La strage di Karachi nel 2012: reclamo contro “l’auditor” Rina

Presentato reclamo contro l’auditor italiano RINA, per aver ignorato irregolarità fatali nella fabbrica di abbigliamento.

ripreso da “Abiti Puliti” (*)

Roma, 11 settembre – Oltre 250 persone sono morte e decine sono rimaste ferite nell’incendio che ha coinvolto la fabbrica tessile Ali Enterprises a Karachi, in Pakistan, l’11 settembre 2012. Solo tre settimane prima, l’auditor italiano RINA Services S.p.a. aveva certificato quella fabbrica per aver rispettato gli standard internazionali del lavoro. Nel sesto anniversario di quella tragedia, una coalizione internazionale di otto organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, dei lavoratori e dei consumatori ha presentato un reclamo formale presso il Punto di Contatto Nazionale OCSE al Ministero dello Sviluppo Economico contro RINA, l’azienda che avrebbe potuto prevenire la morte di centinaia di persone, se avesse lavorato correttamente.

Mio figlio è morto nell’incendio insieme a centinaia di persone perché non è riuscito a scappare in tempo dalla fabbrica in fiamme. Non c’era un sistema antincendio funzionante, le uscite di emergenza erano bloccate o inutilizzabili” ha raccontato Saeeda Khatoon, portavoce dell’Associazione vittime dell’incendio della Ali Enterprises.

L’elevato numero di morti di questa tragedia dimostra come il processo di certificazione abbia ignorato i principali problemi di sicurezza. Una simulazione digitale dell’incendio, prodotta dall’agenzia di ricerca Forensic Architecture, con sede a Goldsmiths presso l’Università di Londra, ha mostrato che se le mancanze sugli standard sulla sicurezza fossero state identificate e corrette in tempo, centinaia di vite avrebbero potuto essere salvate.

Responsabile dell’audit e della certificazione della fabbrica era l’azienda italiana RINA che non ha mai visitato la fabbrica, nemmeno attraverso la sua filiale pakistana RI&CA (Regional Inspection & Certification Agency). L’audit non ha evidenziato una serie di infrazioni agli standard internazionali che stava verificando (SA 8000) e alle norme sulla sicurezza pakistane che si sarebbero rivelate fatali, tra cui un pavimento costruito illegalmente, un sistema di allarme antincendio non funzionante, la presenza di lavoro minorile e un sistema strutturale di lavoro straordinario eccessivo. Il rapporto ha anche falsamente certificato la presenza di diverse uscite di emergenza e sufficiente materiale antincendio, quando in realtà le porte erano chiuse, le uscite bloccate e l’unico estintore disponibile non funzionante.

Ben Vanpeperstraete, coordinatore del settore lobby e advocacy della Clean Clothes Campaign ha dichiarato: “È evidente che RINA ha svolto un pessimo lavoro sottoscrivendo un rapporto che ha chiaramente fallito nell’identificare i principali rischi per la sicurezza dei lavoratori. RINA avrebbe dovuto evidenziare le criticità della fabbrica e usare la certificazione SA 8000 come leva per spingere l’azienda a porre rimedio prima di certificarla.”

Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti ha aggiunto: “Il rifiuto di RINA di fornire informazioni rilevanti in nome degli obblighi di riservatezza ha ostacolato il lavoro dei difensori dei diritti umani e delle parti esterne indipendenti impegnate a ricostruire i fatti e a accelerare il processo di risarcimento. Questo caso mostra ancora una volta la necessità di una piena e pubblica trasparenza attraverso la rimozione di qualsiasi ostacolo contrattuale tra le aziende di certificazione e i loro clienti.”

RINA è un’azienda multinazionale con sede in Italia, paese membro dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) ed è quindi tenuta ad osservare le Linee guida OSCE per le Imprese Multinazionali. Per questo oggi, una coalizione internazionale di otto organizzazioni dal Pakistan, Germania, Italia e Olanda hanno presentato un reclamo formale al Punto Nazionale di Contatto italiano contro RINA per il rilascio della certificazione SA8000 sulla base di un rapportodi audit carente e scorretto. Le associazioni sollecitano RINA a pubblicare la relazione di audit della Ali Enterprises, a garantire una procedura di audit più trasparente in futuro e che si dimostri responsabile nei confronti dei lavoratori. Inoltre, il reclamo denuncia due difetti generali del sistema di certificazione, sollecitando che gli audit tengano conto del contesto delle pratiche di acquisto dei marchi e includano un sistema di pagamento che eviti l’attuale conflitto di interesse derivante dagli audit di fabbrica pagati dai proprietari delle fabbriche stesse. Il documento vuole mostrare come l’attuale sistema di certificazione legittimi lo sfruttamento e crei false assicurazioni che possono costare la vita: un cambiamento sostanziale è necessario, in merito alla trasparenza, al coinvolgimento dei lavoratori e alla responsabilità delle società di revisione. Infine si chiede che RINA si impegni nel processo di risarcimento.

Carolijn Terwindtdell’European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR), organizzazione che ha partecipato alla presentazione di questo reclamo e che sta supportando le vittime pakistane in una causa civile contro il principale acquirente della fabbrica, ha dichiarato: “Il fallimento evidente di RINA nel riconoscere e agire sulle violazioni della sicurezza dei lavoratori nella fabbrica Ali Enterprises mostra ancora una volta l’imperfezione intrinseca dell’attuale sistema di certificazione e la necessità di trasparenza e coinvolgimento dei lavoratori nell’intero processo, se si vuole evitare di continuare a fallire.”

Alessandro Mostaccio, Segretario Generale del Movimento Consumatori, altra organizzazione coinvolta nel reclamo, ha dichiarato: “La certificazione SA 8000 costituisce una garanzia per i consumatori di tutto il mondo nell’acquisto di prodotti sicuri. Rilasciandola alla Ali Enterprises, RINA ha fornito una garanzia ingannevole ai consumatori, gettando una pesante ombra su tutto il sistema di certificazione e la sua capacità di contribuire a rendere l’industria più sicura e giusta. Questa è una violazione del diritto fondamentale dei consumatori a prodotti sicuri, come contemplato dall’articolo 2 del Codice Italiano del Consumo.”

Questo fallimento del sistema di certificazione dimostra l’estrema necessità di meccanismi credibili di prevenzione per la sicurezza nel settore dell’abbigliamento che siano orientati verso la costruzione di capacità pubbliche invece di affidarsi a sistemi paralleli basati sul profitto.

  • Il reclamo OSCE è stato presentato l’11 settembre 2018 al Punto di Contatto Nazionale presso il Ministero dello Sviluppo Economico, Direzione Generale per la Politica Industriale, la Competitività e le PMI, Divisione VI – Politiche internazionali, promozione della responsabilita sociale d’impresa e del movimento cooperativo
  • Le organizzazioni che hanno presentato il reclamo sono: Ali Enterprises Factory Fire Affectees Association (AEFFAA), National Trade Union Federation (NTUF), Pakistan Institute of Labour Education and Research (PILER), European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR), Clean Clothes Campaign (CCC), Campagna Abiti Puliti, Movimento Consumatori, medico international
  • Il video della simulazione digitale prodotta dal Forensic Architecture è disponibile qui: https://www.forensic-architecture.org/case/outsourcing-risk/
  • RINA è anche sotto inchiesta da parte della procura di Genova. Il principale acquirente della fabbrica al momento dell’incendio, l’azienda low cost KIK, sta affrontando una causa legale a Dortmund
  • Qualche mese fa la battaglia per i risarcimenti ai familiari delle vittime si è finalmente conclusa. Qui maggiori informazioni:http://www.abitipuliti.org/news/iniziati-finalmente-i-risarcimenti-alle-vittime-dellincendio-alla-ali-enterprises-del-2012/
  • Cronologia degli eventi dal 2012 ad oggi: https://cleanclothes.org/safety/ali-enterprises/time-line-for-the-ali-enterprises-case

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