Perdo un grande amico. Il nostro ultimo incontro fu il 3 agosto, quando ha compiuto 90 anni. Mi ricevette nella sua casa, ad Avana, e, il pomeriggio, fummo al Teatro Karl Marx, dove uno spettacolo musicale gli rese omaggio. Malgrado il corpo debilitato, camminò senza appoggio dall’entrata del teatro fino alla sua poltrona.
Con Fidel scompare l’ultimo grande leader politico del XX secolo, l’unico che è riuscito a sopravvivere più di 50 anni alla propria opera: la Rivoluzione Cubana. Grazie ad essa, la piccola isola ha cessato di essere il postribolo del Caribe, sfruttato dalla mafia, per diventare una nazione rispettata, sovrana e solidale, che mantiene professionisti della salute e dell’educazione in oltre cento paesi, Brasile compreso.
Conobbi Fidel nel 1980, a Managua. La prima cosa che richiamava l’attenzione era la sua imponenza. Sembrava più grande di quel che era, e la divisa lo rivestiva di una simbologia che trasmetteva autorità e decisione. L’impressione era che qualsiasi poltrona fosse troppo stretta per il suo grande corpo. Quando entrava in uno spazio era come se lo occupasse tutto. Tutti attendevano che lui prendesse l’iniziativa, scegliesse l’argomento della chiacchierata, facesse una proposta o lanciasse un’idea, mentre lui continuava nell’illusione che la sua presenza fosse una delle tante e che sarebbe stato trattato senza cerimonie e riverenze. Come nella canzone di Cole Porter, egli si chiedeva se non sarebbe stato più felice nell’essere un semplice uomo di campagna, senza la fama che lo avvolgeva. Una volta, lo scrittore colombiano Gabriel García Márquez, di cui era grande amico, gli chiese se sentiva la mancanza di qualcosa. Fidel rispose: “Di starmene fermo, nell’anonimato, in un angolo di marciapiede”.
Altro dettaglio che sorprendeva di Fidel era il suo timbro di voce. Il tono in falsetto contrastava con la sua corpulenza. A volte emetteva suoni così bassi che i suoi interlocutori dovevano affinare l’udito. E quando parlava, non gli piaceva essere interrotto. Però non monopolizzava la parola. Non ho mai conosciuto qualcuno a cui piacesse conversare tanto come a lui. A meno che non fossero incontri protocollari, dove le menzogne diplomatiche risuonano come verità definitive, Fidel non sapeva ricevere una persona per soli dieci o venti minuti.
Su invito di Fidel e dei vescovi del suo paese, mi sono impegnato nel riscatto della libertà religiosa a Cuba, facilitato dall’intervista contenuta nel libro “Fidel e a Religião” – (Fidel e la Religione), dove il leader comunista apprezza positivamente il fenomeno religioso.
Non saprei dire quante conversazioni in privato ho avuto con Fidel. Una curiosità è che quest’uomo, capace di intrattenere la moltitudine per tre o quattro ore, detestava parlare al telefono come me. Le poche volte che lo ascoltai al telefono fu sempre molto succinto.
I miei frequenti viaggi ad Avana rinsaldarono i nostri legami di amicizia. Nella prefazione che generosamente scrisse per la mia biografia, pubblicato questa settimana da “Civilização Brasileira”, Fidel sottolinea che difendo Cuba “senza rinunciare a sostenere punti divergenti o differenti dai nostri”. Nella decada del 1980, quando espressi critiche alla Rivoluzione, il Comandante diceva: “È un suo diritto. Di più: è un suo dovere”.
Tutte le volte che lo visitavo nella sua casa, dopo che aveva lasciato il governo, gli portavo cioccolato amaro, il suo preferito, anacardi e libri in spagnolo su cosmologia e astrofisica. Conversavamo sulla congiuntura politica mondiale, sulla sua ammirazione per papa Francesco e, in particolare, sulla cosmologia. Gli raccontai che nel visitare Oscar Niemeyer, poco prima della morte dell’architetto brasiliano, già centenario, costui, molto animato, mi disse che ogni settimana riuniva nel suo ufficio un gruppo di amici per ricevere lezioni di cosmologia. Il fatto che due eminenti comunisti si interessassero tanto per il tema, commentai con Fidel, mi ricordava una scena del film “La Teoria del tutto”, dove il protagonista del famoso fisico inglese Stephen Hawking, ancora studente a Cambridge, chiedeva alla giovane con cui iniziava la relazione amorosa: “Cosa studi?” “Storia”, gli rispose, e gli restituì la curiosità. E lui: “Studio cosmologia”. “Che cos’è?” gli chiede lei. E lui afferma: ”Una religione per atei intelligenti”.
Penso che Fidel, alunno interno di collegi religiosi per dieci anni, abbandonò la fede nel momento di abbracciare il marxismo. Da alcuni anni in qua ho la nitida impressione che fosse diventato agnostico. Varie volte mi chiese, nel congedarci: “Prega per noi”. Ho la certezza che Fidel abbia attraversato felice la sua vita coerente.
Fidel: cerimonia dell’addio
Mi trovavo in ritiro spirituale sulle montagne di Friburgo, con gruppi di preghiera di Rio, quando Chico Alencar, deputato federale del PSOL (Partito Socialismo e Libertà), ricevette la notizia del trapasso di Fidel. La mia prima reazione fu quella di pensare che si trattasse, ancora una volta, di una diceria.
La morte di Fidel era una notizia ricorrente.
Ma la conferma arrivò subito. Fui preso da una serena tristezza davanti alla perdita di un grande amico, nella cui casa sono stato nell’agosto scorso, nel giorno della commemorazione dei suoi 90 anni.
Sono sbarcato ad Avana nella mattina di lunedì 28 novembre. Homero Acosta, segretario del Consiglio di Stato di Cuba, mi aspettava in aeroporto. Siamo andati direttamente al Memoriale José Martì, nella Piazza della Rivoluzione, dove stavano piangendo Fidel. La fila del popolo si estendeva per chilometri. Ho partecipato alla guardia d’onore alle sue ceneri, ho recitato una breve preghiera, ho abbracciato i cinque figli avuti con la mia cara amica Dalia.
Nel pomeriggio, ho ricordato l’amiciza che ci univa nel programma “Mesa Redonda” (Tavola Rotonda), quello di maggior audience nella TV cubana. Fin da quando ci conoscemmo a Managua, nell’agosto 1980, quando mi invitò ad accompagnare il riavvicinamento tra Stato e Chiesa Cattolica in Cuba, i nostri contatti sono stati innumerevoli. Molti di questi sono raccontati nel mio libro “Paraíso perdido – viagens aos países socialistas”, ed. Rocco (Paradiso perduto – Viaggi nei paesi socialisti) e, ora, nella mia biografia, pubblicata da “Civilização Brasileira” e firmata da Américo Freire e Evanize Sydow.
Molti cubani mi hanno chiesto delle convinzioni religiose di Fidel. Per dieci anni, da adolescente, lui e suo fratello Raul hanno studiano in scuole-convitto cattoliche. Ciò significa che tutti i giorni avevano assistito alla messa, come era di prassi in quell’epoca. Nell’intevista concessami nel 1985, inserita nel libro “Fidel e a religião”, descrive positivamente quel periodo.
Quando abbracciò la causa rivoluzionaria e il marxismo, in un’epoca in cui la Chiesa Cattolica era visceralmente anticomunista e appoggiava le dittature militari come quella di Franco, in Spagna, e quella di Salazar, in Portogallo, Fidel divenne ateo. Tuttavia, nell’ultimo decennio, alla luce dei colloqui che abbiamo avuto, suppongo si fosse avvicinato all’agnosticismo. Tre anni fa dissi a lui che molti mi chiedevano se lui avesse la fede cristiana. E io rispondevo che lo consideravo un agnostico. Lui sorrise senza nulla obiettare.
Lunedì e martedì Avana era silenziosa. Anche solo davanti ad una foto di Fidel, bambini, giovani, adulti e vecchi cercavano un modo di onorarlo. La nazione era rimasta orfana di colui che la strappò dalla condizione di colonia yankee per occupare i primi posti negli indici mondiali di alfabetizzazione, educazione, salute e qualità di vita.
Fidel è morto nel pomeriggio di venerdì 25, per collasso multiplo degli organi. Da pochi giorni era entrato in ospedale e, fino alla fine, si è mantenuto lucido. La mattina del suo ultimo giorno aveva parlato con Raul. Moriva nel letto colui che era sfuggito ad oltre 800 attentati promossi dalla CIA. Golia non è riuscito a sconfiggere Davide.
Nel pomeriggio di martedì 29, oltre un milione di persone si sono riunite nella Piazza della Rivoluzione per rendergli omaggio. Vari capi di Stato hanno tenuto un discorso, tra cui Maduro (Venezuela), Evo Morales (Bolivia), Daniel Ortega (Nicaragua) e Rafael Correa (Equador), che aveva aperto la cerimonia con un discorso conciso e brillante. Raul Castro, con un emozionante intervento in cui ricordava il ruolo di suo fratello nella storia di Cuba e del tribolato secolo XX, ha poi chiuso la cerimonia.
Fidelito, il più vecchio dei suoi figli, mi accompagnò poi all’hotel e abbiamo cenato assieme. Mi mostrò la foto dei suoi genitori in luna di miele, a New York, nel 1948. Si sentiva costernato e, al tempo stesso, felice per aver meritato di essere figlio dell’unico rivoluzionario della modernità sopravvissuto per 57 anni all’esito della propria opera.
Traduzione di Luciano Pacchiani