Scrivo questo articolo in una situazione un po’ particolare, seduta su un divano non mio, in una casa non mia, in una città e in un Paese che non sono i miei.
In questi giorni mi sono messa a pensare a quanti miei coetanei ho visto partire, lasciare l’Italia.
Per studio, per lavoro, per pochi mesi, per non tornare.
Perdo facilmente il conto.
E ci sarebbe tanto da dire, sull’Italia che non offre opportunità, che non riconosce il merito, su chi vuole restare e non può, su chi odia e scappa dal Bel Paese.
Però io stavo pensando anche al risvolto della medaglia, mi sono messa a guardare le cose da un altro punto di vista.
Noi ventenni che impacchettiamo cambi di stagione in valigie più grandi di noi, siamo i primi cittadini degli Stati Uniti d’Europa. Cittadini di fatto di una federazione che non c’è.
Come vedevamo succedere nei telefilm americani, scegliamo il Paese in cui andare a studiare, le porte dell’Europa ci sono aperte e disegniamo la nostra strada.
E a pensarci, è bellissimo. È una opportunitá incredibile, prove generali di quello che potrá essere.
Ecco, il problema è il “potrà”. Non è detto che accada.
Dopo che l’Europa fu dilaniata dalla guerra qualcuno intuì le potenzialità non solo economiche dell’Unione.
Il cammino poi è stato tortuoso dalla CECA alla CEE, dalla moneta unica a Shengen.
Noi per fortuna la guerra la conosciamo solo dai libri di scuola, tutto questo per noi è un dato di fatto e purtroppo, proprio per questo, rischiamo di non essere in grado di difendere la nostra libera circolazione, la nostra assenza di confini, i nostri ampi orizzonti.
L’Unione Europea non è un unione politica, questo è evidente, e purtroppo assistiamo a una fase in cui quello che sembrava un percorso giá tracciato e definito, è messo in discussione. Questa Europa rischia di cadere a pezzi sotto gli attacchi della crisi economica, della paura, della intolleranza, dell’intransigenza, della disumanità.
Noi, generazione Erasmus, dovremmo farcene carico. Noi che conosciamo cosa significa, quanto è importante travalicare i confini nazionali; noi che aspiriamo a una formazione completa, approfondita, dinamica, critica; noi che sappiamo quanto è stupido dividere e giudicare le persone in base al paese in cui sono nate, non possiamo permettere che si torni indietro.
Siamo i primi che stanno sperimentando cosa può significare davvero l’Europa unita. Dobbiamo assicurarci di non essere gli ultimi.
I nostri avversari sono Capi di Stato, leader politici nazionalisti e xenofobi, burocrati e fan dell’austerity, sostenitori dell’economia piuttosto che dello sviluppo e dell’armonia dei popoli, tutta gente che l’Europa come la vediamo noi, neanche la conoscono.
Noi invece così tanti e dalle storie più disparate, rappresentiamo davvero l’Europa che verrà e siamo chiamati a costruirla.
Vivere lontani da casa per un semestre non deve solo significare vivere una esperienza straordinaria. In cambio dobbiamo a questa Europa tutto l’impegno affinchè i confini siano solo dei tratti su una mappa; in cambio dobbiamo prenderci cura di questa Europa che ci forma, ci stimola, ci apre le porte ma dall’altro lato rischia di deluderci e anche tanto.
Non so come sia possibile, non so cosa praticamente siamo chiamati a fare. Forse dobbiamo solo crederci, forse dobbiamo farci carico di quel sogno che i padri fondatori dell’Europa avevano, che noi stiamo vivendo, e assicurarci che divenga la realtà.
Siamo i primi, lo ripeto, i primi membri di una generazione europea in movimento, una generazione eterogenea, curiosa, preparata, determinata.
Siamo i primi e oggi forse siamo anche gli unici che l’Europa unita la vivono: dobbiamo mostrarla anche a tutti gli altri.