Ad Haiti la situazione politica è sempre più instabile, da luglio si susseguono grandi manifestazioni per l’aumento del prezzo del carburante, e di conseguenza di tutto il resto,aa e per la corruzione soprattutto per lo scandalo PetroCaribe.
PETROCARIBE è la compagnia pubblica di carburante del Venezuela. Per un accordo di cooperazione tra Stati, il governo haitiano comperava dal Venezuela carburante a prezzo scontato, a condizione di investire quanto risparmiato in opere sociali e infrastrutture di pubblica utilità, risaldando il debito a un tasso molto agevolato. A luglio però il governo, spinto dal Fondo Monetario internazionale, ha aumentato di quasi il doppio il prezzo del carburante mettendo in ginocchio il trasporto pubblico (e non solo). Il popolo ha reagito scendendo in piazza, danneggiando edifici e imprese private (come supermercati, attività commerciali e alberghi) di proprietà di famiglie vicine all’attuale presidente. A questi scontri è seguito il rientro del provvedimento di aumento e le dimissioni del primo ministro e, di conseguenza, di tutto il governo.
Ma il popolo vuole andare oltre ed esige giustizia: come mai il governo non riusciva a saldare un debito così vantaggioso? Dov’erano le opere di pubblica utilità per la popolazione haitiana? E perché le autorità venezuelane non denunciavano il non-impiego del denaro prestato con questo vincolo, rendendosi complici del governo inadempiente? La cosa sorprendente non sta nella riuscita della protesta. Il popolo, che finora ha sempre trovato nelle manifestazioni un modo di far sentire la propria voce, ha dato il via a una nuova forma di protesta. Un movimento di massa che chiede giustizia, senza rassegnazione: “kote kòb Petrokaribe?” (Dove sono i soldi PetroCaribe?) è una mobilitazione ancora in corso in piazza e sui social, che sta rendendo protagonista il popolo haitiano, fermo e tenace nella sua presa di posizione pacifica contro la corruzione del governo.
Scriveva all’inizio di ottobre il nostro referente Jean Bonnélus:
“il nostro paese conosce ancora più corruzione di prima, ma la speranza viene dal risveglio della coscienza popolare che chiede e reclama il fondo di Petro Caribe dilapidato dall’attuale équipe al potere e persino il presidente Jovenel Moise è implicato in questo furto. Dunque, chiediamo la solidarietà di tutti per risparmiarci di essere ancora più vittime di questo crimine. Infatti dobbiamo restituire al Venezuela questo denaro e sono i più poveri che dovranno pagare questo debito, dunque SOS per Haiti attraverso i suoi amici con ogni forma di solidarietà, petizioni, articoli di giornali, brochure, conferenze, trasmissioni radio, sit-in ecc.
ULTIME NOTIZIE DALL’AGENZIA DI STAMPA HAITIANA ALTER PRESSE:
Port-au-Prince, 18 novembre 2018 [AlterPresse]
Di una situazione agitata, contraddistinta da azioni di violenza e disordini, provocati da persone armate non identificate, si riferisce un po’ ovunque a Haiti (Port-au-Prince e città di provincia) domenica 18 novembre in occasione di una nuova mobilitazione di massa contro la corruzione. Pietre sono state lanciate in diversi luoghi, mentre barricate di pneumatici incendiati si sono registrate, non solo nella zona metropolitana della capitale, ma anche in provincia.
Migliaia di persone sono scese in strada per esigere una resa dei conti sulla gestione di 3,8 miliardi di dollari USA (US$ 1=76 gourdes; 1€=89 gourdes oggi).
I trasporti pubblici non hanno funzionato tra le città, tranne qualche moto-taxi. I mercati pubblici, dove si approvvigionano le Haitiane e gli Haitiani, erano pochissimo frequentati. Lari a pa bon (la strada non è buona), bisogna fare attenzione, essere vigilanti in strada in questi giorni, esortavano la sera del 17 novembre, i/le piccoli/e commercianti e acquirenti. A Port-au-Prince era difficile trovare del pane nei supermercati la vigilia di domenica 18. Alla domenica alcune confessioni religiose hanno accolto i loro fedeli, mentre altre, prevedendo di non funzionare, hanno anticipato i riti.
Si sono notate delle motociclette che circolavano con bandiere nere e rosse, apparentemente in segno di solidarietà con il dirigente della piattaforma politica di sinistra Pitit Desalin, Jean-Charles Moïse, che, con i suoi sostenitori, aveva issato un bicolore nero e rosso il 10 novembre, nella piazza di Vertières a Cap-Haïtien [La battaglia di Vertières fu l’ultima battaglia della rivoluzione haitiana, combattuta il 18 novembre 1803 tra le forze rivoluzionarie e popolari haitiane ed il corpo di spedizione francese di Napoleone, che aveva il compito di schiacciare la ribellione e reintrodurre la schiavitù sull’isola, ma fu sconfitto]. In conferenza stampa il 14 novembre Jean-Charles Moïse de Pitit Desalin ha annunciato la sua intenzione di esporre nuovamente una bandiera nera e rossa, al posto di quella ufficiale blu e rossa, riconosciuta nella Costituzione del 29 marzo 1987 [la bandiera rossa e nera, creata nel 1765, era il simbolo degli indipendentisti].
All’avvicinarsi della grande mobilitazione, annunciata per il 215° anniversario della battaglia di Vertières (che portò alla proclamazione dell’indipendenza, l’1er gennaio 1804) delle «false» informazioni, sui social, tendevano ad avvelenare l’opinione pubblica, hanno denunciato parecchie personalità.
Varie organizzazioni politiche, sindacali e popolari avevano invitato le cittadine e i cittadini a manifestare in massa, per chiedere dei rendiconti sulla gestione dei fondi dell’aiuto venezuelano PetroCaribe, in occasione di questo anniversario. La mobilitazione mirava anche a chiedere le dimissioni dI Jovenel Moïse da presidente di Haiti.
La sera del 17 novembre si sono sentiti degli spari in più quartieri a Port-au-Prince. E’ in questo contesto che vari settori della società esprimono la loro esasperazione per le pessime condiziono di vita della popolazione haitiana – tra cui il costo elevato della vita con un’inflazione oltre il 15% – che peggiorano a causa della gestione inefficace della cosa pubblica da parte del potere in carica. La svalutazione della gourde, la moneta nazionale sta accelerando. Per giunta, il clima d’insicurezza s’intensifica in diversi quartieri popolari, dove bande armate si affrontano continuamente in questi ultimi tempi. Finora le autorità sono impotenti a ristabilire l’ordine in queste zone.
Un bilancio, fornito dall’organismo dei diritti umani Fondation Je Klere (Fjkl) parla di 15-25 morti e 6 donne violentate in seguito alle violenze tra bande armate, registrati nella notte del 13 novembre nel quartiere periferico de La Saline (a ovest di Port-au-Prince). Sempre a La Saline 15 case sono state saccheggiate e migliaia di cittadini/e sono stati costretti ad andarsene, secondo la Fjkl. Sono conflitti «vecchi di molti anni» per il controllo del gran mercato pubblico della Croix des Bossales – il più grande della zona metropolitana della capitale, dove si riforniscono regolarmente molte/i piccole/i commercianti e varie imprese – sarebbero acuiti dalla questione politica, sfruttata dai sostenitori e dagli avversari del potere in carica.
La giornata di mobilitazione del 18 novembre si è conclusa con 6 morti, 5 feriti e 23 arresti secondo la polizia, 11 morti, 47 feriti e 75 arresti secondo la coalizione Secteur démocratique et populaire.
Spalle al muro, il potere opta per il «dialogo»
Gotson Pierre – P-au-P., 20 novembre 2018 [AlterPresse]
Dopo le grandi manifestazioni del 18 novembre e del 17 ottobre che hanno attraversato il paese, i rappresentanti dei 3 poteri dello stato si sono ritrovati il 19 novembre nel palazzo nazionale per riflettere sulla crisi politica, economica e sociale che il paese sta affrontando.
Al termine dell’incontro, hanno deciso, secondo un comunicato, di continuare il dialogo con tutti i settori della vita nazionale, e risolvere i problemi legati all’insicurezza e intensificare le misure di per placare le tensioni sociali. Si tratta di un programma per un’amministrazione che si trova spalle al muro, tra le rivendicazioni persistenti che esigono sia fatta luce sulla perdita di 3,8 miliardi di dollari dei fondi Petro-Caribe e le ripetute richieste di dimissioni del presidente Jovenel Moïse.
E’ in nome di queste richieste che le attività sono globalmente paralizzate all’indomani della mobilitazione del 18 novembre, barricate di pneumatici, pietre e oggetti vari ingombrano ancora alcune arterie dell’area metropolitana di Port-au-Prince, dove le attività stentano a riprendere il loro corso abituale.
Viste le ultime manifestazioni, alcuni movimenti di opposizione, che sembrano aver preso forza, intendono bloccare il paese per 3 giorni per ottenere la partenza del capo dello stato. La sfida è vedere se lo stato va a rinsaldarsi o no attorno al presidente. Tuttavia quel che è certo è che i margini di manovra do Jovenel Moïse, sempre più impopolare, si restringono.
Nel frattempo la sfiducia si estende e la situazione economica già disastrosa non potrà che aggravarsi dopo queste giornate di paralisi. La moneta nazionale è letteralmente crollata e il dollaro si vende a circa 76 Gourde.
Il sangue versato durante queste giornate di mobilitazione tende a scavare ulteriormente il fossato tra la popolazione e il potere in carica. A questo proposito, la “New england human right organization” (Nehro) preme sulle autorità poliziesche e giudiziarie affinché aprano un’inchiesta per determinare gli autori degli omicidi e degli atti di violenza compiuti contro i cittadini. La Nehro esige la liberazione senza condizioni delle persone arrestate e detenute arbitrariamente. Questa organizzazione deplora anche le violenze commesse negli ultimi giorni in molti quartieri popolari. Insiste sulla situazione di violenza nel quartiere de La Saline (settore nord) per gli attacchi di banditi armati. Molti quartieri della capitale subiscono le violenze di bande armate rivali. Per esempio, a Martissant (settore sud), le famiglie sono quasi prese in ostaggio, individui armati fanno regnare il terrore, uccidono e saccheggiano impunemente.