Da ADISTA n. 43/18
Nel turbolento processo di transizione che condurrà Jair Bolsonaro, il primo gennaio prossimo, alla guida del Brasile, ogni annuncio del futuro presidente è un colpo ulteriore alla credibilità del paese. Dopo la picconata al principio di indipendenza della magistratura rappresentata dalla nomina di Sérgio Moro, il grande persecutore di Lula, a ministro della Giustizia e della Sicurezza Pubblica, non meno grave è apparsa la scelta del colombiano Ricardo Vélez Rodríguez come futuro ministro dell’Educazione. Noto per le sue dichiarazioni sul golpe del ’64, che a suo giudizio andrebbe celebrato per aver liberato il paese dal comunismo, Vélez è stato indicato dallo scrittore e filosofo (o cosiddetto tale) Olavo de Carvalho, nemico, tra molto altro, del marxismo, della psicoanalisi, dell’esistenzialismo, della teologia della liberazione, del relativismo morale, culturale ed etico (tutto ricondotto a quello che egli chiama “sacerdozio delle tenebre), nonché negazionista del cambiamento climatico. Privo di qualsiasi competenza in ambito educativo, Vélez ritiene che i brasiliani siano «ostaggi» di un sistema di insegnamento mirato a «imporre alla società un indottrinamento radicato nell’ideologia marxista» e destinato a sacrificare «i valori tradizionali della nostra società, rispetto alla difesa della vita, della famiglia, della religione». Una minaccia che sarà scongiurata dal progetto Escola sem partido, in discussione al Congresso, che impedirà a suo dire l’ideologizzazione politica e quella di genere, dal momento che «a educare i figli sono le madri e i padri e la scuola deve rispettare le tradizioni familiari in cui i bambini sono cresciuti».
Non è andata sicuramente meglio con la nomina al ministero dell’Agricoltura di Tereza Cristina da Costa, già a capo della potente bancada ruralista al Congresso, dove si è distinta per il suo voto a favore della legalizzazione massiccia di aree pubbliche invase dai latifondisti, con successivo incremento tanto della deforestazione quanto dei conflitti per la terra, e dell’eliminazione dell’etichettatura obbligatoria degli alimenti contenenti ogm. Soprannominata “musa dei pesticidi” ha già dichiarato che si impegnerà a ottenere l’approvazione al Congresso della legge che ridimensiona le regole sui veleni chimici, come pure a velocizzare la concessione di autorizzazioni ambientali. E come se non bastasse, sul suo capo pende l’accusa di aver concesso incentivi fiscali all’impresa JBS in cambio di benefici economici.
Prima gli Stati Uniti
A provocare l’allarme più forte è stata perà la nomina di Ernesto Araújo come prossimo ministro degli Esteri. Diplomatico di medio livello senza alcuna esperienza internazionale, l’attuale direttore del Dipartimento per gli Stati Uniti, il Canada e gli Affari Interamericani è conosciuto come un grande ammiratore di Donald Trump, considerato una sorta di messia destinato a salvare la civiltà occidentale dal «marxismo culturale globalista», con la sua aspirazione a «un mondo dalle frontiere aperte dove tutti sono migranti e nessuno può identificarsi con la sua terra e con la sua gente senza essere etichettato come fascista». Il presidente Trump, scriveva nel 2017, «propone una visione dell’Occidente non basata sul capitalismo e sulla democrazia liberale, ma sul recupero del passato simbolico, della storia e della cultura delle nazioni occidentali», al cui centro non c’è una dottrina economica, ma «il desiderio di Dio, del Dio che agisce nella storia». E concludeva con l’auspicio che il Brasile intendesse «far parte di questo Occidente».
Parimenti agghiacciante è anche ciò che il futuro ministro degli Esteri brasiliano ha scritto sul cambiamento climatico, definito come un «dogma» utilizzato per giustificare «il potere delle istituzioni internazionali sugli Stati nazionali», per soffocare «la crescita economica nei paesi capitalisti democratici e per «promuovere la crescita della Cina».
Una nomina, quella di Araújo, che la scrittrice e documentarista Eliane Brum definisce né più né meno come una «catastrofe»: nel momento in cui la comunità scientifica pressoché al completo mette in guardia sul fatto che ci sono rimasti appena 12 anni per impedire che l’aumento della temperatura globale superi il grado e mezzo e intanto, già ora, milioni di persone pagano gli effetti del riscaldamento globale, sarà «un uomo con queste idee a rappresentare il Brasile nel mondo».
E in linea con le dichiarazioni di Araújo, Bolsonaro ha già provveduto a ritirare la candidatura del Brasile ad ospitare la Cop 25 – la conferenza Onu sul cambiamento climatico del prossimo anno destinata a negoziare l’applicazione dell’Accordo di Parigi – per non essere eventualmente costretto ad annunciare la rottura dell’Accordo sul suolo brasiliano. «La politica ambientale – ha affermato – non può ostacolare lo sviluppo del Brasile. Oggi l’economia registra una crescita quasi solo nella questione dell’agribusiness. E questo si trova soffocato da questioni ambientali che non contribuiscono in nulla allo sviluppo e alla preservazione della natura». E intanto, in base agli ultimi dati, la deforestazione è cresciuta nel paese di quasi il 14% tra agosto del 2017 e luglio del 2018: un’area equivalente a 5,2 volte la città di São Paulo.
È proprio del resto sul terreno della politica estera che la ribattezzata “armata Bolsoleone” ha rivelato in maniera sconcertante improvvisazione e incompetenza, ora ridimensionando l’importanza del Mercosul (benché l’Argentina sia il maggior acquirente delle sue automobili), ora indispettendo la Cina (benché la potenza asiatica sia il primo socio commerciale del paese), ora evocando la possibilità di trasferire l’ambasciata in Israele a Gerusalemme. Una misura, quest’ultima, prima parzialmente smentita di fronte alla ferma reazione dell’Egitto, grande importatore di carne dal Brasile, e poi nuovamente rilanciata da uno dei figli di Bolsonaro, Eduardo, che, improvvisandosi ministro degli Esteri, ha spiegato durante la sua visita negli Stati Uniti, con tanto di berretto di Trump in testa – un gesto di servilismo impensabile fino a poco tempo fa -, come il trasferimento dell’ambasciata sia solo una questione di tempo. Anche se, sotto le pressioni della fortissima ala militare del governo, guidata dal vicepresidente Mourão – ben dieci posti strategici del governo saranno occupati da militari -, Bolsonaro finirà probabilmente per non fissare mai una data.