Convegno “Ettore Masina (1928 – 2017) un cattolico errante ”
Dipartimento Studi Umanistici dell’Università Roma Tre, 25 gennaio 2019
Per capire la nascita e lo sviluppo della Rete Radié Resh bisogna pensare al tempo in cui avvenne l’incontro tra Ettore Masina, giornalista del quotidiano “Il Giorno”, e padre Paul Gauthier, prete operaio a Nazareth e perito dell’episcopato francese al Concilio Ecumenico Vaticano II.
Era il tempo del Concilio, di papa Giovanni XXIII, dell’apertura del dialogo tra Chiesa e mondo; era il tempo della Pacem in terris, la prima enciclica rivolta a tutti gli uomini di buona volontà, che invitava a saper leggere i “segni dei tempi” e dichiarava “irrazionale” la guerra; era il tempo della decolonizzazione e dell’indipendenza dei popoli africani; era il tempo di una domanda sempre più forte di giustizia da parte di chi era ai margini della storia.
L’incontro tra Masina e Gauthier avvenne nel dicembre 1963 (prima a Roma e poi a Nazareth, dove Gauthier viveva). Si trovarono uno di fronte all’altro, capaci di scrutarsi nell’intimo, di condividere le proprie inquietudini, di immaginare un cammino comune per rispondere alla domanda di giustizia dei poveri.
Ettore e sua moglie Clotilde decisero di accogliere l’invito di Gauthier a costituire un gruppo di amici che si autotassassero ogni mese per dare concretezza alla “condivisione con i fratelli bisognosi e lontani”. Gli aiuti inviati a Nazareth sarebbero serviti a fornire prestiti per la costruzione di case per i lavoratori.
Quanto sorse in Italia ad opera di Ettore e Clotilde Masina fu denominato “Rete”, che traduceva il termine francese “reseau”, utilizzato per indicare i gruppi di sostegno ai partigiani in lotta contro il nazismo.
La Rete fu intitolata a Radié Resh (translitterazione dall’arabo al francese), una bambina palestinese morta di polmonite in una grotta, mentre la sua famiglia era in attesa di abitare una casa.
Il primo convegno nazionale della Rete Radié Resch fu a Roma nel 1965. La relazione di Masina in apertura del convegno definì le caratteristiche della Rete: presenza di credenti e non credenti; adesione in base a una presa di coscienza dell’ingiustizia sociale e alla volontà di avviare un cambiamento partendo dalle proprie scelte di vita; condivisione del proprio denaro con i poveri non saltuaria ma costante. Poi, l’intervento di Gauthier al convegno illuminò una questione decisiva:
“Ciò che è importante è che mentre noi là viviamo tra gli operai, voi qui agiate sulle strutture sociali per impedire che si fabbrichino ancora dei poveri. (…) Voi non potete dare parte della vostra intelligenza, della vostra preghiera, del vostro denaro per aiutare i poveri se nello stesso tempo non lottate con tutte le vostre forze per sopprimere le strutture che fabbricano i poveri”.
E questa doppia categoria del “là” e del “qui” coniata da Gauthier, il considerare sia i Paesi ricchi che i Paesi sottosviluppati come realtà interconnesse, entrambe bisognose di cambiamento, è stata un’acquisizione che ha orientato tutta la vita della Rete.
Masina, sul finire dell’estate 1968, non soltanto ribadiva che “un primo elementare impegno [era] quello di dividere i propri beni (non soltanto economici, ma anche culturali o di tempo) con i poveri”, ma anche che tra i poveri andavano privilegiati “quelli che non hanno alle spalle nessuna organizzazione sociale e, ancora, fra essi, quelli che prendono coscienza di un sistema che li opprime e tentano di opporvisi”; e ciò implicava, da parte di noi occidentali che godevamo i frutti di quello sfruttamento, “una serie di coerenti rifiuti, di contestazioni del sistema, espresse nel colloquio con gli altri uomini e in atti concreti”.
Una tale consapevolezza si rivelava selettiva – faceva perdere aderenti alla Rete – ma era irrinunciabile. Accusata di avere una impostazione “troppo” politica, e quindi guardata con sospetto, essa era la sola che, in un mondo diviso tra Est e Ovest in base a ideologie contrapposte, riusciva a far cogliere che la divisione più radicale era quella tra ricchi e poveri, tra oppressori e oppressi.
La Rete nel frattempo, al seguito dei compagnons di Gauthier, era approdata in America Latina, dove aveva iniziato operazioni di solidarietà con gruppi di operai e di contadini in Brasile e con chi sosteneva i prigionieri politici nei Paesi oppressi da dittature militari. In Medio Oriente e in America Latina il filo diretto era con gli oppressi che non desistevano nella lotta per la propria liberazione: i loro messaggi, ripresi e commentati nelle circolari di Masina, costituivano una inedita controinformazione, che ha inciso nella educazione politica degli aderenti e li ha mobilitati nelle campagne condotte in Italia in appoggio alla resistenza latinoamericana.
Dopo 15 anni di vita della Rete, Masina riuscì a far partire un processo di condivisione delle decisioni interne all’associazione, attraverso un Coordinamento nazionale, cui partecipavano i rappresentanti delle reti locali.
Per conservare la sua originalità, Masina ha sempre contrastato l’ipotesi che la Rete si trasformasse in “organizzazione non governativa”: avrebbe significato cancellare la sua identità. Dare continuità alla Rete non doveva comportare dotarla di una sede, di personale e di strutture, di un fundraiser, bensì accrescere la capacità di coinvolgimento da persona a persona, di condivisione di responsabilità.
Nel 1994 Masina annunciò il suo ritiro, perché la sua presenza non avrebbe consentito “la libera crescita, espansione e manifestazione dei carismi altrui”. Il Coordinamento nazionale venne così assumendo un ruolo più forte di elaborazione e di indirizzo e al suo interno si costituì una segreteria operativa di tre persone.
La scelta di Masina, fortemente sostenuta da Clotilde, fu una scelta di coraggio e lungimiranza, che è stata compresa nella Rete soltanto anni dopo. Linda Bimbi, anima della “Fondazione Basso” e amica della Rete, scrisse: “Quando gli ispiratori scompaiono o si allontanano, è l’ora della fraternità contro la tentazione di istituzionalizzarsi. (…) La vostra grande fortuna durante questi decenni è stata di aver mantenuto sguardo e mani fuori dall’Europa, tra i popoli oppressi, ma pieni di speranza. Avete attinto linfa vitale nei campi palestinesi, nelle prigioni brasiliane, nell’utopia sandinista. L’avete attinta anche, misticamente, dall’amicizia con i sofferenti di casa vostra. Questo convivere con l’alterità vi ha salvato dall’essere assimilati alla cultura dei vincitori, e vi ha fatto maturare nella coscienza e nella speranza”.
La conduzione collegiale ha favorito la responsabilizzazione delle reti locali e l’applicazione di un metodo partecipativo diretto: ancora oggi, le decisioni sono prese dal Coordinamento con il metodo del consenso.
E la Rete ha conservato la sua specificità:
-è tuttora un gruppo senza strutture burocratiche, senza una sede, senza personale, con una organizzazione leggera su base volontaria;
-sceglie di praticare la solidarietà, attraverso un’autotassazione intesa come “restituzione” ai poveri, in sostegno a comunità o gruppi del Sud del mondo che lottano per un cambiamento dal basso delle comunità cui appartengono;
-sceglie di legarsi a gruppi di base, a gruppi di poveri di cui nessuno si occupa, accogliendo i loro “progetti” e cercando di costruire (tra loro e la rete locale referente) un rapporto di reciproca conoscenza;
-ritiene prioritaria una presa di coscienza personale dei meccanismi di ingiustizia che dominano i rapporti tra Nord e Sud del mondo e incoraggia a praticare stili di vita alternativi alla logica del profitto, della competitività, del consumismo;
-si propone all’esterno con iniziative (dibattiti, incontri con testimoni…) di controinformazione, ma la sua diffusione è soprattutto affidata al rapporto personale, da persona a persona.
In uno scritto inedito del 1993, Masina affermò:
“Io vedo nella Rete RR un seme di politica e di cultura che deve svilupparsi come appello e prassi di una nuova resistenza. Circondati dalla dittatura della politica-spazzatura o, ben che vada, della politica-spettacolo, della politica-rabbia; aggrediti ogni ora dagli agenti della sfiducia e dell’egoismo, anche noi – in maniera ben diversa ma non del tutto dissimile da quella dei compagni brasiliani, cileni e uruguaiani di cui negli anni ’70 corremmo in sostegno – dobbiamo scoprire in noi stessi (e più nel nostro stare insieme) la bellezza di una lotta che si ribella agli istinti di morte che ci vengono suggeriti ed amplificati”.
In questo pensiero di Masina leggiamo in filigrana la storia della Rete, le tensioni e la realtà greve del nostro oggi, ma anche la traccia del cammino futuro di questa “anomalia resistente”.
Ercole Ongaro