12 GIUGNO 2016
Ogni settimana, centinaia di palestinesi sono soggetti a colpi di arma da fuoco da parte degli israeliani e scappano terrorizzati. Secondo loro quello che hanno provato gli israeliani in questo unico attacco è nulla rispetto a quello che sperimentano ogni giorno.
di Amira Hass | 10 giugno, 2016 |
Wafa, l’agenzia ufficiale di notizie dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina [OLP], ha messo sul suo sito una spettacolare fotografia dei fuochi d’artificio a Gaza in onore del sacro mese musulmano del Ramadan e non per inneggiare all’attacco armato di mercoledì a Tel Aviv. Anche se ci sono stati palestinesi che hanno espresso soddisfazione per l’attacco di fronte alle telecamere che li hanno trovati proprio nel momento e nel luogo giusti, né la soddisfazione né l’appoggio[all’attacco] potrebbero descrivere con precisione i sentimenti della maggior parte dei palestinesi sulla sparatoria.
C’è una generale comprensione riguardo al motivo che ha spinto [ad agire]i due attaccanti della città cisgiordana di Yatta, insieme all’apprezzamento per quello che è apparso il loro coraggio. Vi è anche molta preoccupazione rispetto a quale sarà la risposta di Israele.
L’agenzia Wafa ha anche pubblicato una condanna dell’attacco proveniente dall’ufficio del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas. Sicuramente gli israeliani non si accontenteranno di questo, mentre allo stesso tempo i palestinesi si arrabbiano per la sua equidistanza. “L’ufficio di presidenza ha espresso la sua ripetuta condanna di ogni azione da qualunque parte provenga che prenda di mira i civili indipendentemente da quello che potrebbero essere le motivazioni,” afferma il comunicato. Ha anche affermato che la creazione di un clima positivo e la realizzazione di una giusta pace potrebbero garantire la sicurezza dei civili.
L’opposizione di Abbas a qualsiasi escalation ha avuto un riflesso concreto. Per esempio, le sue forze di sicurezza stanno arrestando e imprigionando gli attivisti che non sono stati arrestati da Israele e che hanno guidato le manifestazioni contro il muro di separazione a Betlemme. Di conseguenza sono cessati gli scontri in uno dei punti più caldi. Ma con questo suo comunicato moderato, Abbas ha evidentemente cercato di evitare di urtare la suscettibilità del suo pubblico.
Il suo partito Fatah non ha potuto condannare l’attacco di Tel Aviv. Un comunicato dell’organizzazione ha definito la sparatoria “una risposta individuale e naturale” alla violenza dello Stato israeliano. Un portavoce ha spiegato che per “violenza dello Stato” si intendeva la politica delle demolizioni delle case e lo sradicamento dei palestinesi dalle loro comunità, le “irruzioni dei coloni” sulla spianata delle moschee di Al-Aqsa a Gerusalemme e “gli omicidi a sangue freddo di palestinesi ai checkpoint”.
Da parte sua il movimento Hamas ha elogiato l’attacco, mentre il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina [FPLP] lo ha definito un punto di svolta nell’attuale intifada e una condivisibile reazione al gran numero di palestinesi uccisi da Israele. Riferendosi al luogo dell’attacco di Tel Aviv, avvenuto di fronte al Ministero della difesa, [il FPLP] ha detto che si è trattato di una sfida al nuovo ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, e che è la conferma che la lotta armata è il modo migliore per garantire i diritti dei palestinesi.
Il comunicato del Fronte Popolare si avvicina all‘opinione prevalente nell’opinione pubblica palestinese rispetto alle posizioni di Abbas o di Fatah, come riportato dal sondaggio pubblicato questa settimana dal Palestinian Center for Policy and Survey Research [Centro palestinese di ricerca e analisi politica]. Il sondaggio ha rivelato che il 58% degli intervistati (il 68% nella Striscia di Gaza e il 52% in Cisgiordania) è convinto che la rivolta degli attacchi individuali esplosa a ottobre, caratterizzata in prevalenza da attacchi all’arma bianca e che si sta trasformando in un’intifada armata, potrebbe essere più utile agli interessi nazionali palestinesi rispetto ai negoziati con Israele.
L’appoggio agli attacchi all’arma bianca è diminuito. Solamente il 36% degli intervistati nella Cisgiordania è solidale. Nella più lontana Gaza, invece, gli attacchi all’arma bianca sono stati appoggiati dal 75% degli intervistati.
In altre parole, vi è un ampio sostegno a parole da parte di coloro che sono lontani e che non sono coinvolti, mentre quelli che possono agire sono restii a farlo.
L’uso delle armi conserva nelle analisi e nelle dichiarazioni la propria aura quale punto più alto della lotta nazionale contro l’occupazione israeliana. Ma né il FPLP, né Hamas o Fatah hanno cercato o osato trasformare l’escalation dell’anno scorso in una lotta armata, perché non possono oppure sanno che fallirebbe, o che la gente non è realmente interessata o preparata.
I programmi televisivi che hanno mostrato gli israeliani che scappavano terrorizzati dagli attentatori sono scene familiari ai palestinesi. Giorno dopo giorno, sperimentano la paura asfissiante degli israeliani armati. Ogni settimana centinaia di palestinesi sono esposti alle sparatorie degli israeliani e fuggono terrorizzati; qualche volta sono feriti o uccisi. Secondo la loro opinione, quello che hanno passato gli israeliani in questo unico attacco è nulla rispetto a quello che sperimentano ogni giorno.
I palestinesi si prendono qualche rivalsa se viene sconvolta la normalità di Tel Aviv, solo a un’ora di macchina dalle zone di disperazione individuale e nazionale a Gaza e in Cisgiordania. La maggior parte è ben consapevole che questo sconvolgimento non cambierà l’orientamento e il comportamento degli israeliani. Tuttavia neppure le dimostrazioni pacifiche, le trattative diplomatiche e i resoconti dei media hanno trasformato gli israeliani in sostenitori del Meretz [partito sionista della sinistra moderata sostenitore della soluzione dei due Stati, ndt]. Quindi tutto quello che rimane è una soddisfazione momentanea di vendetta.
( Traduzione di Carlo Tagliacozzo)