Nel Bakur (territori curdi sotto amministrazione-occupazione turca) il partito di Erdogan – AKP – continua a saccheggiare e sfruttare le risorse naturali (petrolio, minerali…). Anzi, le operazioni di estrazione negli ultimi mesi hanno subìto una significativa accelerazione.
In passato il Kurdistan – grazie anche alle sue abbondanti risorse naturali (acqua, terreni fertili, minerali…) – ha consentito a numerose comunità e civiltà di autodeterminarsi, garantendo sia ai curdi che ad altri popoli presenti nella regione i mezzi per svilupparsi autonomamente.
Oggi – sotto forma di un “colonialismo interno” da manuale – i minerali estratti nel Kurdistan (una delle terre più ricche al mondo di risorse naturali: disgraziatamente per i Curdi, verrebbe da dire; un po’ come il Delta del Niger per gli Ogoni o il Congo) vengono raffinati e lavorati all’ovest, nella Turchia propriamente detta. In particolare, da anni il petrolio estratto in Kurdistan viene sistematicamente dirottato verso la Turchia.
Infatti, come è – relativamente – noto, la quasi totalità del petrolio “turco” proviene dalle regioni curde (da Batman, Adiyaman, Amed, Sirnak- Silopi, Siirt, Urfa, Mardin-Nusaybin…) dove sono presenti anche grandi riserve di rame, cromo, piombo, argento, carbone, lignite…
Tutto questo “ben di dio” viene estratto per venir trasportato a ovest cioè in Turchia per essere poi venduto (previa raffinazione e lavorazione) all’estero. Senza che alla popolazione curda ne derivi alcun beneficio.
Il petrolio, in particolare, viene sistematicamente incanalato – cioè “dirottato” – grazie agli oleodotti verso le raffinerie turche di Izmir-Aliaga, Kocaeli, Iprash, Kirikkale e altre dell’Anatolia centrale e di Hatay, Dortyol…
E’ ormai più di un secolo che lo Stato turco estrae petrolio dai giacimenti curdi e recentemente questo sfruttamento ha subìto un’impennata con nuove campagne di esplorazione (promosse dall’AKP, per esempio a Hakkari-Van, ma anche a Çukurca, Şemdinli, Bitlis) per individuare e scavare nuovi pozzi.
Dietro tutto questo, la Turkish Petroleum Corporation (TPAO) che poco tempo fa – in maggio – ha realizzato un altro campo di estrazione petrolifera nel distretto di Çukurca (Hakkari).
Tempo fa Berat Albayrak – ex ministro dell’Energia e delle Risorse naturali – aveva annunciato lo scavo dei primi pozzi in profondità «nella regione di Semdinli e a Cizre e Van a Siirt, nel nord».
Significativo – per quanto scontato – quanto hanno dichiarato alcuni abitanti curdi delle regioni interessate dallo sfruttamento intensivo delle risorse da parte di Ankara: «noi non vogliamo che lo Stato turco estragga le nostre risorse. Vogliamo essere noi a utilizzarle».
Soltanto puro buonsenso direi. Ma qualcuno lo vada a spiegare a Erdogan.
La vignetta è di ELLEKAPPA.
COME NEL GENNAIO 2013, ALTRI TRE CURDI ASSASSINATI A PARIGI
Gianni Sartori
Tra pochi giorni cadeva il decimo anniversario dell’uccisione di tre femministe curde a Parigi.
Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Saylemez erano state assassinate nel gennaio 2013 in un’operazione in cui era scontato intravedere l’operato del MIT (i servizi segreti turchi).
Come veniva poi confermato dai continui rinvii del processo all’attentare, deceduto prematuramente (e forse “opportunamente”) in carcere a pochi giorni dall’udienza.
Il 23 dicembre 2022, la cosa si è ripetuta e altri tre militanti curdi (ma il bilancio potrebbe aggravarsi) sono caduti sotto i colpi esplosi da un francese già noto per due aggressioni di matrice razzista.
La sparatoria mortale è avvenuta in rue d’Enghien, in un quartiere di forte presenza curda, nei pressi di di un Centro culturale curdo dedicato alla memoria di Ahmet Kaya*.
Qui si sarebbe dovuta tenere una riunione delle donne curde, fortunosamente rinviata all’ultimo memento per ragioni organizzative.E’ possibile che l’attentatore (secondo alcune testimonianze accompagnato sul luogo da un’auto che poi si era allontanata) ne fosse a conoscenza? probabilmente si è evitata una strage ancora peggiore.
Il responsabile dell’eccidio sarebbe un ferroviere (secondo un’altra versione un autista di autobus) in pensione di 69 anni, già conosciuto come responsabile di due tentati omicidi risalenti al 2016 (quando aveva accoltellato una persona in casa sua) e al 2021. In questo caso si trattava di un reato con evidenti implicazioni razziste avendo assalito un bivacco di migranti (nel 12° arrondissement di Parigi).
L’immediato raduno di cittadini curdi aveva generato una serie di proteste dato che in molti sospettano che anche in questo tragico evento vi sia la longa manus – e lo stile -dei servizi turchi.
La contestazione si è conclusa con scontri, tafferugli e incendi (oltre all’impiego massiccio di lacrimogeni) tra manifestanti e polizia. Per il 24 dicembre è stata indetta una grande manifestazione contro l’ennesima aggressione alla comunità curda.
Da più parti, sui medi, si è insistito nel sottolineare i “problemi psichiatrici” dell’attentare, parlando di “lupo solitario”. Ma per la comunità curda, chiunque abbia armato la mano che ha premuto il grilletto, è quasi scontato che anche queste uccisioni sono il frutto nella “guerra sporca” contro i curdi portata avanti ormai da anni da Ankara.
Gianni Sartori
nota 1: Morto a Parigi nel novembre 2000 a soli 43 anni, Ahmet Kaya è ricordato sia come artista dissidente che in quanto difensore della causa curda. Apostolo della “musica autentica”, nonostante la grande notorietà, volutamente si mantenne estraneo alla Società dello spettacolo, alla mercificazione della musica. Le sue canzoni, i suoi testi ricordano quelli di Victor Jara e di Joan Baez. Come loro si rivolgeva “non solo ai sentimenti, ma anche all’intelligenza delle persone”,