Non è bastata la pioggia di ricorsi presentati dai legali di Lula al Tribunale superiore elettorale e alla Corte Suprema né un nuovo e ancor più incisivo pronunciamento del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, che ha ribadito l’obbligatorietà per il Brasile di garantire l’immediato esercizio dei diritti politici dell’ex presidente: la corsa di Lula alla presidenza del Paese si è definitivamente infranta contro la giustizia golpista, secondo un copione che era già stato scritto al momento della farsa giudiziaria allestita dal giudice Sergio Moro e dal Tribunale di appello di Porto Alegre.
Eppure, l’obbligata rinuncia di Lula a candidarsi alle presidenziali del 7 ottobre non ha il sapore della sconfitta, ma solo quello di un momentaneo arretramento. Per l’ex presidente, per il Pt, per le forze pregressiste e di sinistra è insomma l’ora della cosiddetta «strategia Perón»: il metodo, cioè, impiegato con successo da Juan Domingo Perón nel 1973, quando, dal suo esilio in Europa, sostenne con forza la candidatura di Héctor Cámpora alla presidenza dell’Argentina, con lo slogan «Cámpora al governo, Perón al potere» (dopo la vittoria, Campora si sarebbe dimesso proprio per permettere a Perón di assumere la guida del Paese).
Non dal suo esilio, ma dalla sua cella a Curitiba, dove è rinchiuso illegalmente da cinque mesi, Lula ha seguito la stessa strada, indicando al Pt e alla coalizione “O Povo Feliz de Novo” (il popolo di nuovo felice) la sostituzione della sua candidatura con quella di Fernando Haddad e dunque chiedendo «con tutto il cuore» a tutti quelli che avrebbero votato per lui – e che di certo lo avrebbero portato alla guida del Paese, con ogni probabilità già al primo turno – di dare la loro preferenza al candidato da lui indicato. «Se vogliono far tacere la nostra voce e sconfiggere il nostro progetto di Paese si sbagliano di grosso», ha scritto Lula in una lettera al popolo brasiliano che, l’11 settembre, è stata letta a Curitiba dall’avvocato Luiz Eduardo Greenhalgh subito dopo l’annuncio della candidatura di Haddad alla presidenza della Repubblica, in coppia con la vice Manuela D’Avila del PcdB. E ha aggiunto: «Siamo ancora vivi, nel cuore e nella memoria del popolo. E il nostro nome ora è Fernando Haddad». E sarà esattamente questa la strategia del Pt: presentare Haddad, il cui numero resterà non a caso il 13, lo stesso dell’ex presidente, come “il candidato di Lula”, il suo rappresentante, la sua voce.
E per lui egli ha avuto parole di grande elogio: «Ministro dell’Educazione nel mio governo, è stato responsabile di una delle più importanti trasformazioni nel nostro Paese. Insieme, abbiamo aperto le porte dell’università per quasi 4 milioni di alunni delle scuole pubbliche, neri, indigeni e figli di operai, che non hanno mai avuto questa opportunità», come pure costruito «un numero di scuole tecniche quattro volte superiore a quanto fatto in cento anni. Abbiamo creato il futuro».
Solo note positive nella conclusione della lettera di Lula: «Io so che un giorno la giustizia, quella vera, sarà fatta, e sarà riconosciuta la mia innocenza. Quel giorno sarò insieme ad Haddad per fare il governo del popolo e della speranza. Noi tutti saremo lì, insieme, per rendere il Brasile nuovamente felice. Siamo già milioni di Lula e, d’ora in avanti, Fernando Haddad sarà lui per milioni di brasiliani».
E tutto indica che i brasiliani seguiranno Lula su questa strada. Non a caso, l’11 settembre, l’hasthag #HaddadÉLula occupava il primo posto tra i trending topics di Twitter nel mondo. E, soprattutto, dal sondaggio di Datafolha in cui Haddad, non ancora ufficializzato come sostituto di Lula, figurava già al 9%, con un balzo in avanti di cinque punti, è emerso come gli elettori certi di votare per il candidato indicato dall’ex presidente rappresentino il 33% dei brasiliani, più un altro 16% orientato a fare la stessa scelta. Mentre Jair Bolsonaro, malgrado la coltellata ricevuta e tutto il frastuono che l’ha accompagnata, è cresciuto di appena due punti, passando dal 22 al 24%, restando peraltro il candidato con il maggior indice di disapprovazione: gli elettori che non votebbero per lui in nessuna circostanza sono anzi aumentati di 4 punti, dal 39% al 43%. Ma ancor più favorevole si rivela il sondaggio, di poco successivo, dell’istituto Vox Populi, secondo cui Haddad, in questo caso indicato come il candidato di Lula, è già passato al primo posto con il 22% delle intenzioni di voto, seguito da Bolsonaro con il 18% delle preferenze. (claudia fanti)
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