APPELLO PER AMAZZONIA (25 AGOSTO 2019) E SINODO SPECIALE (6-27 OTTOBRE 2019)
27 agosto 2019
L’Amazzonia interessa tutti perché il 25 per cento dell’aria che respiriamo arriva da quella foresta, il 20 per cento dell’acqua dolce da quei fiumi, il 10 per cento della biodiversità. Ma i predoni le rubano petrolio, gas, oro, legname; la bruciano; annientano i popoli indigeni. Al mondo, sconvolto dagli incendi dolosi che inceneriscono oltre 2.250 chilometri quadrati del «polmone verde» della Terra, si unisce Papa Francesco. Domenica 25 agosto 2019 chiede l’impegno per fermare le fiamme visibili dallo spazio e una nube di fumo nero oscura il cielo di San Paolo: «Siamo tutti preoccupati per i vasti incendi in Amazzonia. Preghiamo perché, con l’impegno di tutti, siano domati al più presto. Quel polmone di foreste è vitale per il nostro Pianeta».
Con enorme e colpevole ritardo, il presidente brasiliano Jair Messias Bolsonaro dispiega oltre 44 mila soldati con mezzi aerei, navali e terrestri. Il dramma dell’ecosistema mondiale sollecita le reazione di molti capi di Stato e di governo, coinvolge il G7 di Biarittz in Francia, accende la mobilitazione mondiale: la gente scende in piazza per la salvezza dell’Amazzonia e contro Bolsonaro che non trova di meglio che accusare gli Stati limitrofi di «indifferenza» e di sostenere che gli incendi sono nella media degli ultimi anni. Dice il falso: secondo l’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile, da gennaio a oggi ci sono 72 mila roghi con un aumento dell’84 per cento rispetto al 2018.
La causa principale è la deforestazione: si usa il fuoco per ricavare velocemente campi coltivabili. Per la Conferenza episcopale brasiliana «è urgente che i governi dei Paesi amazzonici, specialmente il Brasile, adottino provvedimenti seri per salvare una regione determinante per l’equilibrio ecologico del Pianeta». Alzano la voce i vescovi del Messico e del Paraguay dove bruciano 40 mila ettari di boschi e pascoli nel Chaco. I roghi colpiscono flora e fauna, ma anche popolazioni e tribù indigene, costrette ad abbandonare le foreste. In Brasile 1.119 indigeni dell’Amazzonia sono stati uccisi in 15 anni (2003-2017) perché contestano predoni e latifondisti e difendevano i loro territori e la loro vita.
Bergoglio è una spanna avanti nella capacità di ascolto e di difesa degli indigeni, vittime di «un cammino di croce e martirio». Nell’enciclica «Laudato si’, sulla cura della casa comune» (18 giugno 2015) cerca una risposta culturale organica al grido degli indigeni che lottano «contro coloro che vogliono distruggere la vita della natura e non rispettano i diritti umani. L’abbattimento massivo di alberi, la distruzione della foresta per mezzo di incendi boschivi intenzionali, l’espansione della frontiera agricola e delle monoculture sono la causa degli attuali squilibri climatici, con evidenti effetti sul clima globale, di dimensioni planetarie quali le grandi siccità e inondazioni». Cita i bacini dell’Amazzonia e del Congo. Il primo Papa latino-americano mette in moto un disegno di protezione del benessere delle popolazioni e della foresta. Non sono chiacchiere improvvisate per una campagna di consensi senza cambiare le cose. È un vero e proprio manifesto. Vuole anzitutto guidare e incoraggiare la Chiesa a cambiare mentalità e a passare da una visione occidentale a una transculturale. Non una Chiesa che si serve dell’Amazzonia, ma al servizio e in ascolto delle popolazioni.
Il Pontefice coinvolge l’intera Chiesa attraverso il Sinodo speciale «Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale» (Roma, 6-27 ottobre 2019). Il Sinodo ha messo in allarme il governo di Bolsonaro, chiaramente non amico ma avversario di una visione ecologica dell’Amazzonia e favorevole alle grandi compagnie estrattive e ai gruppi interessati a distruggere la foresta per far spazio a industrie e insediamenti, frutto di speculazioni finanziarie e terriere. C’è chi sospetta il presidente di aver tramato contro Luiz Inácio Lula da Silva, 35° presidente, dal 7 aprile 2018 detenuto che sconta 12 anni e un mese per corruzione e riciclaggio: un complotto di giudici e uno, di Sérgio Fernando Moro, ricompensato con il ministero della Giustizia.
All’evento sinodale sono interessate cento tra diocesi, vicariati e prelature apostoliche dell’Amazzonia che copre quasi 8 milioni di chilometri quadrati in 9 Paesi: Brasile, Perù, Bolivia, Colombia, Ecuador, Venezuela, Suriname, Guyana, Guyana francese. Ci vivono 34 milioni di persone, di cui 3 milioni di aborigeni di 390 popoli autoctoni e 137 popoli indigeni in isolamento volontario, popoli liberi che vivono ai margini della società, in profondo contatto con la natura. Così riescono a sopravvivere all’introduzione forzosa – sono parole di Bergoglio – del «modello di sviluppo economico predatore, genocida ed ecocida» che porta all’estinzione la popolazione indigena.
Il documento base del Sinodo è durissimo su una realtà «che chiama in causa tutti perché tutti hanno qualche responsabilità storica di tanta desolazione. La violenza, il caos e la corruzione dilagano. Il territorio è diventato uno spazio di scontri e di sterminio di popoli, culture e generazioni. C’è chi è costretto a lasciare la propria terra; molte volte cade nelle reti delle mafie, del narcotraffico e della tratta di esseri umani (soprattutto donne), del lavoro e della prostituzione minorile. Una realtà tragica e complessa che si colloca al di fuori della legge e del diritto». Il grido dell’Amazzonia è come il grido del popolo ebreo schiavo in Egitto. Dagli ambienti clericali e dai giornali di destra sono partite le solite accuse di «eresia» a Francesco «che vuol far sposare i preti» perché il documento ipotizza il sacerdozio per i «viri probati» per le comunità isolate. Da sempre la Chiesa in Oriente ha preti sposati e il Concilio afferma che «non sono né meno preti, né meno buoni preti dei celibi». Da quasi un secolo la Chiesa studia l’ipotesi dei «viri probati».