Carissima, carissimo,
possiamo passare tutta la vita seduti nelle certezze: anche questa è una scelta, se i fatti non vengono a sconvolgerla di forza. L’altro, lo straniero, è quello che, accostandosi a noi, viene a risvegliarci, a raccontarci il mondo da un altro punto di vista. Che inevitabilmente mette in questione il nostro modo di vedere: “E qui comando io, e questa è casa mia…”
Le cifre delle migrazioni nel mondo potrebbero aiutarci ad essere più veri nei nostri pensieri: ovunque le migrazioni sono in atto, solo il 20% dei rifugiati va oltre i Paesi vicini, tanti Paesi senza batter ciglio accolgono, pur poveri, milioni di rifugiati; altri conoscono episodi di rifiuto anche più gravi dei nostri. Insomma. la migrazione è una delle caratteristiche del nostro mondo.
I colonizzatori pensavano di detenere la chiave dei Paesi del sud del mondo e di tener ben nascosta quella di casa propria. E invece, quella chiave s’è trovata e, con la tenacia di chi non vuol capire che non vogliamo che entrino, queste popolazioni in fuga la girano nella toppa di casa nostra.
Fatichiamo ancora molto a pensarci abitanti di una casa comune, partecipi di un’eredità da condividere, né ci vogliamo inquietare chiedendoci perché noi e non gli altri dovremmo avere diritto al consumo illimitato e a tutti i beni possibili. Anche se vengono dallo sfruttamento di altre terre, da salari di fame, da un commercio invasivo, da foreste bruciate, da guerre alimentate, da regimi corrotti sostenuti a distanza.
Penetrare nei meandri del sistema di sfruttamento mondiale gela il cuore e lascia attoniti. E allora bisogna scegliere da che parte stare. Perlomeno di non fare la guerra alle vittime. A chi si precipita in casa mia perché la sua casa brucia non posso far lezione di buona educazione: “Non si fa così”. Devo trovare gli incendiari, e magari scopro che un cerino l’ho gettato anche io.
Una strada umile e semplice è quella di ascoltare. Dare la parola nei nostri quartieri, nei nostri paesi, nelle nostre parrocchie, nei centri sociali, nei centri ricreativi e culturali, a queste persone che a volte vivono fra noi come in un mondo a sé. Liberare i loro racconti le loro vite, le loro sofferenze, i loro sogni, liberare davanti a loro anche le nostre domande e inquietudini.
E un altro passo é quello di restituire. Di tutto quanto abbiamo, nulla ci appartiene in assoluto, neppure noi stessi: perché la Famiglia umana viva felice in questo mondo così bello.
È Natale. Voglio aprire tutte le porte del mio essere e lasciar libero il bambino che c’é in me. Desidero un Natale ricco di sorprese: un Dio è venuto al mondo dalla porta di servizio. Eccolo, senza un tetto, a occupare terre lontane nel ventre della storia. Ecco il Bambino coraggiosamente generato nella paura infanticida di Erode. Dio fatta Bambino emerge nella conflittualità umana. Questo Natale non ascoltiamo il suadente richiamo del consumismo. Al posto dei regali, facciamoci regalo. Alla Messa preghiamo affinché le paure che ci attanagliano si trasformino in fede, il contrario del coraggio. Chiediamo meno maldicenza e più benevolenza. Innalziamo tutte le intenzioni che ci chiamano alla coerenza, e chiediamo perdono, coscienti che nostre trasgressioni pesano meno delle nostre omissioni.
Come regalo di Natale gli donerei una colomba, un ramo d’olivo nel becco, affinché la sua misericordia ci liberi dal diluvio della nostra ingratitudine.
All’alba prendiamo in braccio il globo terrestre per accarezzarne ogni volto. Asciugando le lacrime dalle guerre, dagli attentati, dalla fame, dalle migrazioni e dalle discriminazioni.
Questo Natale non cerchiamo una cena ricca di abbondanza sorda alle grida di abbandono. Dividiamo quello che abbiamo.
Oggi ci sono molte persone, all’interno del clero e della Curia, che non comprendono e non accettano le parole del Papa. Pochi giorni fa un suo rappresentante ha affermato davanti alla stampa che anche “la misericordia di Dio ha dei limiti”, senza peraltro dire quali fossero questi limiti che, probabilmente, sono solo i suoi e non quelli di Dio. Tra vari funzionari della Curia si dice che il Papa sta soffrendo di “misericordite”, ossia una mania di insistere unicamente sulla misericordia. Ciò che si può rispondere è che Gesù soffriva della stessa malattia, desideroso che i suoi discepoli si lasciassero contagiare per espanderla nel mondo.
La misericordia è l’attitudine di chi ha compassione per la miseria altrui. Per la fede cristiana, misericordia significa l’amore solidale che coinvolge ogni persona nei confronti del prossimo, della Terra e della natura ferita dalla disumanità del sistema che domina il mondo.
Oggi dobbiamo mettere al servizio della giustizia tutte le nostre capacità umane, intellettuali, religiose e relazionali. Il Papa ha ragione quando insiste dicendo che non si tratta solamente di assumere attitudini e gesti di misericordia come principio e bussola orientatrice di tutta la nostra vita, un modo di essere permanente. Monsignor O. Romero, affermava: oggi non si tratta più solo di qualche persona ferita sul proprio cammino. Sono interi popoli di essere crocifissi, e noi li dobbiamo togliere dalla croce.
Per questo ciò che non è condiviso ci deve lasciare inquieti. Ci sono solitudini che potrebbero essere guarite da nuove presenze.
Incamminati così, ci troveremo a pochi metri dal povero spazio di Betlemme. Se ancora non lo sapremo riconoscere, si preoccuperà Lui di dircelo un giorno: “Non c’era posto per me e tu mi hai accolto…”
Questo spazio l’ho visto con chiarezza qualche settimana fa in Brasile, dove tutti gli interventi nella Baixada Fluminense dove si sviluppa il progetto Agua Doce che sosteniamo, sono ispirati ai criteri di assistere sempre gli ultimi degli ultimi, riservando a loro il ruolo di protagonisti nel processo di recupero ed emancipazione, promuovendo programmi di rispetto e integrazione degli uomini e delle donne con la natura, coinvolgendo il potere pubblico, politicizzando la questione della miseria e della esclusione, creando una cultura del dialogo locale e globale, della cura dei deboli e degli impoveriti.
Adesso che la crisi è acuta e si fa sentire seriamente nello stomaco, sempre più vuoto, causa la chiusura della politica sociale da parte del governo Bolsonaro che dice pubblicamente in TV che per lui i poveri e gli indios non sono un problema, possono anche morire. Di fronte a questa politica, Agua Doce si propone di espandere la coscienza umana attraverso l’apertura dei loro cuori ad altri cuori, anche noi dovremmo aprire il nostro cuore all’altro, creando giorno dopo giorno il profondo senso della comunità, condividendo tra gruppi di famiglie ciò che hanno.
Buon Natale, Antonio
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