Difesa dei diritti umani – alcuni articoli

UN DOSSIER. L’appuntamento (29-31 ottobre) di Parigi. Un comunicato di Amnesty, Access Now e Reporter Senza frontiere. Uno “sguardo lungo” di Franco Astengo su sicurezza e democrazia

PIÙ DI 150 DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI INSIEME PER GUIDARE IL CAMBIAMENTO E COMBATTERE LA REPRESSIONE, IL RAZZISMO E LA DISCRIMINAZIONE.

In occasione del 20esimo anniversario della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani e del 70esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, più di 150 difensori dei diritti umani provenienti da tutto il mondo si riuniscono a Parigi per pianificare i prossimi 20 anni di passi avanti per i diritti umani e la lotta per il cambiamento contro la repressione, il razzismo e la discriminazione.

Il Summit mondiale dei difensori dei diritti umani 2018 arriva in un momento in cui quasi ogni giorno un difensore dei diritti umani viene ucciso, in cui la criminalizzazione e la diffamazione sono diventati un rischio ordinario e in cui i governi stanno fallendo gli impegni presi nel 1998 di rispettare e proteggere i difensori dei diritti umani.

In tutto il mondo, persone comuni prendono la parola con enorme passione per la giustizia e l’uguaglianza nelle loro vite. Questi difensori dei diritti umani sono insegnanti, operai, giornalisti e avvocati; sono padri e madri, sorelle e fratelli. A guidarli, la profonda convinzione che le persone, ovunque, dovrebbero essere in grado di godere ed esercitare i propri diritti. Rappresentano una sfida ai funzionari autoritari e corrotti e a quelli che antepongono il profitto alla protezione delle risorse naturali e al diritto alla terra delle comunità.

I governi, le aziende e altre realtà di potere attaccano, spiano, imprigionano, torturano e addirittura uccidono i difensori dei diritti umani, solamente per aver difeso i diritti umani delle loro comunità”, ha dichiarato Andrew Anderson, direttore generale di Front Line Defenders, per conto delle organizzazioni presenti che guidano il Summit mondiale dei difensori dei diritti umani.

La sicurezza dei difensori, già indeboliti da ineguaglianza, esclusione e forme interconnesse di discriminazione, è messa a rischio ogni giorno di più dal lavoro che portano avanti”, ha aggiunto Cindy Clark, attivista femminista e condirettrice esecutiva dell’Associazione per i diritti delle donne nello sviluppo, sempre a nome dei partecipanti.

Il Summit mondiale dei difensori dei diritti umani (29-31 ottobre) riunisce un gruppo eterogeneo di più di 150 difensori dei diritti umani che sono in prima linea nella battaglia per la giustizia, la libertà e l’eguaglianza. Durante il summit verranno sviluppate strategie per affrontare gli ostacoli e le sfide che essi affrontano nella loro battaglia contro la repressione, il razzismo, la discriminazione, le uccisioni e le sparizioni forzate. Lavoreranno per presentare un piano d’azione per i principali interlocutori – inclusi governi, enti, istituzioni finanziarie internazionali, paesi donatori e altri – per assicurare il rispetto e la sicurezza dei difensori dei diritti umani.

Fra loro, il giornalista vincitore del premio Pulitzer Matthew Caruana Galizia, che chiede giustizia per sua madre Daphne Caruana Galizia, uccisa un anno fa a Malta; Anielle Franco, che anima con coraggio la campagna per sua sorella Marielle Franco, attivista brasiliana eletta al consiglio comunale uccisa da colpi d’arma da fuoco nella sua macchina sette mesi fa; Hina Jilani, avvocata per i diritti umani e fondatrice della Commissione diritti umani del Pakistan, che lavora per un sistema legale libero dalla corruzione in Pakistan.

Venti anni fa, il primo Summit mondiale dei difensori dei diritti umani mai tenuto, ebbe luogo al Palais de Chaillot, a Parigi. In quell’anno, i governi adottarono quella che è conosciuta come Dichiarazione sui difensori dei diritti umani, per rendere noto il ruolo chiave dei difensori. Gli stati si impegnavano a riconoscere e proteggere tutte le persone impegnate nella difesa dei diritti umani – chiunque esse fossero e ovunque si trovassero. Venti anni dopo, nonostante i progressi in alcune aree, molti governi continuano a non essere all’altezza degli impegni presi. Nel 2017, almeno 312 difensori dei diritti umani sono stati assassinati, il doppio del 2015, quasi tutti con l’impunità dei loro aggressori.

Michel Forst, il Relatore Speciale per le Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani, ha sottolineato: “Questo summit rappresenta un’opportunità chiave per i difensori dei diritti umani del mondo, che affrontano denigrazione e attacchi sempre più numerosi, a unirsi e discutere i prossimi passi alle loro condizioni”.

Il Summit mondiale dei difensori dei diritti umani riunisce un gruppo eterogeneo di più di 150 difensori dei diritti umani per tre giorni di incontri, discussioni e approfondimenti, laboratori e lavoro in rete. Questi attivisti, che sono in prima linea nelle battaglie per il cambiamento sociale, politico e ambientale nei loro paesi, avranno l’opportunità di entrare in contatto e impegnarsi con le organizzazioni per i diritti umani regionali e internazionali, leader dei governi, le Nazioni Unite, paesi donatori e settore privato. Il primo Summit mondiale dei difensori dei diritti umani mai tenuto, ebbe luogo 20 anni fa al Palais de Chaillot, a Parigi, dove si terrà la cerimonia di chiusura di questo in corso.

Le organizzazioni presenti che guidano il Summit mondiale dei difensori dei diritti umani sono:
Amnesty International; Association for Women’s Rights in Development (AWID); FIDH; Front Line Defenders; International Service for Human Rights; OMCT; ProtectDefenders.eu; Reporter senza Frontiere.

L’appello di Amnesty International per chiedere chi ha ucciso Marielle Franco è online qui:
https://www.amnesty.it/appelli/giustizia-per-marielle/

L’appello di Amnesty International per chiedere giustizia per Daphne Caruana Galizia è online qui:
https://www.amnesty.it/appelli/omicidio-daphne-caruana-galizia-vogliamo-giustizia/

AMNESTY INTERNATIONAL, ACCESS NOW E REPORTER SENZA FRONTIERE: STATI UE PRONTI A METTERE A RISCHIO I DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI PUR DI PROTEGGERE L’INDUSTRIA DELLA SORVEGLIANZA
Amnesty International, Access Now e Reporter senza frontiere hanno chiesto agli Stati membri dell’Unione europea di contrastare i tentativi di mitigare gli attuali limiti alle esportazioni di materiali di sorveglianza verso regimi che violano i diritti umani.
L’appello è stato lanciato dopo che il portale netzpolitik.org e la stessa Reporter senza frontiere hanno pubblicato un documento che rivela quanto diversi Stati dell’Unione europea, soprattutto Svezia e Finlandia, stiano spingendo per alleggerire le protezioni sui diritti umani in relazione all’esportazione di tecnologia europea per la sorveglianza.
“L’attuale sistema europeo già non riesce a chiamare governi e aziende a rispondere del loro comportamento. Ora è sconvolgente vedere che la protezione della privacy delle persone e le garanzie sulla libertà d’espressione nel mondo non siano tra le priorità del Consiglio dell’Unione europea” ha dichiarato Lucie Krahulcova, Policy analyst di Access Now.
“Queste rivelazioni ci dicono che, mentre in pubblico l’Unione europea parla di diritti umani, dietro le quinte i suoi Stati membri sono pronti a vendere i loro obblighi riguardo alla protezione dei difensori dei diritti umani per favorire i propri interessi economici. In questo modo, le aziende avrebbero via libera per vendere tecnologie a regimi che violano i diritti umani per consentire a questi ultimi di ascoltare le conversazioni e rintracciare coloro che parlano contro di loro” ha affermato Nele Meyer, dell’Ufficio di Amnesty International presso l’Unione europea.
La tecnologia per la sorveglianza disponibile sul commercio è usata da governi di ogni parte del mondo per spiare attivisti, giornalisti e dissidenti.
“L’intenzione di alcuni Stati di continuare a fare affari fornendo a regimi dispotici tecnologia per violare i diritti umani è scioccante. La morte di Jamal Khashoggi ha dimostrato il livello di pressione e sorveglianza cui sono sottoposti i giornalisti. L’Unione europea deve impedire la vendita di strumenti usati per spiare, intimidire e arrestare giornalisti. Queste tecnologie minacciano la sicurezza tanto dei giornalisti quanto delle loro fonti e di conseguenza costringono all’autocensura” ha aggiunto Elodie Vialle, direttrice del programma Giornalismo e tecnologia di Reporter senza frontiere.
Amnesty International, Access Now, Reporter senza frontiere e anche Privacy International sollecitano gli Stati membri dell’Unione europea a garantire che la tecnologia per la sorveglianza sia esportata unicamente se la sua vendita rispetta rigidi criteri sui diritti umani.
ULTERIORI INFORMAZIONI
Dopo che la tecnologia per la sorveglianza è stata usata per colpire le proteste della cosiddetta “primavera araba”, le organizzazioni internazionali della società civile e i parlamentari europei hanno chiesto una significativa modifica dei controlli sulle esportazioni in modo da impedire che aziende europee potessero fornire a regimi repressivi tecnologia per violare i diritti umani.
Nel 2016 la Commissione europea ha proposto una riforma dell’attuale sistema “per impedire violazioni dei diritti umani associate a determinate tecnologie per la cyber-sorveglianza”.
I documenti trapelati oggi rivelano come diversi Stati membri stiano attivamente annacquando le garanzie sui diritti umani proposte dalla Commissione e dal Parlamento dell’Unione europea.
Amnesty International, Privacy International, Access Now e Reporter senza frontiere sono tra le Ong che chiedono il rafforzamento di alcune di quelle garanzie, come ad esempio rafforzare le protezioni sui diritti umani, ampliare i controlli alle nuove tecnologie di sorveglianza, tutelare le ricerche sulla sicurezza e agire con maggiore trasparenza.
Molte di queste riforme sono contenute, in qualche modo, nella proposta adottata dal Parlamento europeoall’inizio del 2018. Ma affinché la riforma abbia effetto, le tre istituzioni europee dovranno trovare l’accordo su un testo condiviso al termine dei negoziati inter-istituzionali chiamati “trialogo”, dopo che gli Stati membri all’interno del Consiglio adotteranno una posizione comune.
Stando alla documentazione trapelata (oggi) dal governo tedesco e dal Consiglio europeo, un gruppo di Stati membri ha aggirato la cosiddetta clausola “omnibus”, una garanzia cruciale che richiede alle aziende di informare la Commissione nei casi in cui identifichino rischi per i diritti umani connessi alle loro esportazioni di tecnologia di sorveglianza.
Attualmente un crescente numero di Stati – Svezia e Finlandia in testa – sta prendendo di mira un altro elemento centrale della riforma: l’elenco delle tecnologie per la sorveglianza per le quali è obbligatoria una licenza all’esportazione.
I tempi sono stretti: se la riforma non sarà adottata all’inizio del 2019 rischierà di slittare di almeno un anno a causa delle imminenti elezioni europee. La prossima sessione negoziale del Consiglio è prevista nel novembre 2018.

29 ottobre 2018

L’INVERSIONE DI TENDENZA di Franco Astengo

Propongo uno spunto di riflessione, basato su due affermazioni che mi paiono incontrovertibili:

1)      Nella fase della rivoluzione industriale e della centralità dell’Occidente abbiamo assistito a un progressivo processo di politicizzazione delle masse, dal quale sortirono – tra l’altro e non certo come esito meno importante – i partiti politici moderni superando così lo schema della “democrazia dei notabili” e del “caminetto”;

2)      La fase successiva quella aperta dalla mondializzazione dell’innovazione tecnologica dell’esportazione del consumo senza limiti dell’egemonia dell’individualismo che sta sfociando nel dominio dell’esasperazione della velocità comunicativa e della conseguente prevalenza dell’apparire nell’esercitare la “pressione decisionale” coincide con la crescita apparentemente inarrestabile del processo di spoliticizzazione.

Ha richiamato l’attenzione su questo punto Giorgio Agamben che dopo aver analizzato il tema dichiara, nel corso di una sua intervista rilasciata il 28 ottobre a “Robinson” inserto culturale del quotidiano Repubblica: «Una società fatta di telecamere e di dispositivi di sicurezza non può essere democratica».

La domanda a cui dare risposta è questa: qual è il punto d’attracco su cui si può far approdare un processo di nuova politicizzazione di massa invertendo la tendenza in atto alla spoliticizzazione?

Sarà questione di ridefinire la scala di qualità delle contraddizioni oppure di ricostruire gli strumenti perduti dell’agire politico?

Esiste una funzione che, in passato, era stata svolta dai grandi partiti. Una funzione che risulterebbe decisiva proprio a questo proposito: quella di “alfabetizzazione di massa” portata avanti non soltanto al riguardo della “identificazione politica” ma – più complessivamente rispetto alla cultura nel suo insieme – agli aspetti storici, filosofici, letterari, artistici.

Una funzione pedagogica che dovrebbe servire innanzi tutto a ricordare in ogni momento la tesi 11 (*): non basta descrivere il mondo – e amministrarlo così com’è – ma occorre cambiarlo.

E per cambiarlo occorrono “scienza e coscienza” oltre che visione.

Sotto questo aspetto appare deficitaria, anzi quasi assente, l’università che almeno nelle principali facoltà di scienze politiche (limitando il nostro campo di osservazione all’Italia) pare aver trascurato l’aspetto dei riferimenti ideali e storici privilegiando l’insegnamento di schemi predeterminati che costringono e obbligano il rapporto politica e società tutto all’interno della policy in luogo della politcs .

Così la governance diventa assolutamente dipendente dalle ragioni dell’economia e della tecnica e non esprime mai il portato dell’idealità delle ragioni storiche che la “politics” dovrebbe recare con sé quale bagaglio delle parti determinate. Un bagaglio da utilizzare per costruire la misura dei rapporti di forza possibilmente al di fuori dai termini che presenta l’attuale quadro italiano così ben descritto da Rossana Rossanda: le “frottole” del M5S e la “cattiveria” della Lega.

Dovremmo cercare di riprendere uno sviluppo di analisi in modo da porre al processo di costruzione della decisionalità l’esigenza di superare il mero pragmatismo nell’affrontare i temi dell’economia e della tecnica.  Disponendo, appunto, di visione.

Dobbiamo fermare questa apparentemente inarrestabile rincorsa verso una società composta quasi per intero da telecamere.

Altrimenti il risultato di questa rincorsa sarebbe quello che andrebbe bene a chi riuscisse a rimanere costantemente inquadrato e male per chi restasse oscurato per sempre.

Una divisione quasi manichea tra “dentro” e “fuori”, per una struttura sociale al riguardo della quale Orwell risulterebbe soltanto parzialmente profeta.

(*) il riferimento è a “Tesi su Feuerbach” di Karl Marx. Nella tesi 11 si legge: ”I filosofi non debbo limitarsi a spiegare il mondo, si tratta di cambiarlo”. Sul tema  è uscito recentemente un interessante volume di Antonio Peduzzi.

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