da “Osservatorio dei Diritti”
In Cina si fabbrica il 75% di tutti i giochi del mondo. Una produzione enorme, fatta a scapito dei diritti dei lavoratori, costretti a turni estenuanti, pause ridotte, poca sicurezza e condizioni igieniche pessime. Lo rivela l’ultimo report di Anti-Slavery International ed Eccj che mette sotto accusa la filiera dei gruppi Lego e Simba Dickie
di Irene Masala
Turni di 11 ore senza pause né riposi, sei giorni di lavoro alla settimana e assenza anche delle minime misure di sicurezza e protezione. I salari non riescono a coprire nemmeno i costi base della vita quotidiana, a meno che i lavoratori non facciano continui straordinari. Non solo, ai dipendenti viene negata la possibilità di effettuare reclami e di aderire a un sindacato indipendente. Chi si lamenta rischia di essere costretto alle dimissioni, senza che gli venga pagato l’ultimo stipendio.
Sono queste le condizioni, non negoziabili, imposte da alcune industrie dei giocattoli in Cina. A denunciarlo è “What If”, l’ultimo report stilato dall’ong Anti-Slavery International, e dalla Coalizione europea per la giustizia d’impresa (Eccj). Un documento che punta il dito in particolare contro Lego Group e Simba Dickie Group.
Lego e Simba Dickie, il lato oscuro dei giocattoli
Il report sottolinea come negli ultimi decenni alcune grandi aziende dell’Unione europea siano state coinvolte in violazioni dei diritti umani, sfruttamento lavorativo e danni ambientali in paesi di tutto il mondo. Le compagnie europee non riescono infatti ad affrontare in modo efficace gli abusi perpetrati da altre filiali o dai partner commerciali durante la catena di produzione e nelle fasi di fornitura. La ricerca si concentra sulle modalità di produzione di due imprese europee, leader globali nel settore dei giocattoli.
La prima è la compagnia danese Lego Group, colosso mondiale nella produzione dei famosi mattoncini colorati. L’azienda si rifornisce dalla compagnia cinese Dongguan Wing Fai Foam Products Co. Ltd, che conta all’attivo tra i 200 e i 300 lavoratori regolari.
La seconda azienda sotto accusa è la Simba Dickie Group, un gigante dell’industria manifatturiera della Germania che ha come fornitore la cinese Wah Tung (He Yuan) Toy Manufacturing Co. Ltd, compagnia che dà lavoro a circa 2.000 persone.
Entrambe le fabbriche, quella di Dongguan Wing Fai e quella di Wah Tung, si trovano nella provincia cinese del Guangdong. Questa costituisce un enorme agglomerato industriale e la principale provincia manifatturiera della Cina. A entrambe le fabbriche cinesi sono state contestate gravi violazioni dei diritti dei lavoratori.
Produrre giochi in Cina: lavoratori senza diritti
«Il capo della linea di produzione ha detto che dovevamo rispettare la quota indipendentemente da quanto tempo avremmo dovuto lavorare o da quanti straordinari avremmo dovuto fare. I lavoratori dovrebbero lavorare ogni secondo. Se la quota è stata raggiunta ma il turno non è ancora terminato, i lavoratori devono comunque continuare a svolgere il loro compito», ha dichiarato un investigatore sotto copertura nella fabbrica di Wah Tung.
I lavoratori a tempo determinato sono quelli meno tutelati: minore copertura assicurativa sociale e congedo ridotto. Secondo il report, queste fabbriche assumono inoltre un numero elevato di lavoratori migranti, la maggior parte dei quali non ha altra scelta se non quella di vivere direttamente nei dormitori delle fabbriche.
Gli alloggi in loco sono stati descritti come sovraffollati, privi di servizi igienici e non sicuri. Le foto scattate nell’ambito dell’indagine mostrano inoltre lavoratori esausti che si addormentano nei posti di lavoro, nei corridoi e durante la pausa pranzo, quando questa viene concessa.
Fabbriche di giochi sotto accusa da quasi 10 anni
Nella maggior parte dei casi, i costi di queste catene globali di produzione vengono mantenuti bassi proprio come conseguenza, diretta o indiretta, degli abusi sui lavoratori e del mancato rispetto dei loro diritti. Le gravi violazioni delle leggi sul lavoro cinesi e delle convenzioni dell’Organizzazione mondiale del lavoro, riscontrate appunto nella filiera della produzione di giocattoli, sono state al centro di diversi report di denuncia da parte di organizzazioni cinesi e internazionali negli ultimi anni.
Già nel 2011 un documento della Students & Scholars Against Corporate Misbehaviour (Sacom), “Making toys without joy”, aveva rivelato gravi violazioni dei diritti dei lavoratori nelle fabbriche cinesi connesse con altri grandi marchi mondiali, come Disney, Walmart e Mattel.
Tra le violazioni contestate vi erano ore di lavoro straordinario circa 4 volte superiori al limite di legge, rifiuto di fornire adeguati dispositivi di protezione individuale, negazione della copia del contratto e dell’assicurazione sanitaria, sfruttamento del lavoro minorile nei periodi estivi e presenza di topi nelle zone adibite a dormitori comuni.
Nel 2018 e nel 2019 anche diverse organizzazioni della società civile, tra cui China Labor Watch, Solidar e ActionAid hanno pubblicato due rapporti, “The dark side of the glittering world” e “A nightmare for workers”, sullo sfruttamento in atto nelle fabbriche di giocattoli cinesi.
«Le aziende e le fabbriche sono ben consapevoli delle leggi sul lavoro in Cina e anche degli standard internazionali del lavoro. Eppure continuano a utilizzare scappatoie ed eludere le leggi, tutto nel perseguimento dei profitti. Con l’aumento dei costi di produzione in Cina e la guerra commerciale Usa-Cina, ciò potrebbe spingere le principali marche globali a spostare le loro operazioni all’estero», si legge nel comunicato della Watch China Labor.
Che conclude ponendo l’accento sul ruolo e sulla responsabilità delle multinazionali: «Queste condizioni di lavoro saranno replicate in altri paesi dove le leggi sul lavoro sono ancora più deboli e difficilmente vengono applicate. Pertanto, è responsabilità delle aziende e dei brand adottare misure serie per riformare dalle fondamenta le condizioni di lavoro nella loro catena di fornitura».