Ho da poco passato 5 giorni tra Belgio e Francia, qui a due passi, ma mi sento come se avessi fatto il giro del mondo… uno di quei viaggi in cui man mano si avvicina la partenza ti chiedi continuamente chi te l’abbia mai fatto fare di aderire… come se dovessi superare le colonne d’Ercole.
Quante volte ho pensato di non andarci? Perché è chiaro che in un viaggio come questo già prima di partire senti che qualcosa lascerai… qualcosa di certo e rassicurante, di comodo e sicuro… preconcetti, immagini edulcorate, paure. É un po’ come decidere di togliere degli abiti caldi e comodi non sapendo bene quali altri vestiti troverai.
Accoglienza è la parola che mi ha accompagnato… a dire il vero è la parola che mi accompagna da ottobre, da quando ho iniziato a lavorare nel progetto di accoglienza richiedenti asilo politico della cooperativa Ruah di Bergamo. Accoglienza è ciò che ho riscoperto grazie ai miei compagni di viaggio, ma soprattutto grazie ai migranti che ho incontrato.
Viaggio a Calais e dintorni: la sua Giungla.
Calais è luogo che si costruisce, si distrugge ma poi rinasce.
Calais è sede di illegalità e legalità.
Calais è posto di grande conflitto e di estrema solidarietà.
Calais è luogo di approdo e di passaggio.
Calais è emblema di povertà e di ricchezza.
Calais è posto di sofferenza senza rassegnazione.
Calais trasuda coraggio e determinazione.
Tutta questa vita, mille anni luce dall’essere contraddittoria, fa di Calais un luogo estremamente contemporaneo: allo stesso modo in movimento e in attesa.
Calais, la sua Giungla, non si trasforma solo per essere costruita su suolo sabbioso, in continuo movimento, le dune oltre le quali traguardare la Manica e oltre questa il sogno, la Gran Bretagna.
Calais cambia con i suoi abitanti… in fermento, vivi, curiosi… essi hanno un solo obiettivo: essere di passaggio. Un passaggio che però è attesa brulicante.
Con gli occhi desiderosi di scambiare, interrogare, indagare.
Con gli occhi capaci di accogliere, di scherzare.
Con lo sguardo desideroso di incontrare.
Ditemi voi, io non posso capire come sia possibile non ascoltare.
Negozi, ristoranti, dentisti, scuole, chiese, moschee, panifici, abitazioni, per non dire profumi, suoni, emozioni…
Non stavo in Francia qualche passo indietro?
Sentirsi straniero… una minoranza… cosa dicono? dove vado? …non sai dove andare, non sai con chi parlare, non sai come muoverti. Fino a quando qualcuno ti accoglie… uno sguardo, un sorriso, una domanda… mille domande… su me?…sì, domande su di me! …ma come… voi vi fate curiosi di me a casa mia, l’Europa ma contemporaneamente a casa vostra, la Giungla?
E in base a quale criterio questa è casa mia o casa vostra? Secondo quale diritto questa è Giungla e non più Francia?
E così è stato un attimo sentirsi stranieri in terra europea, per poi ritrovarsi, tra degrado ambientale e profonda dignità umana. Passare il confine di ciò che è conosciuto e rassicurante e ritrovarsi in mille e più mondi insieme, sconosciuti… Eritrea, Sudan, Armenia, Iraq, Pakistan, Afghanistan… e infine trovarne uno unico, grazie a loro:
la dignità umana… la vedi, la riconosci, ti fa dire: “Sono sicura: ci siamo già incontrati!”.
Ti fa sentire a casa negli occhi di qualcun altro.
Accoglienza, la loro.
Perché non possiamo pensare che questo suolo -mai fermo- sia nostro, per come lo vogliamo attraversare, tutti noi abitanti e abitati di dignità umana?
Ditemi, perché abitare in Europa non è un diritto invece che un privilegio?
Ho lasciato paure per trovare dignità: la mia, con il desiderio di capire ancora un po’; la loro, con il desiderio di un futuro migliore laddove si trova il loro sogno.
La nostra, di esseri umani.