Articoli di Alessandro Marescotti, Karim El Sadi, Simone Pieranni e link al film Snowden e al documentario Citizenfour (tutti e due in italiano).
… alla fine la giustizia arriva ma certe volte in gran ritardo
Illegale lo spionaggio di massa della National Security Agency – Alessandro Marescotti
Importante riconoscimento di una corte d’appello Usa. “Non avrei mai immaginato che sarei vissuto per vedere i nostri tribunali condannare le attività della Nsa come illegali e nella stessa sentenza vedermi attribuito il merito per averle rivelate”, ha commentato dello stesso Edward Snowden.
Nel 2013 Edward Snowden denunciò al mondo intero che la National Security Agency americana spiava milioni di telefoni e computer, svolgendo un controllo globale sulle comunicazioni.
Nel 2013 il cattivo era lui.
Aveva rivelato dei segreti. Ma rivelando quei segreti aveva rivelato una terribile e inconfessabile verità. Snowden agiva in nome della legalità, ma veniva accusato di essere un criminale, perché aveva rivelato dei segreti.
Snowden si vide rifiutare una ventina di richieste di asilo da parte di vari paesi democratici. Italia compresa.
«Non ci sono le condizioni giuridiche affinché l’Italia possa accogliere la richiesta di asilo» a Snowden, dichiarò l’allora ministro degli esteri Emma Bonino il 4 luglio 2013.
E Snowden si dovette nascondere in Russia, cosa paradossale.
Oggi sappiamo che le cose rivelate da Snowden non solo erano vere ma erano illegali. Lo dice un tribunale americano. Snowden aveva rivelato un sistema di spionaggio illegale ai danni di milioni di cittadini, non solo americani.
E così oggi una corte americana dà ragione ad Edward Snowden, riconoscendogli il merito di essere stata la fonte grazie alla quale la giustizia ha potuto mettersi in moto. Snowden ha violato la legalità in nome della legalità.
Secondo la corte – leggiamo su Rainews – i vertici dell’intelligence non dissero la verita’, nascondendo “attivita’ incostituzionali”. Trump prende di mira la Corte Penale Internazionale
Le illegalità perseguite dai presidenti americani proseguono. Ne è un esempio la recente e abnorme decisione di Trump di imporre sanzioni nei confronti della procuratrice della Corte Penale Internazionale che sta indagando sui crimini di guerra americani in Afghanistan.
Snowden ha scritto su Twitter: “Sette anni fa, quando ero accusato di essere un criminale per aver detto la verità, non avrei mai immaginato che sarei vissuto abbastanza da vedere i nostri tribunali condannare le attività della NSA come illegali e nella stessa sentenza mi accreditano per averle smascherate”.
Snowden, esperto informatico, era entrato nel santuario dello spionaggio digitale e aveva scoperto che era stato realizzato un accordo fra i colossi di Internet e il governo americano, dando vita a un sistema di sorveglianza di massa invasivo come mai era avvenuto. Chi ha letto il libro Sotto controllo, scritto da Glenn Grenwald, avrà notato come Snowden aveva fiducia in Obama e sperava che con Obama questi abusi sarebbero finiti. E invece no. Snowden scelse allora rivelare al mondo interno il sistema di sorveglianza di massa, scendendo nei dettagli tecnici e documentando in modo inoppugnabile come Internet, un tempo terreno dei libertari, si fosse trasformata in una rete nella quale i cittadini di tutto il mondo venivano spiati dal governo americano attraverso un “buco della serratura” che stava nei cellulari, nei computer e i tutti i device connessi alla rete.
Questa vicenda è illuminante non solo per la storia di Internet.
E’ una vicenda che riguarda la storia della nonviolenza.
E che riguarda noi tutti, come cittadini che aspirano alla libertà attraverso la verità.
La satyagraha (che letteralmente significa «insistenza per la verità») era il metodo di lotta nonviolenta propugnato da Gandhi ed era fondato sulla capacità di disobbedire alla legge in nome della verità e della giustizia.
Snowden ha fatto questo.
La satyagraha è stata praticata da Gandhi, da Martin Luther King, da Nelson Mandela, e ha avuto alla base la prassi della disobbedienza civile, della violazione della legge quando la legge era immorale.
La violazione della legge americana, compiuta da Snowden, oggi si ribalta in una sentenza che gli dà ragione. E, come spesso accade nella storia della nonviolenza, la funzione di violare la legge per farne emergere l’intriseca illegalità (l’espressione può apparire paradossale) è proprio stato uno dei filoni dello sviluppo civile lì dove gli strumenti convenzionali non hanno funzionato e non hanno rappresentato i cittadini.
Quando la legge è ingiusta va cambiata secondo le modalità previste. Ma quando ciò – per una serie di ragioni – non è possibile, allora spetta alle persone dotate di coraggio e senso etico il compito di violarla, non allo scopo di promuovere l’illegalità, ma al contrario allo scopo di promuovere una nuova legalità. Come ha fatto Snowden, cittadino digitale globale. Che, ricordiamolo, vive ancora nascosto.
Corte d’Appello USA da ragione a Snowden: ”L’NSA ha violato la Costituzione spiando milioni di cittadini” – Karim El Sadi
Se Giulietto Chiesa fosse ancora tra noi, ieri avrebbe sicuramente festeggiato due volte. Una per il suo compleanno (avrebbe compiuto 80 anni) e l’altra per una notizia decisamente inattesa giunta agli organi di stampa internazionali in mattinata: la corte d’appello Usa ha dato ragione ad Edward Snowden, l’ex agente informatico e analista della National Security Agency (NSA) che nel 2013 aveva denunciato il programma Top Secret con cui l’intelligence americana controllava i cittadini, stabilendo che quel sistema di sorveglianza di massa era illegale. Giulietto Chiesa, e pochi altri giornalisti indipendenti, avevano difeso dal primo momento la posizione di Snowden, costretto alla fuga in Russia dove ottenne asilo sette anni fa. Il giovane whistleblower del North Carolina era stato minacciato di morte, delegittimato e perseguitato dalla legge americana. Oggi, però, chi lo additava come traditore della patria, talpa dei russi, o inflitrato dovrà quanto meno soffermarsi un secondo in più prima di aprire bocca perché la sentenza dei giudici non lascia spazi a possibili interpretazioni. Stando al verdetto della corte, non solo le rivelazioni coperte da segreto di Stato di Snowden erano legittime ma i vertici dei servizi di intelligence americani e i vari rappresentanti delle istituzioni che negavano l’esistenza del programma sono ora accusati di aver mentito e “nascosto alla popolazione attività incostituzionali”. Ma cosa aveva scoperto e disvelato esattamente l’ex analista CIA e come si è arrivati a questa sentenza storica? A maggio 2013 Snowden volò per Hong Kong lasciando le Hawaii dove aveva sede l’azienda informatica consulente della CIA per la quale lavorava, la Booz Allen Hamilton. A Hong Kong Snowden, dopo aver ripetutamente tentato, ma invano, di riportare tramite canali istituzionali ciò che di sconvolgente era venuto a conoscenza nell’azienda, decise di raccontare tutto ai giornalisti Glenn Greenwald, Laura Poitras e Ewen MacAskill. Si parla di dati riservati su milioni di cittadini, americani e non, trattati come sospettti terroristi e spiati senza riguardo della legge. Intercettazioni delle conversazioni di Capi di Stato, rappresentanti politici e potenti uomini d’affari. Accordi segreti per l’accesso alle banche dati dei giganti della rete, obbligati a sottostare alle richieste di Washington senza poterne rivelare l’esatta estensione, o direttamente a loro insaputa. Così come il deliberato indebolimento degli standard crittografici che rendono possibile mantenere sicure le transazioni finanziarie online così come le comunicazioni in chat, i contenuti pubblicati sui social e gli scambi mail. Tutto da quel momento pubblico e tutto accessibile alla popolazione. Immediata l’ira di Washington, e in particolare del Dipartimento di Stato, che tentò di nascondere e giustificare, più o meno goffamente, l’enorme mole di informazioni classificate disvelate dal giovane analista, accusato di aver violato l’Espionage Act del 1917 e di furto di proprietà del governo. Da quell’anno Snowden si trova in località segreta in Russia, l’unico Paese che gli aprì le porte dopo che gli Stati Uniti gli invalidarono il passaporto. E ora finalmente la sentenza della corte Penale USA, arrivata a seguito di un procedimento di appello contro tre indagati accusati di terrorismo. Anche se la loro colpevolezza risulta confermata, la Corte ha stabilito che i dati raccolti su di loro dall’allora programma dell’NSA sono illegali, oltre a non essere utili ai fini delle indagini e all’attribuzione della loro colpevolezza. Con sorpresa e soddisfazione ha accolto la notizia il diretto interessato. “Non avrei mai immaginato che avrei vissuto abbastanza da vedere i nostri tribunali condannare le attività della Nsa definendoli illegali. – ha commentato da Mosca Snowden – Eppure quel giorno è arrivato”. Ora la speranza è che presto possa finalmente fare ritorno in patria ma per questo serve che la Corte suprema si pronunci sul caso avallando il verdetto della corte d’Appello. Nel frattempo si può affermare con forza che la sentenza andrà a supporto di tutti quei whistleblower come Julian Assange, Chelsea Manning e tanti altri oggi in attesa che il principio di verità e giustizia prevalga sull’avidità delle organizzazioni di potere, delle multinazionali e degli apparati di sicurezza.
Sorveglianza illegale: l’importanza e il coraggio dei whistleblower – Simone Pieranni
Chi lo aveva definito traditore, talpa, spia, infiltrato, quando non direttamente amico di sistemi autoritari come la Russia che l’ha ospitato, deve ricredersi, o quanto meno fare una pausa di riflessione. A sostenere che le rivelazioni di Snowden sull’attività di spionaggio di massa da parte della Nsa sono state fondamentali per capirne la natura illegale, aprendo così uno squarcio nella giungla della raccolta dei dati, è stata una corte d’appello americana, e non «pericolosi» personaggi come Assange o Manning.
La sentenza della corte d’appello americana, infatti, ha rafforzato e riabilitato il ruolo di Snowden: secondo i giudici, con le sue rivelazioni l’ex analista «ha provocato un dibattito pubblico significativo sull’opportunità della sorveglianza di massa da parte del governo americano».
LA SENTENZA ARRIVA a seguito di un procedimento di appello contro tre persone accusate di terrorismo: la loro colpevolezza è confermata ma la Corte ha stabilito che in questo caso, così come in tanti altri, le informazioni raccolte dall’allora programma della Nsa sono illegali e per di più non sarebbero utili alle indagini e alla stesura di un giudizio di colpevolezza o meno. Si tratta di 59 pagine che in gran parte ricalcano quanto già deciso da una corte americana nel 2015: da allora il programma di raccolta di dati è ufficialmente sospeso, dopo l’approvazione dello Usa Freedom Act. Il programma della National Security Agency era infatti figlio del Patriot Act, approvato post 11 settembre 2001, che permise alle agenzie di intelligence americane di prendersi ben più di una licenza.
La sentenza però pone alcuni punti fermi di tutta questa vicenda iniziata nel 2013. Presidente era Barack Obama e le rivelazioni di Snowden misero in forte imbarazzo l’allora staff della Casa bianca.
Innanzitutto il testo della sentenza riabilita il ruolo di Snowden e sarebbe bene ricordarlo. Edward Snowden, analista della Nsa, venuto a conoscenza del piano di sorveglianza di massa da parte dell’agenzia tentò di denunciarne l’esistenza attraverso canali istituzionali. Ignorato e senza ottenere alcun riscontro, decise di passare all’azione solitaria, con l’aiuto del giornalista Glenn Greenwald, di alcuni media che pubblicarono via via parte del materiale e di WikiLeaks, senza la quale probabilmente Snowden oggi non sarebbe al sicuro, per quanto esiliato, in Russia.
Anche a questo proposito è bene ricordare che Snowden accettò la proposta russa – in mezzo ci fu una fuga a Hong Kong – dopo aver visto stracciato il proprio passaporto americano, dopo accuse di tradimento da parte di mezzo mondo politico americano e dopo il silenzio dei paesi europei che non offrirono alcun sostegno al whistleblower, tacciato anzi di essere una talpa, una spia, quando non un «amico di Putin» e come tale intenzionato a complicare la vita agli Stati uniti.
La verità è che Snowden ha compiuto un gesto coraggioso e che la sentenza della Corte riabilita, condannando invece i tanti funzionari americani che nel corso del tempo non solo avevano attaccato Snowden, ma più di tutto avevano affermato l’inesistenza di un piano di sorveglianza di massa.
COME HA SOTTOLINEATO la Reuters, prima insieme al Guardian a diffondere la notizia della sentenza, «la prova che la Nsa stava segretamente costruendo un vasto database di tabulati telefonici statunitensi è stata la prima e probabilmente la più esplosiva delle rivelazioni di Snowden pubblicate dal Guardian nel 2013». Fino a quel momento, «i massimi funzionari dell’intelligence avevano pubblicamente insistito che la Nsa non avesse mai raccolto consapevolmente informazioni sugli americani».
POI DOPO L’ESPLOSIONE dello scandalo, alcuni avevano cambiato versione, sottolineando l’importanza di questi dati nella lotta all’estremismo islamista sul territorio americano: la sentenza della corte americana demolisce anche questo assunto. Oltre a concludere che la «raccolta di massa» della Nsa ha violato il Foreign Intelligence Surveillance Act. Il passo successivo dovrebbe essere una sentenza della Corte suprema, unica possibilità, forse, perché Snowden possa tornare negli Stati uniti senza dover rischiare condanne per tradimento.
Per ora da Mosca Snowden si gode questa ennesima conferma circa la giustezza delle sue azioni:
«Non avrei mai immaginato che sarei vissuto per vedere i nostri tribunali condannare le attività della Nsa come illegali e nella stessa sentenza vedermi attribuito il merito per averle rivelate»
In agosto Trump aveva balenato la possibilità di concedergli la grazia, in una delle sue tante uscite estemporanee e ieri alcuni repubblicani hanno chiesto di andare avanti, alla luce della sentenza. Anche Snowden può diventare uno strumento nell’infuocato rush finale delle presidenziali.
Ma al di là delle battaglie politiche per la Casa bianca, la sentenza ribadisce una verità che da tempo chiediamo, ovvero la necessità da un lato di tutelare legalmente i futuri Snowden, i futuri whistleblower che ci aiuteranno a capire il perverso controllo garantito a Stati e aziende dalla nostra produzioni di dati, dall’altro quella di portare avanti una battaglia forte perché i Big Data siano un bene pubblico, gestiti in modo trasparente affinché siano utili, anziché dannosi, al procedere della nostra vita sociale.