Al tempo accelerato del 1900 la tecnica portava due uomini a passo leggero sulla poca gravità della luna.
Sulla terra il peso delle pressioni e delle oppressioni era molto più forte. Esisteva a quel tempo una nazione fondata sulla superiorità razziale di una minoranza a viso pallido. Era il Sud Africa, avanzo di regimi coloniali.
Per Nelson Mandela il 1900 ha avuto la misura di una capsula non spaziale, per la durata di circa trent’anni. La sua libertà ha fatto sbarcare il suo paese in un’epoca e in una patria nuova. Il territorio era lo stesso ma con diritti pari tra i suoi cittadini. Era la stessa terra, ma nuova come la luna.
Sulla luna si poggiava un monolocale dopo un breve viaggio. I due uomini sbarcati sul satellite raccolsero dei sassi, piantarono una loro bandierina e se ne andarono. In qualche foto sventola abusiva, perché alla luna manca il sollievo del vento. Perciò le impronte delle loro scarpe dovrebbero trovarsi ancora là.
La luna resta inabitata. La visita di varie navicelle non ha cambiato la sua destinazione d’uso, cioè nessuna. Le gite si sono interrotte.
Nelson Mandela ha costruito la sua luna in terra, dopo la traversata del secolo nel sottovuoto dell’isolamento a Robbeneiland. I detenuti erano tutti neri, i secondini bianchi, ma non era una partita a scacchi, il nero non poteva muoversi di casella.
Al di fuori di quel regime che fondava il suo Stato sull’inferiorità di molti, il razzismo ha forme più diffuse. Sua costante è che ha bisogno di autorizzazione, di farsi spalleggiare dalle autorità. Senza incoraggiamento ufficiale, si reprime da sé. Altra costante è di manifestarsi in superiorità numerica, attaccando in molti dei singoli isolati. Sua costante è la vigliaccheria contro i più deboli.
Del 1900 mi sta a cuore il peso del piede di Mandela posato sulla terra fuori dal portone, non quello senza peso di un uomo sulla luna.
11 febbraio 1990 è il giorno dello sbarco di un uomo e del suo paese sulla superficie della libertà.