Venuto in Italia per partecipare al Festival della Letteratura di Mantova, il teologo Frei Betto si è speso in una fitta serie di incontri italianii nei quali, partendo dalle esperienze latinoamericane, ha puntualizzato le condizioni del mondo. Viviamo una fase capitalistica devastante, volta a sommergere nella disuguaglianza le istanze sociali di avanzamento: la crisi brasiliana insegna e mette in luce la ripresa delle destre e gli errori della sinistra. Infatti il PT, il Partito dei Lavoratori, in 13 anni di governo ha realizzato programmi sociali che hanno sottratto milioni di persone alla miseria, ma di fatto è stato “il padre dei poveri e la madre dei ricchi” e oggi le imprese, l’agrobusiness e le banche possono contare su erogazioni di 63 mld, mentre i programmi sociali debbono accontentarsi appena di 7.
D’altra parte, i governi progressisti latinoamericani non hanno realizzato riforme strutturali innovative quando contavano sul consenso del popolo che, nonostante i benefici sociali, non è stato politicamente educato e organizzato e si è lasciato catturare dal consumismo. Sono errori che i partiti pagano ovunque con la propria decadenza per essersi allontanati dalle loro basi, aver ceduto alla corruzione, aver contaminato i metodi della democrazia, senza aver avuto il coraggio delle riforme. Il carisma dei protagonisti di quindici, vent’anni fa non è bastato e il neoliberismo l’ha avuta vinta sui diritti. La Chiesa di Papa Francesco ha certamente dato grande impulso al recupero dei movimenti popolari, ma i vescovi nominati da Giovanni Paolo II non sono così zelanti nell’animare le coscienze.
Da teologo della Liberazione che ha pagato di persona la durezza delle dittature in nome non di un rivoluzionarismo politico, ma della coerenza del cristiano, frei Betto non può accettare il pensiero unico che ha prodotto l’incredibile risultato che 87 famiglie detengono lo stesso reddito della metà della popolazione mondiale. Infatti non solo l’America latina, ma il mondo intero è stato condizionato e l’Europa e, al suo interno, l’Italia affrontano gli stessi problemi.
Viviamo nell’epoca della “grande sfida con il futuro”. Forse le preoccupazioni per Brexit, le elezioni americane, l’estendersi del razzismo dentro un nazionalismo privo di riflessi patriottici hanno a che fare con gli “errori della sinistra” e con la fase nuova (ultima?) del capitalismo che è stata la finaziarizzazione dell’economia. Forse queste difficoltà si sono aggravate per essere rimasti inerti negli anni di maggior benessere che abbiamo ormai alle spalle e che ci sembravano orientati alla pace. Forse anche l’impegno di tanti di noi che pure si sono dati da fare per opporsi alle dittature che hanno oppresso l’America latina, al ritorno della democrazia, non è stato in grado di correggere il processo di globalizzazione in atto con l’azione educativa. Che la vittoria di Lula avesse potuto contare non solo sul popolo “trabalhista” ma anche sull’imprenditoria intelligente era noto, ma era altrettanto noto che Dilma arrivava al governo otto anni dopo -otto anni sono tanti per la storia- dentro cambiamenti sociali che nel corso del secondo mandato dovevano affrontare la crisi del 2008 e l’aggravarsi della corruzione.
Anche in Europa si sapeva che l’immigrazione non sarebbe stata transitoria, che le guerre avrebbero prodotto esodi e paure non solo nelle zone di conflitto, che il capitalismo malato dei titoli spazzatura e dell’indebitamento degli stati avrebbe messo a rischio non solo i bilanci delle famiglie, ma dei governi. Eppure non c’è stata prevenzione. Ci dobbiamo dunque disperare, dire che non c’è nulla da fare?
Assolutamente no. Quando tutto, ma proprio tutto cambia, come in questi anni davvero epocali, non è pensabile farsi del male scegliendo vie sbagliate come se fossero vie di fughe. Se è vero che il sistema è in crisi, che le nuove tecnologie cambiano la natura del lavoro, che le democrazia è ovunque a rischio, non sarà il caso di prepararci a sbarcare in un sistema che non sia più finalizzato a produrre solo merci, ma benessere umano? Non è necessario fondare una nuova ideologia, basta solo produrre idee e pensare che, se gli uomini e le donne diventano “il” fine, il soddisfacimento dei bisogni umani (di salute, di educazione, di cultura, di attenzione all’ambiente, alla diversificazione delle risorse, alla composizione delle contese internazionali…) è senza limite e il denaro lo si stampa per produrre sia inquinamento sia servizi. Le idee non sono delle “app”, ma come le app si basano sulla creatività, sul coraggio di immaginare mezzi per andare avanti e rimuovere le paure e gli adeguamenti alle pessimismo o alla rabbia e al rancore.
In una sua intervista Frei Betto sosteneva che “la grande sfida di oggi” non sta tanto nell’aver fede “in” Gesù (“anche Mussolini, anche Hitler, anche Pinochet l’avevano”) quanto nell’avere noi la fede “di” Gesù: “Ci adeguiamo o decidiamo di rompere la gabbia del sistema per creare una rete globale di solidarietà e conoscenza?”. Oppure ci siamo dimenticati che volevamo cambiare il mondo (che è ancora lì, per essere cambiato)?