Banane: diritti umani violati e troppi pesticidi

Nei supermercati costano pochi euro, ma il prezzo pagato dai contadini per produrre le banane è altissimo: salari bassi, diritti sindacali negati, poca trasparenza, pesticidi in abbondanza. Dall’Ecuador alle Filippine, i braccianti soffrono lo strapotere di grossisti e grande distribuzione.

di Veronica Ulivieri (*)

Sono il frutto più amato al mondo, ma per i piccoli agricoltori che le producono le banane non sono sinonimo di dolcezza. Mentre a livello globale aumentano le esportazioni, infatti, i contadini non beneficiano del crescente giro d’affari, costretti a fronteggiare dure condizioni di lavoro, violazione dei diritti e guadagni magri.

A dettare le regole è la grande distribuzione, che con il proprio potere contrattuale condiziona le scelte di grossisti e proprietari delle piantagioni. «Vogliamo che i supermercati, i più potenti attori lungo la filiera, paghino prezzi equi ai loro fornitori che coprono i costi di una produzione sostenibile», hanno dichiarato 19 organizzazioni di tutto il mondo che lavorano alla campagna Make Fruit Fair!, cofinanziata dalla Commissione europea e focalizzata su banana e ananas.

Ecuador: l’export è l’origine della povertà

L’Ecuador è il principale esportatore mondiale di banane: su 18 milioni di tonnellate commercializzate nel 2017 secondo la Fao, oltre 6,5 milioni sono arrivate dal piccolo Paese del centro America. Una coltura così importante per l’economia ecuadoregna non garantisce però sostentamento ai contadini del settore: secondo un rapporto di Oxfam, tra le organizzazioni coinvolte nella campagna, nel 2016 il salario minimo era di 366 dollari al mese, ben al di sotto della spesa media di una famiglia, pari a 687 dollari.

A questo si aggiunge la mancanza totale di trasparenza lamentata dai lavoratori delle piantagioni: spesso i braccianti non ricevono una busta paga, e non sono quindi in grado di verificare l’equità della somma ricevuta dai datori di lavoro. Condizioni destinate a peggiorare, visto che i nuovi contratti di lavoro introdotti dal governo a gennaio 2018, si legge nel dossier di Oxfam, «complicheranno la situazione per i lavoratori: dovranno lavorare in condizioni più flessibili, le 48 ore libere legalmente obbligatorie saranno sospese e gli straordinari nei fine settimana saranno pagati il 75% in meno».

Piantagioni di banane: diritti sindacali inesistenti

Per conservare condizioni di lavoro così dure, i proprietari delle coltivazioni di banane bloccano spesso ogni tentativo dei braccianti di organizzarsi in sindacati, licenziando chi ci prova.

«Non è stata una sorpresa che tra 20 aziende esaminate nel 2016 nessuna avesse un’organizzazione sindacale indipendente. C’è stato lo stesso risultato rispetto alle piantagioni esaminate nel 2017: secondo i lavoratori intervistati, nessuna piantagione permetterebbe ai contadini di essere membri di un sindacato», scrive ancora Oxfam.

Filippine: la banana affama i contadini

Se dal Centro America ci si sposta nelle Filippine, primo esportatore di banane dell’Asia e tra i primi cinque a livello globale, le condizioni dei lavoratori non migliorano. Anche qui, la ricchezza prodotta dall’industria delle banane non arriva agli agricoltori. Secondo un’indagine condotta nel 2017 dalla ong nelle due principali aree di produzione del frutto (la valle Compostela e le province orientali di Davao nella regione Mindanao), sei contadini su dieci attivi nel comparto fanno fatica a sfamare la famiglia.

Piantagioni banane: fallita la riforma agraria

A complicare la situazione sono anche gli effetti della riforma agraria messa in campo dal governo filippino più di 10 anni fa. Doveva ridurre le ingiustizie, e invece ha alimentato nuove sperequazioni. Il provvedimento ha diviso le grandi proprietà in appezzamenti più piccoli redistribuiti nel 2007 ai contadini e incoraggiato la formazione di cooperative per permettere a questi ultimi di beneficiare di aiuti pubblici, sotto forma di prestiti a tasso ridotto e supporto tecnico. Ma questi aiuti, denuncia Oxfam in un altro report , non si sono concretizzati, con il risultato che i contadini si sono ritrovati in balia di creditori senza scrupoli e costretti a vendere la terra o più spesso stringere accordi iniqui con aziende ed esportatori.

«Il successo dell’industria delle banane e la ricchezza che genera non raggiungono i produttori. Anziché guadagni crescenti, i produttori di banane,in particolare le cooperative del Mindanao, hanno visto i loro debiti accumularsi perché imprigionati in contratti onerosi con esportatori e grossisti. Mentre i contadini hanno a lungo sognato di possedere la loro terra, per molti la realtà si è rivelata un incubo».

I contratti iniqui delle banane Cavendish

Gli accordi tra agricoltori e aziende di export delle Cavendish, la varietà più diffusa di banane, infatti, secondo Oxfam hanno diversi punti critici: linguaggio poco chiaro ed espressioni soggette a interpretazioni in favore dei grossisti, divieto agli agricoltori di piantare altre colture per ottenere un’entrata aggiuntiva, libertà del grossista di imporre il prezzo indipendentemente dai costi del produttore, nessuna garanzia a favore dei contadini.

Allo stesso tempo, le cooperative hanno firmato accordi così ingiusti perché gli agricoltori non conoscono i propri diritti, non hanno le competenze legali per comprendere i contratti e le loro implicazioni e spesso si sono fidati della buona fede dell’altra parte.

Donne pagate poco ed escluse dalle decisioni

Se queste situazioni riguardano soprattutto gli uomini che lavorano nella coltivazione e raccolta delle banane, anche le donne si trovano a soffrire sulla loro pelle violazioni di vario tipo. In Ecuador, la manodopera femminile viene usata soprattutto nel confezionamento, ma con un salario molto basso che può arrivare anche a un terzo di quello degli uomini.

Nelle cooperative filippine, le donne pur essendo socie non vengono coinvolte nelle decisioni e sono relegate a ruoli secondari, come la segreteria e l’amministrazione.

Vari tipi di pesticidi per nelle piantagioni di banane

Tutti invece sono esposti all’inquinamento causato dal massiccio uso dei pesticidi, che in Ecuador sono vaporizzati sulle piantagioni tramite aerei. In questo modo, le sostanze chimiche tossiche raggiungono anche le abitazioni situate vicino alle coltivazioni.

Non solo: nonostante il governo raccomandi di attendere almeno 12 ore dal trattamento prima di rientrare nei campi, i braccianti vengono di nuovo mandati a lavorare dopo appena due ore, esponendoli a un contatto maggiore con i pesticidi e gravi effetti per la salute: «I lavoratori delle piantagioni soffrono di vertigine, vomito, diarrea, irritazioni cutanee, insonnia e problemi cardiaci», denuncia Oxfam.

(*) tratto da Osservatorio Diritti

Foto: Make Fruit Fair!

 

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