Carissima, carissimo,
in questi ultimi decenni ci siamo ubriacati di falsi valori che hanno avuto la conseguenza, dietro un apparente benessere, di peggiorare la vita di tutti. Guardiamoci intorno: siamo circondati da rapporti umani pietosi, la terra è malata, l’aria irrespirabile, il cibo avvelenato. Per questo credo sia necessario ricominciare da ciò che, dentro queste macerie, può aiutarci a ricostruire qualcosa di autentico.
Innanzitutto renderci conto che bisogna capovolgere la logica di questo consumismo, viviamo con la smania di avere sempre di più, convinti che solo appagandola si può stare meglio. In realtà ognuno di noi ha bisogno di pochissime cose per rendere giustizia del fatto che vive. Ognuno di noi ha bisogno di sentire il valore della sua umanità. Oggi pensiamo di aver capito tutto, di non aver bisogno di nessuno.
E invece abbiamo bisogno di imparare da tutti. Dom Helder Camara, grande vescovo brasiliano dei poveri, affermava: “Nessuno è talmente ricco da non aver bisogno degli altri, nessuno è talmente povero da non dare qualcosa agli altri”. Oggi viaggiamo con ritmi folli, con la continua ansia di correre. Ritrovare la lentezza, come scriveva il nostro amico Ercole Ongaro, anni fa, non vuol dire fare meno cose, ma fare una cosa alla volta. In questo periodo, forse perché gli anni che passano, mi commuovo sempre più spesso, a volte piango, mi è successo in questo mio novembre passato in Brasile visitando periferie impoverite dall’egoismo dei pochi, ne ho parlato nella lettera di dicembre, il dolore visto e ascoltato è stato troppo grande anche se vedi che il nostro condividere con loro momenti concreti, fatto di relazione e aiuto attraverso il sostegno ad alcuni progetti, restituisce loro la vita. Le lacrime ripuliscono gli occhi, ti fanno sentire la densità della vita, ti aprono dentro e senti dentro il nocciolo della vita.
Oggi stiamo atrofizzando la nostra sensibilità. Stiamo perdendo il contatto carne a carne con l’altro. A me non interessa sapere se una persona crede o non crede, mi interessa piuttosto sapere se, davanti a uno che sta male, si ferma a soccorrerlo o passa oltre. E’ qui che rinnoviamo continuamente la nostra umanità, la nostra sensibilità, i nostri valori.
Ho visto moltitudini di donne uomini e bambini senza dignità, fuori dalla vita, abbandonati sui marciapiedi o sotto viadotti.
Oggi, in piena era della globalizzazione i virus non conoscono frontiere, di fronte a ciò come si possono combattere se non invitando a denunciarli con chiarezza e franchezza. In Italia il virus più virulento è quello dell’ignoranza che si porta con se due compari altrettanto pericolosi e invadenti: la violenza e la menzogna. Ne vediamo tutti i giorni i frutti, nella vita quotidiana, come nella politica.
Sono virus tanto più insidiosi e pericolosi perché si istillano a piccole dosi e sono veicolati spesso dalla retorica, dal pensiero dominante. In buona sostanza, non se ne parla. La retorica dominante non ha interesse a parlarne e allora possono agire indisturbati.
A questi virus che si propagano i più esposti sono i piccoli, i poveri, gli emarginati, quelli che fanno fatica, che il sistema tende a moltiplicare e a mettere l’uno contro l’altro. Lo vediamo molto bene attraverso il rigurgito di indecorose manifestazioni fasciste, sulle quali è giusto intervenire con fermezza, nonostante l’attuale ministro dell’interno abbia fatto suo l’antico slogan di Forza Nuova: Prima gli italiani!
Di fronte a ciò urge un profondo esame di coscienza che guardi alle cause di questi fenomeni.
Siamo di fronte ad una emergenza che va affrontata: l’ignoranza.
Servono, dunque, anticorpi. Ma siamo in grado di produrli? E, poi, di diffonderli in modo che agiscano con efficacia?
Rispondere a questi interrogativi forti non è facile, comporta che ciascuno, a partire dall’élite, si assuma le proprie responsabilità. Ma se non cominciamo a dire le cose con franchezza e sviluppare un vero dibattito civile, ci limiteremo, come sempre, alla pur sacrosanta indignazione del momento, che non impedisce ai processi di svilupparsi, mentre ciascuna parte si limita a tutelare i propri interessi, a partire da quelli elettorali.
Cosa ci serve oggi per stare bene: amicizie, incontri, affetto. Non si tratta di fare un elenco, ma di alimentare la voglia di individuarle, non so se voi sentite quanta inconcludenza ci sia nell’andamento frenetico delle nostre giornate. Spesso giriamo a vuoto, come se ci mancasse un fulcro, come se non trovassimo un punto di appoggio. Eppure c’è. Ci deve essere. E cercarlo è indispensabile per star bene, vivere bene, godere dell’aver appoggiato la propria vita al posto giusto nel mosaico del mondo
Nessuno può fare questo al posto nostro. Possiamo però farci ispirare dalla forza di qualche esperienza, di qualche testimone.
Ciò ci obbliga a scavare, guardarsi dentro, infine bussare alla porta del proprio io, del proprio cuore. Un inizio di risposta sarebbe già una buona partenza.
E’ tempo di Natale, un caro amico della Rete, Luca Soldi ha scritto una riflessione a dir poco “meravigliosa”, che ci interroga su un fatto accaduto a Pistoia alcuni giorni fa, è con questa che ci facciamo gli auguri.
Antonio
Solo i topi lo hanno trovato – di Luca Soldi
Le luminarie, i parcheggi pieni, i centri commerciali affollati per i regali di Natale sono stati disturbati poco da questo ragazzo, ormai uomo di 35 anni che aveva deciso di arrendersi.
Pistoia non si è accorta di niente, ma la colpa non è della città.
Poteva essere così per qualsiasi altro luogo, a Prato, a Firenze come a Roma o Napoli, il rito non può essere certo annullato per un fantasma che vuole farla finita con tutto.
Forse adesso la notizia sarà arrivata nel suo Villaggio del Ghana. Forse una mamma e dei fratelli potranno piangere.
Anche lui da sempre invisibile aveva percorso la solita odissea, era sbarcato nel 2011 a Lampedusa.
In quei momenti, nei suoi occhi, nella mente aveva la disperazione di un viaggio fatto di angherie accompagnate però dalla speranza di essere arrivato in un mondo migliore.
Ed invece le umiliazioni non erano mai finiti, le prospettive non erano mai arrivate.
Era caduto nella trappola dei malvagi che alimentano le illegalità. Un po’ di elemosina offerta con un sorriso alleviava la miseria. E poi i nostri giorni, i documenti scaduti, il senso di oppressione e paura. Nessuno che ti considera.
La preoccupazione per i propri cari che si aspettano un aiuto.
Così ha deciso di farla finita, per sempre, in solitudine mentre a poche decine di metri la gente strusciava indaffarata nelle strade del centro.
Si è impiccato, ma nessuno se n’è accorto.
Lo ha fatto dove aveva trovato rifugio, in uno di quei tanti ruderi industriali che affollano di macerie le nostre città.
Solo i topi dalle fogne se ne sono accorti. Ma anche loro si sono accaniti verso di lui dopo di che lo avevano fatto gli uomini.
Lo hanno trovato quattro o cinque giorni dopo.
La pietà umana lo ha raccolto devastato nel corpo e nello spirito.
Adesso anche lui andrà a fare parte del Presepe.
Diventerà anche lui, ultimo degli ultimi, un personaggio di quel Presepe che poco piace ai padroni del nostro destino.
Troverà posto accanto ad un fuoco, per riscaldarsi, mai solo.
Dove non ti allontanano per il colore della pelle, perché vieni dalla Giudea, dalla Palestina, perché sei del Ghana.
Troverà un posto accanto a quel Bambino a cui diciamo di credere.