di Gideon Levy – 25 settembre 2016 – Haaretz
Diamo a Cesare quel che è di Cesare: il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ragione. Ha ragione quando dice che Israele ha il mondo in tasca. Ha ragione quando dice che Israele ha un brillante futuro alle Nazioni Unite. Ha ragione quando appare molto sicuro di sé, allegro e ottimista come mai prima, sicuramente non come primo ministro. Ha ogni ragione per sentirsi così. Netanyahu ha ragione – ed è un disastro.
Siamo delusi. E’ scoraggiante per chiunque abbia creduto nel mondo, nel presidente Barak Obama o nell’Europa, che abbia creduto nel potere dell’impatto dell’opinione pubblica sui governi in Occidente. E’ desolante per chiunque abbia creduto che non ci sarebbe più stato colonialismo nel XXI secolo, che una brutale occupazione militare non sarebbe continuata fino alla sua terza generazione. Tutte le profezie catastrofiche che sono state la fonte di speranza per chi ha creduto che l’occupazione israeliana dovesse terminare sono svanite.
Ci hanno promesso pressione internazionale e sanzioni; l’isolamento internazionale e la fine degli aiuti degli USA; boicottaggio e ostracismo. Invece abbiamo un’occupazione che non è mai stata così radicata e un Israele che non è mai stato così forte.
Ci avete promesso che non sarebbe andata avanti per sempre, ma abbiamo scoperto che è vero il contrario. E quanto. Perché? Perché Israele può farlo, perché è forte; perché Israele è ben lungi dall’essere isolato. Ammettiamolo, l’occupazione israeliana è più radicata che 10 anni fa, e la sua fine non è neppure visibile all’orizzonte. Dobbiamo riconoscerlo.
Dobbiamo anche riconoscere che i palestinesi sono isolati, divisi e dimenticati come mai prima d’ora da quando sono apparsi sul palcoscenico internazionale. Gli arabi stanno sanguinando, i musulmani sono disprezzati, i migranti temuti- e l’occupazione israeliana trae vantaggio da tutti questi mali. Il mondo ha perso interesse in un conflitto che potrebbe essere il più pericoloso per la sua stessa sicurezza, che crea le più vaste onde d’urto. Ha perso interesse in un conflitto cui si potrebbe porre termine con relativa facilità.
Non c’è nessun altro conflitto su cui ci sia un così ampio consenso internazionale. Nessun’ altra questione unisce il mondo come l’occupazione israeliana. Dall’India all’Africa, da Pechino a Washington e Mosca, tutti dicono di essere contrari – eppure nessuno fa niente in proposito. E’ un groviglio di contraddizioni. Nessun altro Paese è così dipendente dalla comunità internazionale quanto Israele, eppure Israele si prende la libertà di sfidare il mondo come pochi altri osano.
Gli unici attori che rimangono sono le società civili e le organizzazioni come il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni. Non mollano, stanno lavorando con grande determinazione per lottare contro una situazione in cui milioni di persone vivono sotto una crudele occupazione straniera. Ma sono soli.
Ne deriva che il potere dell’opinione pubblica nelle democrazie occidentali è limitato, sicuramente quando si tratta di Israele. Anche i media internazionali si stanno gradualmente spostando a favore di Israele – il che favorisce l’occupazione – o hanno perso interesse, e anche questo gioca a suo favore. Le università sono in rivolta, la sinistra europea è sul piede di guerra, i progressisti americani protestano, eppure i loro governi perseverano. Offrono un misero sostegno formale ma poi invitano Netanyahu con tutti gli onori – come è successo di recente in Olanda, questo Paese con un’immagine così progressista e illuminata. Perché invitare uno che ha dichiarato di non aver nessuna intenzione di porre fine all’ingiustizia? E poi c’è questo accordo per l’aiuto militare USA.
Questo prodigio – un Paese così dipendente dal mondo che al contempo si comporta come se questo non esistesse – non ha una spiegazione logica. Tutti i soliti argomenti, dal senso di colpa per l’Olocausto al timore nei confronti dell’islamismo, sono insufficienti a spiegare una condotta che è in netto contrasto con i valori e gli interessi dichiarati della comunità internazionale. Dobbiamo riconoscerlo. Dobbiamo anche riconoscere che Netanyahu ha ragione quando promette all’assemblea generale dell’ONU che, entro pochi anni, molti più Paesi voteranno per Israele. Dovremmo prendere atto che il mondo non vuole alzare un dito per liberare i palestinesi (e gli israeliani) da questa perniciosa occupazione. Dobbiamo riconoscere che Netanyahu ha buone ragioni per essere soddisfatto.
Ora la palla si trova nel campo di Israele, dove, purtroppo, c’è indifferenza ed c’è praticamente il deserto.
(traduzione di Amedeo Rossi)