L’omicidio di Rosane Santiago Silveira è frutto della campagna d’odio condotta giorno dopo giorno dal nuovo presidente brasiliano.
Cosa c’è al momento di più fastidioso per il neopresidente brasiliano – misogino, omofobo, razzista, militarista e fascista, ma anche cattolico e forse, per convenienza politica, pure evangelico – Jair Bolsonaro?
Presumibilmente – insieme a sindacalisti, comunisti, antifascisti e anticapitalisti vari – i difensori dei Diritti umani e dell’Ambiente. Militante per entrambe le cause, Rosane Santiago Silveira era quindi candidata, quasi automaticamente, a diventare l’ennesima vittima delle squadre della morte parastatali al servizio delle compagnie estrattive e dei grandi proprietari di allevamenti e di terreni utilizzati per le monoculture (previa deforestazione, ovviamente).
Dopo aver subito la tortura, Rosane Silveira è stata assassinata nella sua abitazione a Nova Vicosa (città di Bahia). Il suo cadavere è stato ritrovato, mani e piedi legati, il 29 gennaio 2019. Strozzata, con segni inequivocabili di percosse e ferite da coltello.
Da anni si batteva coraggiosamente per la salvaguardia delle foreste, in particolare per arginare le piantagioni di eucalipto che minacciavano la riserva ambientale d’Ilha de Barra Velha, un’area protetta dove i residenti vivono utilizzando quanto offre la foresta, ma comunque in maniera eco-compatibile e salvaguardandone l’integrità e la biodiversità.
Del resto, perché stupirsene? Questo è il clima che si respira in Brasile dopo l’elezione di Bolsonaro. Il nuovo presidente – già in campagna elettorale – non aveva mai fatto mistero di quale fosse la sua visione del mondo. Tra i diritti di indios, foreste, biodiversità…e le richieste di allevatori e proprietari terrieri, le sue simpatie andavano sicuramente a questi ultimi.
Fin dal primo giorno dell’insediamento del nuovo governo – il 1 gennaio – Bolsonaro aveva trasferito il compito di identificare e delimitare le terre indigene dall’organizzazione governativa FUNAI (Fundação Nacional do Índio) al Ministero dell’Agricoltura. E dato che non c’è limite al peggio, aveva anche inglobato nel Ministero dell’Agricoltura quello per l’Ambiente. Alla guida dell’onnicomprensivo dicastero, Teresa Cristina Dias, già conosciuta come coordinatrice del Fronte Parlamentare Agricoltura (FPA), una formazione sorta per tutelare gli interessi dei grandi proprietari terrieri.
E con questo il cerchio si richiudeva. Inesorabilmente.