La costruzione di un insediamento israeliano a Beitar Illit, in Cisgiordania, il 7 aprile 2019 (Ronen Zvulun, Reuters/Contrasto)
Dov Waxman, professore di studi israeliani e autore di un nuovo manuale sul conflitto palestinese, traccia la storia degli insediamenti e spiega perché sono così controversi.
Il 18 novembre il segretario di stato statunitense Mike Pompeo ha dichiarato che gli insediamenti israeliani in Cisgiordania non violano il diritto internazionale. Le parole di Pompeo sono state accolte con entusiasmo dagli israeliani, che si considerano i legittimi proprietari dei territori, alimentando al contempo la rabbia dei palestinesi che li abitano e ne rivendicano il possesso. Dov Waxman, professore di studi israeliani e autore di un nuovo manuale sul conflitto palestinese, traccia la storia degli insediamenti e spiega perché sono così controversi.
Perché il possesso dei territori in Cisgiordania è così contestato?
Nel maggio 1967 in Cisgiordania, una regione collinare poco più grande della Liguria, non ci viveva un singolo israeliano. All’epoca la Cisgiordania era abitata da circa un milione di palestinesi, sottoposti da due secoli al controllo (sgradito) della Giordania.
Israele ha conquistato la Cisgiordania durante la guerra dei sei giorni del giugno 1967. Da quel momento i civili israeliani hanno cominciato a trasferirsi nella regione, inizialmente in aree (per esempio Kfar Etzion) popolate da comunità ebraiche prima della fondazione dello stato ebraico nel 1948.
Nel 1968 un rabbino di nome Moshe Levinger, insieme a un piccolo gruppo di seguaci che sostenevano una versione messianica del sionismo religioso, si trasferì nell’antica città di Hebron, nel cuore della Cisgiordania. Hebron è una città sacra per gli ebrei, ritenuta luogo di sepoltura dei patriarchi e delle matriarche come Abramo, Isacco, Giacobbe, Sara, Rebecca e Lea.
Nel corso degli anni la popolazione ebraica in Cisgiordania è cresciuta in maniera esponenziale. Oggi circa 430mila ebrei vivono in 132 insediamenti riconosciuti ufficialmente (qui una mappa aggiornata realizzata dalla Bbc) e in 121 avamposti non ufficiali che hanno richiesto l’approvazione del governo di Israele, senza averla ancora ottenuta. I coloni, che rappresentano circa il 15 per cento della popolazione totale della Cisgiordania, vivono in comunità separate dai circa tre milioni di palestinesi che risiedono nella zona.
Perché i palestinesi si oppongono agli insediamenti israeliani?
Anche se ebrei e palestinesi sono vicini e spesso colleghi di lavoro, è raro che i rapporti siano amichevoli. I palestinesi della Cisgiordania, in maggioranza musulmani, si considerano gli abitanti indigeni della zona, anche perché i loro antenati hanno vissuto e coltivato la Cisgiordania per secoli.
I palestinesi ritengono che gli insediamenti in Cisgiordania siano costruiti su terreni rubati e che l’uso dell’acqua (una risorsa preziosa) da parte dei coloni sia altrettanto illegale.
Spesso i palestinesi subiscono le persecuzioni dei coloni più estremisti, senza che i soldati israeliani intervengano per evitare i crimini. I resoconti di aggressioni violente contro i palestinesi compiute da coloni armati, che spesso bruciano i campi e sradicano gli ulivi, si contano a centinaia.
Inoltre lo stato ebraico si è impossessato di alcune aree della Cisgiordania per costruire una rete stradale che collega gli insediamenti tra loro e con Israele. Queste strade sono generalmente vietate agli autisti palestinesi e di conseguenza ne limitano la libertà di movimento, rendendo gli spostamenti all’interno della Cisgiordania più difficili e lenti.
I checkpoint dell’esercito che costellano la Cisgiordania, concepiti per proteggere gli israeliani dagli attentati, limitano e complicano la mobilità dei palestinesi.
Perché gli israeliani vogliono vivere in Cisgiordania?
I motivi per cui gli israeliani vogliono vivere in Cisgiordania sono vari.
Lo stereotipo del colono ebreo come fanatico religioso, deciso a riconquistare l’antica patria che secondo l’ebraismo sarebbe stata affidata da Dio al popolo eletto, non è accurato. Secondo le stime appena un quarto dei coloni vive in Cisgiordania per motivi religiosi.
Gli estremisti religiosi rappresentano una minoranza molto rumorosa e visibile, e generalmente vivono in piccoli insediamenti nell’entroterra della Cisgiordania. Questi coloni considerano la loro presenza come uno strumento per garantire un controllo permanente degli ebrei sul territorio, che indicano con i nomi biblici di “Giudea” e “Samaria”. Vivendo in Cisgiordania, ritengono di rispettare il volere di Dio e favorire l’attesa venuta del Messia.
Tuttavia la maggior parte dei coloni ebrei della Cisgiordania vive in quei territori per ragioni economiche. Gli incentivi e gli investimenti del governo israeliano per spingere gli ebrei a trasferirsi in Cisgiordania rendono il costo della vita nettamente inferiore rispetto a quello che si registra all’interno di Israele.
Molti ebrei della Cisgiordania sono laici, soprattutto quelli che si sono trasferiti dai paesi dell’ex Unione Sovietica all’inizio degli anni novanta.
Altri, come gli ebrei ultraortodossi (in aumento), sono effettivamente convinti che Dio abbia regalato la Cisgiordania a Israele, ma si sono trasferiti soprattutto perché attratti dagli alloggi economici e dalla migliore qualità della vita.
Gli insediamenti israeliani sono legali o illegali?
La maggior parte degli esperti e le Nazioni Unite ritengono che gli insediamenti israeliani in Cisgiordania siano una violazione del diritto internazionale.
La convenzione di Ginevra del 1949, firmata da Israele, proibisce a uno stato occupante di trasferire civili nei territori occupati. Secondo la Corte internazioanle di giustizia, principale istituzione giuridica delle Nazioni Unite, la Cisgiordania è da considerare un territorio occupato, in quanto non faceva parte di Israele prima che l’esercito la conquistasse nel 1967. Anche le acquisizioni territoriali sono proibite dal diritto internazionale.
Il governo israeliano sostiene che la convenzione di Ginevra non si applichi alla Cisgiordania, perché fa riferimento unicamente alla possibilità che uno stato occupi il territorio di un altro stato. Israele considera la Cisgiordania un “territorio conteso”, non occupato.
Inoltre, secondo il governo israeliano, se anche la convenzione di Ginevra fosse applicata, vieterebbe solo i trasferimenti coatti di civili, come le deportazioni operate dalla Germania nazista, e non il movimento volontario delle persone verso i territori occupati.
La nuova posizione dell’amministrazione Trump secondo cui gli insediamenti israeliani non sono illegali rafforza le tesi di Israele sulla Cisgiordania. Ma è molto difficile che possa legittimare gli insediamenti israeliani agli occhi della comunità internazionale.
(Traduzione di Andrea Sparacino per https://www.internazionale.it/)
(*) Questo articolo è uscito su The Conversation.