Silvia Romano non ha avuto il tempo neanche di gioire per la ritrovata libertà e il rientro in Italia, che subito si è ritrovata in un vortice di attacchi e di insulti da una parte consistente dell’opinione pubblica. In Parlamento c’è stato in questi giorni anche un esponente della Camera che ha avuto l’ardire di parlare di questa ragazza come di una neo terrorista.
Non voglio dedicare queste riflessioni sulla sua conversione o sul modo in cui é avvenuta, né su i suoi vestiti, ma su come questi fatti abbiano avvelenato nel nostro paese quella che doveva essere una festa e un momento di gioia. Stiamo parlando di una ragazza di 25 anni che è partita dall’Italia qualche anno fa per dedicare parte della sua vita alla solidarietà, e a chi è più povero; ovvero stiamo parlando della parte migliore del nostro paese.
Immagino che tante di queste persone che hanno avvelenato questa festa si ritengano credenti, anche cattolici praticanti. La mia riflessione vuole fermarsi su come queste persone ancora oggi vedano nell’Islam il nemico da combattere e non invece in coloro che ne danno un’interpretazione integralista e si trasformano in terroristi. Di tutta l’erba un fascio… Che tristezza…
É il Papa stesso che indirettamente risponde a queste persone con l’adesione della Chiesa Cattolica alla proposta avanzata dall’Alto Comitato per la Fratellanza Umana, di dedicare il 14 maggio a una giornata di preghiera, di digiuno e di opere di misericordia per l’umanità contro la pandemia.
L’alto Comitato per la Fratellanza Umana chiede ad ogni persona, in ogni parte del mondo, a seconda della sua religione, fede o dottrina, di “rivolgersi al Dio Creatore”, sollecitando sia i leader religiosi che tutte le persone nel mondo, “a rispondere a questo invito umanitario e a rivolgersi a Dio ad una sola voce, perché preservi l’umanità, la aiuti a superare la pandemia, le restituisca la sicurezza, la stabilità, la salute e la prosperità, e renda il nostro mondo, eliminata questa pandemia, più umano e più fraterno”.
Rivolgersi al Dio Creatore a una sola voce vuol dire pregare il “Dio di tutti”, anche se aderiamo a religioni diverse.
Dunque immagino che tante di queste persone che vedono nell’Islam una religione da combattere non si riconosceranno nella preghiera comune, tralasciando quanto sta avvenendo nella Chiesa in questi anni (e non solo con questo Papa) con la ricerca di un dialogo interreligioso che trova la sua massima espressione nella firma dello stesso Papa Francesco del documento di Abu Dhabi lo scorso anno con uno sei massimi esponenti della fede islamica, sulla fratellanza universale.
Una fratellanza universale che nasce dall’unico Creatore che fa di noi cristiani, dei musulmani e degli ebrei, le tre grandi religioni monoteiste, i discendenti di Abramo.
C’è un piccolo libro scritto da Maria Teresa Abignente dal titolo “Il Dio di tutti” dove la scrittrice intervista la teologia musulmana Shahrazad Houshmand che si definisce “credente dell’Islam e innamorata di Gesù” che dice “come possiamo non piccoli esseri umani abbracciare e comprendere la totalità di Dio?” Che vuol dire come possiamo anche noi cattolici pensare che esista la nostra sola verità?
In questo stesso libro si riporta un’affermazione bellissima di Padre Paolo Dall’Oglio, ancora in mano ai terroristi in Siria e da tanti anni a contatto con il popolo siriano dove di che si sente “credente in Gesù e innamorato dell’Islam”. Chissà se mai lo libereranno, se è ancora vivo, come lo accoglieremmo qui in Italia, noi paladini del cattolicesimo nostrano.
Dunque lasciamo Silvia alle sue riflessioni e al suo cammino personale di fede; ciascuno di noi dovrebbe pensare al proprio che é altra cosa dalla semplice adesione ad una religione. Credere vuol dire prima di tutto interrogarsi su chi siamo e cosa è Dio per noi, magari provare anche a cercarlo, non nelle semplici convinzioni di una religione, verità sempre parziali, ma nell’esperienza della nostra vita accanto agli altri e nelle personali meditazioni e riflessioni. Un po’ come sta facendo Silvia, aperti a un Dio che ci parla in tanti modi ogni giorno.
Di Silvia, anche come credenti, dovrebbe invece interessarci non la conversione o peggio ancora il vestito con cui è scesa dall’aereo visto come un affronto, ma la parte di amore disinteressato che ha dimostrato a tutti con la sua storia. Dovremmo pensare a questa ragazza che a 25 anni ha deciso di vivere accanto ai bambini del Kenya che era andata ad aiutare, perché è l’amore e solo l’amore che fa la differenza. Quello è il suo tesoro. Forse scopriremmo che amare in quel modo è un po’ come avere gli occhi di Dio, di quel Dio di cui ci parla la Bibbia, il Corano e la Torah (La Bibbia ebraica). Dovremmo ammirarla per il coraggio, l’altruismo, il desiderio di darsi agli altri. Quel sorriso due anni fa come oggi, non è cambiato. Era ed è un sorriso di amore…
Infine un’ultima riflessione mi sento di rivolgerla a tutti coloro che in questi giorni si sono affidati al web per formulare insulti di ogni tipo a questa ragazza. Consiglio loro di leggere e riflettere sul manifesto di Parole Ostili, un’associazione che cerca di diffondere un modo pacato e pensato di stare sui social, che produca nel tempo un confronto tra le persone e un dialogo, anziché innestare perenni conflitti. Uno dei punti del manifesto dice che “si comunica ciò che si è”. A tutti loro vorrei dire che le parole scritte restano impresse nella mente degli altri e danno una chiara idea di chi siamo, compreso anche il nostro livello di arroganza, superficialità ed ignoranza.