in questo senso che a seguito condivido con un semplicissimo documento nato dalla ricerca di alcune donne che hanno solo l’intenzione di mostrare l’empatia della loro vita nella storia attuale. Nato in una riunione durata quasi un mese, a cui anche io ho preso parte; riflettuto, scritto e discusso insieme. Corretto e ricorretto perché ciascuna potesse ritrovare la sua empatia e il suo impegno.
Chi lo leggerà non dovrà sottoscriverlo, perché non è stato scritto per i politici, per i vescovi, ecc. ma in nome di un’urgenza che fa parte della vita stessa. L’urgenza di queste relazioni alloparentali perché la vita non cessi di essere tale e perché non si perdano i pochi o molti suoi pezzi.
Ecco il testo.
«Mi guardi il Signore dal cederti l’eredità dei miei padri» (1 Re 21,3)
Siamo un gruppo di donne di differenti età ed esperienze di vita. Apparteniamo come religiose all’Ordine domenicano che da secoli ci ha lasciato un’unica eredità: la passione per l’umanità e il cosmo, insieme ad alcuni strumenti per prendercene cura, cioè la contemplazione, la parola condivisa, la sete della verità e il bisogno di mendicarla sempre e ovunque.
Tante volte abbiamo tradito queste intuizioni, ma nelle nostre più diverse esperienze la passione non è mai venuta meno così come non si è mai interrotto il legame con ogni realtà che ci ospita.
Abbiamo coscienza di essere un gruppo molto piccolo rispetto a tutte le donne del mondo e al resto dell’umanità, ma comunque siamo donne con l’esperienza di una ricerca quotidiana fatta di attenzione a ogni palpito della vita interiore, della storia e delle storie degli altri.
La nostra esperienza riguarda la relazione con il Mistero contemplato, ricercato e pensato tra di noi, negli altri e nell’ambiente. Tante volte abbiamo constatato che la speranza non è passiva attesa ma immaginazione, desiderio di ricercare sempre e insieme. L’esperienza di fede ci ha aiutato a intuire che più si ha sete e fame del divino, più si ha sete e fame di giustizia e pace: due possibilità che la storia ha e che nello scorrere del tempo e con lo sforzo dell’umanità riusciranno ad abbracciarsi. (Cfr. Sal 85,11). Per questo professiamo pubblicamente che non vogliamo svendere la preziosa eredità che ci è stata data.
Non cederemo fratelli, sorelle e cosmo a nessun sistema politico, economico o religioso, che sia contro di essi, che sia escludente, che crei divisione, che sia rigidamente gerarchico.
Non cederemo i giovani al potere subdolo del denaro, all’ignoranza voluta da chi li preferisce inerti, disoccupati, a chi li compra con inganno e invece di istruzione mette loro in mano armi e droghe.
Non cederemo le donne all’arroganza degli uomini e al loro disprezzo in ogni ambito: familiare, sociale, culturale e religioso.
Non cederemo i popoli ai mercanti di armi e a chi li costringe a usarle in cambio di un falso sviluppo per una nuova colonizzazione che li rende profughi ed esiliati.
Non cederemo la terra e le sue risorse, insieme a tutta la sua bella biodiversità, alle multinazionali e a chi le gestisce sotto la veste di benefattori.
Non cederemo la bellezza delle diversità umane a chi le vuole uniformare o escludere, in nome di falsi principi morali.
Non cederemo “l’anima” di nessun essere vivente a chi la vuole soffocare o a chi se ne vuole appropriare.
Non cederemo la bellezza né il sogno né il desiderio infinito.
Molti popoli e molti individui conoscono che cosa significa soffrire e vivere in stato di esilio, sentirsi privati dei propri sogni oltre che dei propri beni.
Dice un testo della sapienza ebraico-cristiana: Presso i fiumi di Babilonia, là sedevamo e anche piangevamo, ricordandoci di Sion. Sui salici in quella terra, avevamo appeso le nostre cetre […] Come potevamo cantare un canto del Signore su suolo straniero? (Sl 137,1-4)
In qualche modo, oggi, tutti siamo un po’ esiliati, un po’ stranieri, in parte schiavi e in parte liberi. Il nostri destini sono profondamente legati, al di là dell’essere credenti o non credenti, appartenenti a questo o quell’altro popolo, a questa o quell’altra religione. Siamo parte dello stesso cosmo ed esso a tutti appartiene; tutti siamo un po’ terra, piante, aria, acqua, mari, fiumi.
Dunque, se ai salici vogliamo appendere qualcosa, non permetteremo che si appendano gli strumenti della gioia; non permetteremo che si appendano gli strumenti di lavoro, i titoli di studio, i quaderni, i libri, le foto dei nostri familiari. Lasceremo invece appesi, gli strumenti di morte: le divise da militari e guerrieri, gli stivali e gli scarponi sporchi di sangue e ogni strumento violento. Lasceremo lì vicino le testate nucleari e li aeri da guerra, insieme agli scheletri degli edifici della finanza mondiale, trasformandoli in resti da museo a testimonianza della stupidità umana.
Ci rendiamo conto che il nostro piccolo gruppo non ha nessun particolare potere e nessuna soluzione per portare avanti da solo queste possibili trasformazioni. Ciò che possediamo infatti è solo l’autorità dell’immaginazione che ci è data dalla nostra fede e dalla passione per questa bella e allo stesso tempo fugace e complessa realtà umano-cosmica, che appartiene ai miti, cioè a quanti sulla terra prendono poco posto.
E noi sappiamo che sulla terra, ci sono ancora tanti miti. Con essi condividiamo questa professione di fedeltà alla vita e a Chi, prima di noi, l’ha immaginata.
(Testo nato dall’Assemblea generale dell’unione suore domenicana San Tommaso d’Aquino, luglio 2015).
A tutte coloro che rimangono disturbate dal fatto che l’eredità che noi evochiamo (vedi testo iniziale) è maschile, cioè “dei padri”, spiego che oltre ad una certa serietà metodologica che abbiamo adottato nel riportare il testo così come appare nelle Scritture, vorrei far notare che in quel momento la nostra preoccupazione non era analizzare dei testi secondo un’ermeneutica femminista, ma soprattutto risvegliare un’urgenza. Un passo fondamentale, anche per accorgersi della storia delle donne.