Scrive S. Paolo: “Non sono mandato a fare il padrone sulla vostra fede, ma a collaborare alla vostra gioia”.
Il prete oggi è frutto di una cultura passata e risucchio di un futuro che lo chiama a nuova vita: è nel bel mezzo di un conflitto che a mio parere genererà necessariamente uno sconvolgimento, una conversione. Confido nel travaglio e nella rinascita, nell’evoluzione. O ritorna Uomo, uomo semplice ed essenziale, “senza sandali o bisaccia”, senza cose, perché risalti il primato dell’amore, o sarà sempre più staccato dalla storia, e quindi insignificante.
Paradossalmente è proprio ora il tempo di credere nell’amore, di metterci a servizio totale del Bene e della Gioia, tutti insieme, donne e uomini, laici e laiche, sacerdoti, consacrate/i, monache e monaci, coppie, famiglie, comunità… tempo opportuno per metterci ad amare appassionatamente (è così che si ama) nel semplice fare della vita quotidiana, l’unica che abbiamo a disposizione, l’unica presente e reale, qui e ora.
Insieme possiamo essere servi inutili con queste tre priorità di missione: seminare pace in ogni tipo di relazione, prendersi cura, confermare che Dio è vicino.
Mi piacerebbe che il prete fosse un uomo calmo, in pace e non un funzionario oberato e compresso.
Uno che ha la pazienza dei tempi di Dio e non pretende tutto subito.
Uno che allunga i propri tempi per gli altri con la calma, la serenità, la delicatezza… Uno che dà sicurezza a chi lo incontra, perché in quel tempo dilatato potrà avvenire l’incontro tra ciò che la vita chiama, ciò che l’altro cerca e ciò che il divino vuol farci comprendere. La fretta e l’ansia creano solo superficialità, disattenzione e tante chiacchiere inutili, già ampia prerogativa del “mondo”.
Il prete che vorrei sa delegare, parla di Dio con la vita, con i gesti e con le scelte, ma anche con l’arte, la poesia, la bellezza… usa i segni e i linguaggi del nostro tempo.
È capace di sguardi che illuminano, emozionano e liberano.
Si sente chiamato ad essere traccia di Dio nella storia delle persone, compagno di cammino, testimone di speranza e di una Vita più grande.
Ha sete di conoscere, capire, sapere. Ma non presume di sapere dove va lo Spirito.
Si ispira al Dio pastore, che rallenta il passo per accompagnare una pecora che va a rilento.
La sua preghiera è lasciare che Dio entri nel suo cuore.
È capace di “soffrire con”, lasciando le 99, per cercare e coccolarsi la centesima.
Il mio prete ideale continua a sognare, nonostante delusioni, incertezze e contrarietà.
Non vive nel suo ruolo, ma nella sua umanità.
Ama la gratuità. Dà senza far sapere, senza esibire. Crea fiducia
Non ritiene di essere migliore degli altri, ma sente il bisogno di essere riconosciuto e rispettato.
Sa “attendere”, condividendo l’ “attesa”.
Rinnova il suo sguardo ogni mattina, per essere capace di incontrare persone e angeli.
Evita immobilismo e rigidità.
Il mio prete ideale chiede aiuto, riconosce e valorizza i talenti presenti in ognuno, specie nella sua comunità.
Non traccia cerchi di esclusione e sa indignarsi per ciò che la favorisce. Guarda la storia dalla parte degli esclusi e di chi soffre. Si schiera per la giustizia, tenta di rialzare chi è caduto, sostiene coloro che nessuno sostiene.
Il prete che vorrei ama la fragilità, si vergogna dell’arroganza e lotta con il suo ego.
E’ sapiente d’umanità, della sua per primo.
Il mio prete ideale è un po’ anarchico, è capace di opporsi ai “dottori della legge”, sa prendere posizione.
È aperto e collaborativo, intento a coltivare relazione prima che a raggiungere obiettivi.
Sa accogliere, non trattiene, ascolta.
Sa perdonare e non scappa nel ruolo che lo protegge.
Conosce la misericordia e la pratica sollevando stanchezze.
Dialoga alla pari, senza autoreferenzialità.
Il mio prete ideale non è preoccupato di dare risposte, ma di essere presente, sulla soglia, senza premura di entrare.
Il mio prete ideale sa che cosa è fatica e quanto costi camminare quando la vita è fatta di debolezze e ferite. Lavora.
Non carica pesi insopportabili sulle coscienze, non le invade.
Non pretende di occupare spazi.
Ama la natura, l’intero creato, le diversità. Sa cucinare.
Il mio prete ideale si lascia spogliare dagli occhi di chi cerca in lui la trasparenza di qualcuno più grande.
Prova e vaglia nella sua vita ognuna delle cose che dice.
Il suo compito principale forse è questo: togliere la paura di Dio nelle persone, liberarle finalmente da pesi che… proprio la chiesa ha addossato agli uomini e alle donne di tutti i tempi.
Usa l’intelligenza del cuore.
Può essere una donna.
E’ sobrio, sa creare e giocare, usa l’ironia, canta e fischietta.
Apprende da tutti.
Non mi interessa il prete filosofo, come non mi interessa il dio dei filosofi.
Il mio prete ideale è un uomo o una donna di carne e di ossa, tenero, affamato di vita, che collabora alla Gioia.
Scrive Tolstoj: “Il peccato più grande di oggi è l’amore astratto degli uomini … ed è così facile.”
IL MIO PRETE IDEALE, invece, richiama i fedeli agli splendidi principi del Vangelo, inculca nelle nuove generazioni il rispetto per i dieci comandamenti, sempre attuali perché parlano di amore e di rispetto.
IL MIO PRETE IDEALE non è vile, non si schiera, per comodità, dalla parte del potente ma predica con convinzione, ispirandosi ai grandi valori della famiglia e della solidarietà.
IL MIO PRETE IDEALE non segue le mode, ma è fermamente convinto che ci siano cose e convinzioni attuali che, se fossero assecondate, porterebbero alla legittimazione del peccato.