Lettera Rete di Quarrata marzo-aprile 2018

Carissima/carissimo,
quale politica post-elettorale? I luoghi in cui la gente può riunirsi sono diminuiti drasticamente, non esistono luoghi di incontro, non esiste più un cinema di quartiere, dalle periferie delle città ai piccoli e medi centri. Siamo ormai diventati una massa solitaria, si svuotano le parrocchie, si vive soli, asserragliati in casa, la paura si manifesta sempre più attraverso un ego ripiegato su se stesso. Adesso, sentendoci emancipati nessuno appartiene più a niente. E’ solo, senza vincoli, senza luoghi in cui ritrovarsi, senza una comunità con cui vivere insieme agli altri.
Spesso, troppo spesso, specie i giovani, li troviamo chiusi davanti ad una tastiera, esclusi da tutto.

La rete sta diventando una grande macchina di destabilizzazione politica mai inventata. La grande rivolta contro la politica sistema, non è causata dalla stessa, ma dalla crisi economica e dalla dei partiti, dalla distruzione del lavoro e dai migranti visti come “spesa tolta agli italiani poveri, a coloro che fanno fatica”. Il disagio è reale, nasce dai privilegi delle varie caste, mentre la rete collega i malumori, li alimenta, li rende infiammabili. Sul web l’individualismo è il regno, diventando spesso narcisismo dove ognuno specchia nella realtà virtuale se stesso e le sue paure, dove  si cercano conferme alle proprie idee e rabbie. Il voto è importante, è stata una grande conquista, ma ritornare a rappresentare  la base è fondamentale, altrimenti è mera delega. Urge tornare ad essere soggetto collettivo.
Questa crisi ci ha aiutato a metterci insieme o a fare emergere gli egoismi?
Iniziamo a rispondere personalmente a questa “fondamentale” domanda.

 

Partecipando in Brasile al Forum Sociale Mondiale: “Resistere è Creare resistere è trasformare” e a quello della Teologia della Liberazione a Salvador Bahia e poi a quello Alternativo sull’Acqua a Brasilia: “L’Acqua è un diritto non una merce”, è emersa forte la domanda: quale democrazia vogliamo costruire? Come costruirla a partire dalla gente.
La crisi è ormai cronica perché la nostra testa sta nel capitalismo. Siamo in una democrazia formale, lontani da una reale democrazia partecipativa. Manca l’alfabetizzazione politica, ormai nessuno va nelle strade, dalla gente. Abbiamo  smobilitato. Stiamo ideologizzando i media, stiamo sostituendo la mobilitazione politica, mancano i militanti.
Oggi il vero paradigma é nel lucro, nel mercato, dove la partecipazione e la condivisione sono lasciate ai margini, se non addirittura fuori.
Oggi il problema non è passare informazioni alle persone ma creare la capacità di protagonismo, di partecipazione e di formazione. Senza una autentica crescita culturale, infatti, le varie civiltà stagnano a tutti i livelli, oggi la crescita e il cambiamento sono possibili solo come profonda revisione e rigenerazione di una nuova umanità per liberarci da ogni asservimento politico, economico, religioso. Urge la valorizzazione della singola persona e dei suoi diritti.
Non riusciremo mai a comprendere le difficoltà attuali di dare una valutazione univoca alla globalizzazione in corso, che porta con se grandi opportunità insieme a rischi addirittura di annientamento della vita umana sulla terra, se non ricorderemo che questa ambiguità, questo miscuglio di liberazione ed alienazione, di idee illuminate e di tratta degli schiavi, di entusiasmo progressista e visioni catastrofiche, come ci ricordava Frei Betto, accompagna l’intero processo della modernizzazione e dello sviluppo industriale fin dal suo inizio. Il violento cambiamento politico realizzato in Brasile attraverso la destituzione della presidente Dilma, ha causato il blocco quasi totale dei progetti sociali ed educativi in corso. L’esempio più eclatante si è purtroppo realizzato nell’interiore dello stato di Paraiba nel nord-est, dove nella zona rurale del municipio di Areia, il sindaco di destra ha chiuso 11 scuole.

 

Oggi, sfida è la parola d’ordine per creare e facilitare il ritorno delle persone alla politica. Occorre una trasformazione popolare sociale e politica!
Urge sognare e trasformare in realtà ciò che uno sogna. Oggi una persona non coscientizzata è una persona che vive solo biologicamente e per la riproduzione del sistema.
Coscientizzazione è un altra cosa, è assumere il processo di lotte come prima scelta di vita. Dobbiamo altresì riconoscere che è fondamentale riorientare i propri desideri e le proprie aspirazioni.
Se vogliamo salvarci, guarire, aiutare le persone vicine e lontane ad uscire dal buco nero della loro condizione dobbiamo rinunciare al nostro occhio unilaterale che ci porta al produttivismo predatorio per aprirsi ad uno spazio più globale sulla nostra esistenza, uno sguardo che sappia tenere presente, nelle nostre scelte e nelle nostre priorità, non solo gli aspetti economico-produttivi, ma anche quelli affettivi e relazionali, l’esigenza di senso e di silenzio, il bisogno di carezze e incontri. Solo così, possiamo globalizzare il mondo senza farsi e fare troppo male.
Siamo nel tempo pasquale, momento tragico e meraviglioso per il mondo cristiano, desidero ricordare il martirio a cui sono stati sottoposti due persone meravigliose che hanno sfidato e messo in gioco la loro vita a favore degli ultimi, degli sfruttati, degli scartati del mondo. Due figure importanti tra i tanti: Mons. Oscar Arnulfo Romero (24 marzo 1980) e Marielle Franco (14 marzo 2018).

 

Oscar Arnulfo Romero era nato il 15 agosto 1917, in una famiglia modesta di sette figli,  a Ciudad Barros (El Salvador). Entrato in seminario a tredici anni, fu inviato a Roma nel 1937, per studiare all’Università Gregoriana, dove si licenziò in teologia nel 1943. Nel frattempo, il 24 aprile 1942, era stato ordinato sacerdote. Rientrato in patria, per oltre vent’anni si dedicò soprattutto all’attività pastorale come parroco. Il 24 maggio 1967 fu consacrato vescovo e, tre anni più tardi, lo troviamo vescovo ausiliare di mons. Luis Chávez y Gonzales, testimone coraggioso di una Chiesa schierata in difesa dei poveri e degli oppressi. Sarà chiamato a succedergli il 22 febbraio 1977. Era un momento drammatico per la situazione sociale, politica ed economica di El Salvador, ma il Palazzo guardava senza troppa preoccupazione al nuovo arcivescovo, sapendolo uomo di studi, di una religiosità tradizionale e tendenzialmente conservatore. Tuttavia, a pochi giorni dopo il suo insediamento, di fronte al cadavere di Rutilio Grande, un suo prete assassinato per l’impegno profuso a favore dei poveri, Romero  sentì chiaramente la chiamata di Cristo a prestare la sua voce ai senza-voce della storia, denunciando il clima di sopraffazione e di violenza che regnava nel Paese e segnalando le responsabilità dei potenti; sapendo essere nel contempo una presenza amica e solidale in mezzo alla gente sofferente e strumento di dialogo e di riconciliazione tra le parti in lotta. Fu ciò che fece instancabilmente durante gli anni del suo ministero episcopale. Finché glielo lasciarono fare. Ripetutamente minacciato di morte, Romero, la domenica 23 marzo 1980, pronunciò la sua ultima omelia in cattedrale, durante la quale, rivolgendosi agli uomini dell’esercito, disse: “Fratelli, siete del nostro stesso popolo, perché uccidete i vostri fratelli campesinos? Davanti all’ordine di uccidere deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere. Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. […] In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorno più clamorosi, vi supplico, vi scongiuro, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!”. Furono queste parole che probabilmente decisero la sua condanna a morte. Il giorno seguente Oscar Romero venne assassinato al termine dell’omelia, durante la celebrazione della messa nella piccola cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, a San Salvador. Era il 24 marzo 1980. Riconosciuto martire per la fede, sarà beatificato il prossimo mese di maggio.

 

L’assassinio della consigliera comunale di Rio de Janeiro, Marielle Franco e del suo autista Anderson Gomez dello scorso 14 marzo ha sollevato una profonda indignazione popolare, in Brasile e nel mondo. Ciò ha impedito la manovra dei media nazionali volta puntualmente a far annegare l’esecuzione della consigliera comunale di Rio de Janeiro, nel generico pantano dell’insicurezza. Alcuni giorni prima dell’assassinio della femminista, una sua consulente era stata avvicinata da un uomo che le aveva chiesto in tono minaccioso se lavorasse con la consigliera Franco, quella che aveva denunciato il comportamento del battaglione della Polizia Militare di Río de Janeiro nel quartiere di Acarí, considerato il più letale dello Stato. L’esecuzione di Marielle, così come la totale consegna degli enormi problemi della sicurezza della città Río de Janeiro nelle mani dei militari, è allo stesso tempo un laboratorio, che serve a misurare la reazione popolare alla repressione, e una minaccia per intimidire chi resiste alle nuove politiche dopo il Golpe Istituzionale del 2016 che ha vista la destituzione della presidente eletta Dilma Rousseff.
Auguri, Antonio

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