La Rete Radié Resch nel 2014 ha costituito una commissione Finanza per mettere a fuoco l’impatto della finanza speculativa/criminale sulla democrazia, ritenendo che i cambiamenti avvenuti nella nella finanza nell’ultimo ventennio -il travisamento della sua tradizionale funzione di strumento dell’economia- costituiscano una minaccia alla vita democratica delle società, ai diritti delle persone, dei popoli e della Terra. I Seminari interregionali svolti nel maggio scorso hanno contribuito alla conoscenza dello strapotere della finanza e delle multinazionali nel condizionare o determinare le politiche dei governi, connotandole come politiche autoritarie e di esclusione. La Rete Radié Resch, che ha sempre inteso incidere sulle cause che producono ingiustizia e povertà, ritiene quindi che riflettere sulla tematica delle finanza speculativa/criminale sia importante per affrontare il problema nella sua dimensione strutturale.
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La finanza strumento dell’economia
La finanza ha avuto in passato come sua principale finalità quella di essere al servizio delle attività umane, collettive e individuali: Stato, imprese, cittadini avevano nella finanza un supporto per svolgere la propria funzione, realizzare i propri progetti imprenditoriali o familiari/personali. Finanza ed economia si integravano a vicenda, pur conoscendo periodicamente momenti di crisi che obbligavano a una ridefinizione delle condizioni del rapporto, che comunque concepiva la finanza nel ruolo di strumento a servizio dell’economia.
A tagliare il cordone ombelicale tra finanza ed economia sono stati i cambiamenti intervenuti a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. Il vento del neoliberismo, dopo aver investito i settori produttivi imponendo ristrutturazioni aziendali e avviando una controffensiva nei confronti delle conquiste dei lavoratori e della gestione “pubblica” dell’economia, ha imperversato nel settore finanziario. La caduta del muro di Berlino e dei regimi comunisti nell’Est Europa ha favorito l’affermazione delle politiche neoliberiste e ha avviato l’era della globalizzazione capitalistica e la corsa alla totale liberalizzazione: delle merci, delle telecomunicazioni, degli investimenti, dei servizi finanziari. Nel momento in cui si proclamava la morte delle ideologie, si è imposta una nuova ideologia: quella del cosiddetto “libero mercato”, del “pensiero unico”, con tratti tipici del fondamentalismo.
La finanziarizzazione dell’economia
Con la globalizzazione i flussi finanziari hanno avuto un incremento incontrollato ed è emerso che la maggior parte delle transazioni finanziarie erano mosse da speculatori che puntavano a rapidi profitti attraverso spostamenti di somme ingentissime sui mercati borsistici ufficiali e anche sui mercati della finanza ombra, dove la mancanza di trasparenza è assoluta. Siamo entrati nell’era della finanziarizzazione dell’economia. L’economia finanziarizzata si è nettamente separata dalla realtà produttiva: i più alti profitti non li realizza chi produce beni e servizi, ma chi viaggia sulle rotte virtuali della speculazione finanziaria. Negli ultimi anni, come ha scritto Andrea Baranes, “oltre il 98% dei capitali che circolano nel mondo non ha nessuna finalità produttiva e non è legato all’economia reale, ma serve unicamente alla speculazione, ovvero a fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile” (Finanza per indignati, Ponte alle Grazie, 2012, p. 37). La finanza da mezzo è assurta a fine, ha rivendicato il proprio dominio sull’economia e ha ispirato la propria attività al principio della speculazione, finendo con l’esserne soggiogata: così che, se la finanza domina l’economia, è però la speculazione a dominare la finanza.
La subordinazione della politica
Questo è potuto avvenire non per processi inevitabili, ma perché la politica ha abdicato al suo compito storico di dettare le regole, di governare l’economia e la finanza per impedire che si instauri la legge del più forte e che la democrazia sia svuotata di ogni sostanza. La politica è venuta meno alla sua missione, perché è stata condizionata e “comprata” dall’azione delle lobby della economia e della finanza. La conseguenza è stata che i cosiddetti “mercati” ogni giorno danno il voto alle scelte dei governi, mandano avvertimenti, esigono subordinazione ai propri voleri. La politica si è subordinata all’economia e alla finanza. La democrazia viene anestetizzata, svilita, dove le multinazionali e i poteri finanziari dettano le linee programmatiche alla politica e spesso i ministri sono scelti tra i dirigenti delle multinazionali e delle grandi banche.
La finanza speculativa
La finanza che ha tagliato il cordone ombelicale con l’economia è la finanza speculativa. Vi è stata in passato e continua ancora oggi una tradizionale forma di finanza speculativa che mantiene un rapporto con beni economici: il comprare un bene per rivenderlo in futuro a un prezzo più alto o il vendere subito un bene prevedendo che in futuro il suo prezzo scenderà.
Nel tempo della globalizzazione capitalistica la finanza speculativa si attua soprattutto con strumenti “derivati”, ossia contratti finanziari il cui valore “deriva” da quello di un qualsiasi bene sottostante (valute, materie prime, derrate alimentari): ma c’è chi compra o vende “derivati” senza possedere il relativo sottostante, quindi agendo allo scoperto e scommettendo sui prezzi di beni e materie che non possiede, in quanto c’è chi acquista un “derivato” sul grano o sul petrolio senza avere alcun interesse né attività nel settore agricolo o petrolifero. Oppure c’è chi (grandi banche, gruppi finanziari) pratica l’high frequency trading (commercio ad alta frequenza) attraverso computer che, applicando programmi informatici predisposti, comprano e vendono nel mercato borsistico, attivo 24 ore su 24, azioni e obbligazioni sfruttando a proprio vantaggio le minime oscillazioni di prezzo per realizzare alti profitti e provocando enorme instabilità sui mercati. Più della metà delle operazioni che avvengono sui mercati finanziari sono eseguite automaticamente da computer.
La finanza speculativa di questo tipo ha quindi come principale attività quella di fare scommesse su qualsiasi attività o prodotto, per questo è stata paragonata a un casinò.
La finanza criminale
Vi è di peggio di una finanza speculativa, animata dall’imperativo categorico di massimizzare i profitti nel più breve tempo possibile, ed è la finanza criminale: quella che specula sul cibo, sulla terra che dà sopravvivenza ai poveri (land grabbing), sul commercio delle armi; quella che finanzia la tratta degli esseri umani, il mercato della droga, le attività delle mafie; quella che va all’assalto dei beni comuni, dei servizi pubblici, della sanità pubblica; quella che finanzia i conflitti armati, pratica il riciclaggio di denaro sporco, sfrutta il lavoro e la povertà dei bambini; quella che rapina le ricchezze del Sud del mondo, nasconde i profitti nei paradisi fiscali, si garantisce l’impunità per i propri comportamenti; in sintesi, quella che sostiene che il profitto viene prima delle persone, che per il profitto si può calpestare la vita e la dignità delle persone, si possono umiliare i popoli che resistono ai diktat dei potenti, si può aggredire la natura e la biosfera.
La finanza predatrice e criminale continua la missione di quelli che nella seconda metà del Novecento erano chiamati “sicari dell’economia”: nel senso che oggi la finanza criminale è diventata “il” sicario dell’economia. I sicari dell’economia erano una élite di professionisti che avevano il compito di trasformare la modernizzazione dei Paesi in via di sviluppo in un continuo processo di indebitamento e di asservimento agli interessi delle multinazionali e dei governi più potenti del mondo. I sicari dell’economia erano contemporaneamente sicari della democrazia, della cultura e della identità popolare, della forza di autorganizzazione e di resistenza.
La logica del saccheggio
La logica del saccheggio è intrinseca alla storia dell’Occidente, in particolare negli ultimi cinque secoli: annientati o colonizzati i popoli “altri”, privatizzati i beni comuni, sfruttato il lavoro umano, depredata e inquinata la natura, tarpati i sogni di cambiamento.
Nel tempo della globalizzazione la logica del saccheggio continua più che mai: saccheggio a danno di industrie sane acquistate per essere smembrate ed eliminate in quanto concorrenti, senza rispetto per chi lavora; saccheggio a danno dei risparmiatori che si sono affidati a banche che privilegiano il fare finanza speculativa rispetto all’essere banca a servizio dell’economia; saccheggio a danno dei risparmiatori che si sono lasciati convincere a frequentare la Borsa-casinò; saccheggio a danno degli Stati che non si adeguano ai diktat del neoliberismo; saccheggio a danno del welfare, dei servizi sociali, degli investimenti nella cultura. Nell’antichità il saccheggio era opera degli eserciti vincitori che si trasformavano in occupanti dominatori; oggi il saccheggio è opera di gruppi di potere ricchissimi, accecati dall’avidità.
Un’altra finanza: prima di tutto le persone
Ci sono uomini e donne, comunità e popoli, che resistono alla mercificazione, all’annullamento dei valori, alla deregolamentazione finalizzata al dominio. Così facendo contribuiscono alla realizzazione di un altro mondo, di un’altra economia, di un’altra finanza: dove al centro stanno la natura e le persone, la preservazione delle risorse naturali e delle relazioni umane, i bisogni della società presente e delle generazioni future.
Le nostre scelte di cittadini possono rafforzare queste dinamiche finalizzate a rendere possibile un altro modo di organizzare la società, l’economia, la finanza. Raccogliendo l’idealità dei Monti di Pietà dell’età medievale, delle Casse di risparmio di inizio Ottocento, delle Banche popolari e delle Casse rurali della seconda metà dell’Ottocento, negli ultimi decenni del Novecento sono sorte forme di finanza etica: prima le MAG (mutue di auto gestione del risparmio), poi Banca popolare etica. Le Banche popolari rimaste indenni dalla tentazione del gigantismo e le Banche di credito cooperativo (ex Casse rurali), generalmente costituiscono ancora una realtà finanziaria a servizio dell’economia e dei rispettivi territori: quelle che sono rimaste fedeli alla propria storia conservano una ragione etica, anche se non è dichiarata nella loro denominazione.
La finanza eticamente orientata vuole essere attenta alle conseguenze non economiche (impatto ambientale, sociale e sui diritti umani) delle azioni economiche; richiede che il profitto derivante dal possesso e dallo scambio di denaro sia conseguenza di attività rivolta al bene comune e sia equamente distribuito tra tutti i soggetti che concorrono alla sua realizzazione; propone come requisito fondamentale di tutte le operazioni finanziarie la massima trasparenza; indirizza la gestione delle risorse finanziarie, messe a sua disposizione, verso attività socioeconomiche finalizzate all’utile sociale, ambientale e culturale.
La finanza etica ha risposto a una forte domanda di gruppi di cittadini che hanno preso consapevolezza che -dopo la riforma delle banche del 1993- in buona parte del sistema bancario hanno prevalso scelte puramente speculative, per adeguarsi alle richieste di alti dividendi da parte degli azionisti. Per le banche di maggiori dimensioni -secondo Baranes- “meno della metà dei ricavi proviene dai prestiti alla clientela, mentre la parte più sostanziosa è realizzata grazie a operazioni finanziarie e commissioni su prodotti spesso rischiosi e speculativi” (ivi, p. 44).
La finanza etica non soltanto ha retto bene dentro la lunga crisi di questi anni, ma ha indicato soluzioni valide per impedire che si ripeta: regolamentare la finanza, introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie, separare le banche commerciali da quelle di investimento, creare valore non soltanto per l’azionista ma per tutti i portatori di interesse, praticare la trasparenza, ridimensionare gli scandalosi compensi dei manager, chiudere i paradisi fiscali.
Purtroppo i governi e i consigli di amministrazione delle banche non hanno adottato alcuna di queste soluzioni. Anzi, a livello europeo, il recente piano triennale di investimenti (“Piano Juncker”) si propone di ottenere un incremento delle attività finanziarie e di creare un vero mercato unico dei capitali in tutti i 28 Stati della UE (CMU-Capital Markets Union) abbattendo gli ultimi controlli sui movimenti di capitale e rilanciando una serie di attività finanziarie rischiose che sono state all’origine dell’attuale crisi. La lobby delle grandi banche internazionali ha espresso un incondizionato plauso all’iniziativa della Commissione Europea (A. Baranes, in “il manifesto”, 10 ottobre 2015, p. 15).
Scelte e pratiche coerenti
A fronte di questa pervicace e cieca politica dei governi, succubi delle lobby, è necessario che i cittadini si assumano la responsabilità delle proprie scelte anche in campo finanziario. Ciascuno deve fare la propria parte, anche se piccola. Come investire i nostri risparmi, a quale banca affidare le nostre pur semplici e ridotte operazioni finanziarie (accreditamento dello stipendio/pensione, pagamento delle bollette, bonifici, bancomat, carta di credito), non possono essere scelte affidate solo al tornaconto (tasso di interesse più alto, minori costi, vicinanza dell’agenzia…). Bisogna informarsi sull’elenco delle cosiddette “banche armate” e cessare ogni rapporto con loro. In generale le grandi banche sono le meno affidabili eticamente, anche quando si dotano di fondi etici per tacitare i clienti critici verso le loro scelte.
Le alternative vanno cercate nell’ambito della finanza etica, che svolge tutta la sua attività per fini sociali e non speculativi: sostenere le realtà che si impegnano nel rispetto dei diritti umani (e dei lavoratori) e nella promozione della responsabilità sociale ed ambientale è uno strumento che può innescare un processo di cambiamento nel sistema economico orientandolo verso il bene comune.
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Anche come Rete Radié Resch abbiamo scelte da praticare: dopo aver finalmente spostato su Banca Etica la dimensione finanziaria della nostra azione di solidarietà, dobbiamo dare attuazione alla decisione di collaborare con il Tribunale Permanente dei Popoli sul tema specifico della finanza criminale su cui il Tribunale intende prossimamente avviare una sessione con l’obiettivo di esaminare l’impatto che la finanza, nel suo arrogarsi il diritto di prevalere su ogni altra istanza, ha sui diritti fondamentali delle persone e dei popoli. In questo percorso si colloca anche la riflessione interna alle reti locali sulla propria operazione per analizzare l’impatto che la finanza speculativa/criminale ha sulla vita delle comunità del Sud con cui siamo in relazione solidale.