Termino la felice lettura di “Il buio oltre la siepe”, romanzo della scrittrice americana Harper Lee, pubblicato nel 1960. Il titolo originale “To kill a Mockingbird”, uccidere un uccello motteggiatore o uccello mimo, significa anche uccidere un’innocenza, una ingenuità. Se ne ricavò un magnifico film che vidi da ragazzo e mi resta ancora impresso a sprazzi.
In un passaggio il protagonista Atticus Finch parla a sua figlia bambina che gli ha chiesto: ”Tutta la gente pensa di avere ragione e che tu abbia torto”.
Si riferisce alla difesa di un uomo di colore, da lui assunta in una cittadina dell’Alabama, dove il razzismo era la normalità. L’uomo è innocente, ma verrà ugualmente condannato. Finch, un uomo bianco, assume l’incarico e questo disturba la maggioranza bianca della cittadina. La bambina chiede conto al padre di questa sproporzione: tutti gli altri credono di avere ragione e lui da solo si oppone a loro.
Atticus Finch risponde: ”Hanno diritto di pensarlo e hanno il diritto di far rispettare la loro opinione. Ma prima di vivere con gli altri bisogna che io viva con me stesso: la coscienza è la sola cosa che non deve conformarsi al volere della maggioranza”.
Non ho dovuto misurarmi con la domanda di una figlia, un figlio, non so se avrei trovato la formula giusta dell’avvocato Finch. La riporto qui perché mette le cose in chiaro con la questione della propria coscienza. Prima che con gli altri, si ha da vivere con se stessi: il giudice delle proprie azioni siede in permanenza all’interno della persona. Spesso le sue sentenze vanno contropelo alla maggioranza. Dal canto mio me ne accorgo e non posso farci niente. Sono io che vado a dormire con me stesso e faccio i conti della mia giornata. Le disapprovazioni, gli insulti non mi fanno niente. Tra il rischio dell’indifferenza e quello d’intervenire a costo di sbagliarmi e sbaragliarmi, preferisco il secondo.
Anche questo può fare una buona lettura: mettere a punto i rapporti tra se stesso e gli altri.