In questi giorni di pioggia faccio caso alle gocce che restano appese all’estremità degli aghi di pino. Più di quelle sui vetri, mi meraviglio di come facciano presa, le gocce.
Gli ultimi saranno primi: l’espressione ricorre nei Vangeli di Matteo, Marco, Luca. Il termine greco dei loro testi è: ”èscatoi”, che non precisamente gli ultimi, ma i lontani. “Èskatia” è confine, bordo, estremità. Quelli che provengono da quella remota distanza, che hanno più a lungo viaggiato, avranno precedenza.
Nel nostro linguaggio il termine “ultimi” indica i più miseri, ma comporta anche il senso di una graduatoria, del risultato di una competizione. L’immagine allude a una società di concorrenti nella quale si deve primeggiare, prevalendo sugli altri. Si imita una terminologia americana che indica nel “loser”, usato in modo dispregiativo, il perdente, rispetto a chi a sua volta si attribuisce il titolo di vincente. Questa impropria classifica sociale si basa sul reddito, argomento che dovrebbe interessare solamente il fisco.
L’uso di questa terminologia è una deriva, infetta le relazioni sul posto di lavoro, in famiglia, nella società. Si vince e si perde al gioco, non nella vita di una comunità. Vivere non una partita. Chi la vede così, guasta i propri nervi fino all’esaurimento.
Insistere sugli ultimi ha poi l’effetto secondario di irritare i penultimi, i terzultimi, e così via, risalendo una graduatoria immaginaria, aizzando sentimenti di esclusione.
Preferisco perciò tradurre gli “èscatoi” con i lontani, quelli che sono in cammino da più tempo e da maggiore distanza. Quelli avranno precedenza, come le gocce di un giorno di pioggia, venute dal denso delle nuvole, che invece di scivolare via, si aggrappano e resistono anche al vento.
Con i lontani migliora anche l’immagine della vita stessa, che procede al suo passo, senza dover correre con un numero di pettorale.
Quel famigerato traguardo è meglio raggiungerlo il più tardi possibile.