Carissima, carissimo,
tutti siamo ormai immersi in ciò che sta cambiando nella nostra vita con il Coronavirus. Da un momento all’altro cambia il modo di vedere le cose e il modo di vivere. Sono stato abituato a pensare che il tempo era una cosa che si misurava: in ore, minuti, secondi. Quindi, come tutti e tanti, lo rincorrevo, sfruttavo, massimizzavo. Ho imparato ad organizzarlo e a dividerlo fossi chissà quale dio. Ma è così, non è vero? Abbiamo sviluppato una specie di rapporto-padrone schiavo con il tempo. Vogliamo ingabbiarlo controllarlo come se fosse un semplice bene di consumo.
Questa vicenda ci richiama alla fragilità costitutiva di ogni sistema vivente, di ogni essere vivente, e quindi di ogni essere umano. Dal riconoscimento della nostra fragilità costitutiva discende il primo valore morale e civile: il dovere della comune solidarietà, il compito di prendersi cura di chi ha bisogno di aiuto. Riconoscere il diritto di ogni essere umano alla vita, alla dignità, alla solidarietà. Con il Coronavirus il tempo non appare più solo divisione, misura, o susseguirsi di momenti o eventi. Il tempo si arricchisce lentamente di colori, di suoni e di sapori, ne sono esempio le varie creatività manifestate in ogni angolo d’Italia in questo momento di smarrimento. In questi momenti si comincia a intuire e a capire che il presente è qualcosa di sconvolgente, che il presente ha tutto in sé, che non esiste un momento che sia fuori di adesso. Un tempo sentito dentro le viscere é tutt’altra cosa di quello imprigionato nelle nostre menti e nei nostri orologi. Il primo invita al profondo, alla contemplazione, al silenzio, a ritrovare noi stessi, il secondo crea angoscia e frenesia.
Sono convinto che con un nuovo significato del tempo, pieno di tutto, sia possibile imparare dalla storia umana le cose vitali: no alla violenza, all’odio, alle armi per risolvere i conflitti, all’avidità, all’intolleranza e alla sopraffazione. Perché sappiamo benissimo che l’uomo e la donna sono capaci di grandi slanci di generosità, di gratuità, di umiltà e di amore. Quando ci fa fermare il tempo diventa poesia; ci invita ad aprire il portone di casa, ad avventurarci al seguito del pifferaio, a farci ubriacare da un profumo; cose che non facevamo per mancanza di tempo! Quando finirà questo momento, sarebbe bello riuscire a portare questa emozione con noi, come compagna di viaggio per affrontare gli scogli del destino, ma anche le spiagge della nostra vita.
Circa 20 anni fa, su uno numero della rivista Internazionale, ricordo di avere letto uno studio-approfondimento sul tempo. Mi colpì molto una riflessione fatta sul quotidiano tedesco Bild Zeitung, da un sociologo di cui non ricordo il nome, il quale affermava che eravamo ormai una società schiava del tempo, il nostro “manovratore” era l’orologio, mentre con mio stupore lessi che il tempo apparteneva ai poveri perché si ritrovavano a “viverlo” attraverso relazioni, solidarietà e la semplicità della loro vita.
Mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, il 24 marzo 1980, fu assassinato da un sicario inviato dal colonnello D’Aubisson mentre celebrava l’Eucarestia. La Pasqua del Signore. Sono passati 40 anni ma la sua morte è senza fine perché ha risvegliato la coscienza del suo popolo. Nell’ottobre del 2018 papa Francesco lo eleva a Santo insieme a Paolo VI. Fu l’uccisione da parte dei militari di padre Rutilio Grande, suo grande amico e di due contadini che svegliò l’anima di Romero creandogli numerosi interrogativi. Decise che nel giorno dei funerali ci fosse una Messa unica. Da quel momento inizia a comprendere le grandi sofferenze alle quali è sottoposto il popolo. Ne condivide le sofferenze e inizia a denunciarne l’oppressione. Il Paese è in mano all’oligarchia agraria sostenuta dai militari. Il suo martirio insieme a quello di Marianela Garcia Villas, dei sei gesuiti tra i quali Inacio Ellacuria, della cuoca e della figlia Celina e di tanti altri sacerdoti e militanti delle Comunità di Base e le altre migliaia di uomini e donne insieme a loro, ci fanno comprendere che solo chi è pronto a dare la propria vita può amarla e goderla liberamente in ogni istante. Le autorità della Chiesa furono addolorate ma caute, tanto che papa Woytila nel ricordarlo lo chiamò solo: zelante Pastore.
Questi martiri ci fanno comprendere che per vivere bene, come uomini e come cristiani non bisogna permettere a nessuno di farci paura e che, se qualcuno o qualcosa incute timore bisogna denunciarlo. Solo fin quando ci sarà qualcuno capace di dare questo schiaffo, l’umanità potrà avere speranza. Occorre ricordare chi lo sostituì nella carica di arcivescovo, non il suo ausiliare Rivera y Damas ma, mons. Fernando Saenz Lacalle, ordinario militare con la carica di generale, che giurò nelle mani del ministro dell’Esercito promettendo di “assolvere a questo compito nel miglior modo possibile”. Tutti sappiamo chi ha ucciso Romero i Gesuiti, Marianela Garcia e le altre migliaia di martiri: l’esercito salvadoregno!
La Pasqua è il contenuto stesso della vita cristiana, è il cuore della vita delle Comunità, perché ci dice chi è Dio, chi è Gesù, chi siamo noi. E’ la manifestazione di un Dio amante della vita, che ama la vita e non la morte. Che è venuto a portare la vita, la Vita in abbondanza. La Pasqua fa scoprire chi sono l’uomo, la donna e il Creato. La Pasqua è il perno attorno a cui gira tutto il piano di Dio per fare esplodere un’eterna primavera. Tocca a noi.
Pasqua è una pietra. Pietra scartata eppure la più preziosa, su cui edificare la nuova architettura del mondo. Credere è mettere il proprio piede sulla pietra. Vivere è seguire la Parola incisa sulla pietra. Pasqua è togliere la pietra dal sepolcro e farne mattoni di vita.
Chi ha fame chiede dignità, non elemosina. Oggi si parla molto di diritti, dimenticando spesso i doveri, forse ci siamo preoccupati troppo poco di quanti soffrono la fame. Oggi l’ONU attesta che il popolo che soffre la fame ammonta a 850 milioni, mentre 2 miliardi sono malnutriti. Mentre il costo annuo dello spreco, sommando i costi economici, quelli ambientali e sociali della dissipazione di alimenti ammonta a quasi 2.000 miliardi. L’umanità ha ancora fame ma si spreca il 30% del cibo. Per invertire questa tendenza abbiamo bisogno di cambiare il paradigma delle politiche di aiuto e di sviluppo, modificare le regole internazionali, cambiare il sistema di produzione e di consumo che escludono la maggior parte della popolazione mondiale anche dalle briciole che cadono dalle mense dei ricchi.
E’ arrivato il tempo di pensare e decidere partendo da ogni persona e comunità e non dall’andamento dei mercati. Questa sofferenza, questa povertà ha origine dall’ingiustizia, urge lottare e combattere questa miseria, urge promuovere il miglioramento della loro condizione di vita, il progresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune dell’umanità. Per questo siamo chiamati a far si che le idee e i progetti di giustizia non si devono far marcire nell’attesa.
“Nessuno può servire a due padroni: o, infatti, odierà l’uno o amerà l’altro, o si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a Mammona.” Mt. 6, 24
Buona Pasqua, Antonio
Ricordo ad ognuno di noi l’autotassazione libera nella quantità
e continuativa nel tempo a sostegno dei progetti
I versamenti devono essere effettuati sui seguenti conti:
Conto corrente postale intestato a Notiziario della Rete Radié Resch:
IBAN: IT 15 N 07601 13800 000011468519
o sul conto della Banca Alta Toscana
intestato a Rete Radié Resch
IBAN: IT 42 M 08922 70500 000000004665
Indicando sempre la causale
Infine ricordiamo il contributo alla nostra rivista: In Dialogo-Notiziario della Rete Radié Resch
contributo ordinario 2020 € 35
contributo sostenitore 2020 € 50
contributo amicizia 2020 € 100
contributo vitalizio 2020 € 1.000
Chi invia il contributo di sostenitore, amicizia o vitalizio riceverà un libro in omaggio.
Se hai l’indirizzo elettronico, inviacelo, risparmieremo tempo e denaro
inviandoti la lettera mensile.