L’Italia cambia idea sul Mercosur e scrive all’Europa per accelerare l’accordo sul trattato internazionale con il Sud America, osteggiato da associazioni agricole e ambientalisti. Mentre fino a poco tempo fa, soprattutto la componente cinquestelle dell’esecutivo si era espressa apertamente contro, pochi giorni fa il nostro paese ha firmato una lettera al vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis sottoscritta, oltre che dall’Italia, da Repubblica ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Spagna, Svezia e Portogallo. La lettera, pubblicata dal sito della campagna Stop Ttip-Ceta Italia.
La lettera
“Desideriamo esprimere il nostro sostegno alla firma e alla ratifica dell’accordo UE-Mercosur – scrive la lettera firmata per l’Italia da Ivan Scalfarotto, sottosegretario agli Affari esteri – e esprimere la nostra gratitudine per gli sforzi profusi finora da voi e dal vostro team. Ci auguriamo di poter concludere presto con successo un processo iniziato più di 20 anni fa”. Eppure le critiche a questo accordo sono molte: l’assenza di disposizioni solide per garantire l’applicazione dell’accordo di Parigi sul clima e le convenzioni internazionali sui diritti del lavoro (non esiste infatti la possibilità di interrompere gli scambi economici a fronte di illeciti); l’esclusione dei parlamenti nazionali e del parlamento europeo dagli organi decisionali nominati per sorvegliarne l’applicazione.
La deforestazione
Molte le perplessità sul rischio di favorire indirettamente la deforestazione dei grandi polmoni versi, come l’Amazzonia. I primi attacchi al trattato Mercosur risalgono all’agosto del 2019, il mese degli incendi in Brasile, quando il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che “in queste condizioni la Francia si oppone all’accordo”. A settembre anche il presidente Irlandese Taoiseach Varadkar ha minacciato lo stop al trattato. A gennaio il parlamento austriaco ha chiesto al governo di opporsi all’accordo. In Germania Angela Merkel ha più volte difeso l’accordo, sostenendo che “uno stop al trattato non è la giusta risposta” agli incendi in Brasile, ma a marzo 2020 l’ambasciatore tedesco in Brasile ha affermatoche l’accordo sarebbe entrato in vigore solo se il Brasile fosse tornato ai livelli di deforestazione del 2017.
I vantaggi secondo i fautori
E nonostante ciò, il nostro paese, tiepido fino ad ora rispetto all’Ue-Mercosur, firma con Scalfarotto la missiva che chiede all’Unione europea di accelerare l’accordo: “Da un punto di vista economico, l’UE beneficerà di un sostanziale vantaggio di first mover, poiché diventerà il primo partner globale a firmare un accordo di libero scambio con il Mercosur. Ciò consentirà alle nostre aziende un accesso privilegiato a un blocco / regione i cui membri insieme costituiscono la sesta economia più grande del mondo, con oltre 260 milioni di consumatori. Inoltre, l’accordo è una scelta strategica dei nostri partner del Mercosur per aprire i loro mercati all’economia globale, lasciando dietro di sé approcci che guardano verso l’interno”. L’accordo prevede l’abolizione della maggioranza dei dazi sulle esportazioni Ue verso il Mercosur “consentendogli di risparmiare 4 miliardi di euro di dazi all’anno”, secondo la Commissione Ue.
I timori dei produttori
Eppure, diverse associazioni agricole, tra cui la Coldiretti, guardano con sospetto l’accordo. Secondo l’eurodeputata della Lega, Rosanna Conte, citata da AgrifoodToday, il trattato “apre il mercato europeo a significativi quantitativi di importazione di carne bovina e di pollame sui quali il principio di ‘equivalenza’ rispetto alla soddisfazione degli standard sanitari europei è tutt’altro che scontato: ricordiamo ancora il tristemente famoso scandalo mondiale sulla carne avariata che ha coinvolto il Brasile”. Inoltre, “i Paesi del Mercosur hanno chiesto concessioni nei settori dello zucchero e del riso, che potrebbero aumentare le difficoltà della produzione comunitaria, senza dimenticare gli agrumi e i rischi, anche fitosanitari, per i nostri agricoltori”. La lettera pro-accordo spinge a partire dal fatto che “La prima ondata di Covid-19 ha messo in luce le nostre vulnerabilità riguardo alla fornitura esterna di beni e servizi dell’Ue”, eppure secondo tanti non basta.
Stop Ttip-Ceta: “Scalfarotto ci ha mentito”
Monica Di Sisto, portavoce della campagna Stop Ttip-Ceta italia, che riunisce decine di Ong e realtà sindacali, commenta così: “Diversamente da quanto sostiene Scalfarotto, nel trattato, rispetto a diritti dei lavoratori e rispetto dell’ambiente, ci sono solo impegni volontari che non portano a niente. Peraltro lui dice che attraverso le commissioni sullo sviluppo sostenibili le organizzazioni della società civile si possono esprimere. Ma ricordo che con l’altro trattato già sottoscritto col Centro America, Equador-Perù-Colombia, ci sono stati assassinii di sindacalisti e l’Europa non ha detto niente, nonostante le lettere congiunte delle due parti dentro le commissioni non è stato fatto nulla”. Di Sisto, poi, si dice stupita del fatto che a distanza di poche ore Scalfarotto firmasse la lettera alla Commissione e rassicurasse le Ong: “Ci ha scritto che loro erano assolutamente attenti alle nostre preoccupazioni, che in realtà l’Italia avrebbe espresso la sua posizione quando si fosse formata una posizione a livello europeo, e che però il trattato era già protettivo dei diritti umani e dell’ambiente. Scriveva anche che era in corso una valutazione di tipo economico, di cui però nessuno sa nulla, che ci avrebbero presentato una volta pronta. In teoria il trattato di funzionamento dell’Unione europea chiede che i cittadini partecipino a tutti gli step di valutazione. In realtà evidentemente l’opinione se l’erano già fatta“. Adesso la Campagna Stop Ttip-Ceta chiede un incontro urgente con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Le aziende italiane che hanno interesse al via libera al Mercosur
Di Lorenzo Misuraca 25 Novembre 2020
Mentre le organizzazioni agricole, sindacali e ambientaliste italiane premono perché l’accordo commerciale Ue-Mercosur non venga firmato, ci sono grossi gruppi che al contrario ne trarrebbero un profitto. Sono i grandi brand che utilizzano Argentina e Brasile, soprattutto, come territorio dove produrre a basso costo per poi importare in Europa i prodotti finiti. L’abbattimento dei dazi favorirebbe loro, sfavorendo la media e piccola produzione, e gli stabilimenti industriali in territorio europeo, con anche conseguenze di tipo ambientali. Secondo diversi report e studi, infatti, gli investimenti europei nei paesi del Mercosur (oltre ad Argentina e Brasile anche Paraguay, Uruguay) giocano un ruolo importante nella deforestazione e nello squilibrio ambientale di Amazzonia e altri ecosistemi delicati del Sud America. Lo spiega bene il rapporto “Colpevoli di ecocidio”, curato da Monica Di Sisto, pubblicato dalla rete di associazioni del terzo settore che compongono la Campagna italiana Stop Tttip-Ceta, che si batte contro i possibili effetti disastrosi dei trattati commerciali internazionali.
Il collegamento con la deforestazione
L’Italia, come racconta il report, “ha una presenza antica nell’area amazzonica, in cui operano direttamente e indirettamente oltre 500 aziende italiane e loro filiali/consociate tra le quali le grandi ammiraglie partecipate dei settori energetici, meccanici e delle infrastrutture. L’Amazzonia non è deve essere la loro terra di libero sfruttamento, nonostante la compiacenza e l’incoraggiamento ricevuto in questi anni da Governi e autorità locali delle due parti”. Da questa immensa area dipende il 20% dell’ossigeno che respiriamo e che ospita il 10% della biodiversità globale. E nonostante ciò la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è aumentata costantemente dal 2012, balzando in alto del 54%, conn l’amministrazione di Bolsonaro.
All’argomento ha dedicato un documentario, Deforestazione made in Italy, Francesco De Augustinis, come raccontato dal Salvagente.
La carne importata in Europa
Analizzando 56 società brasiliane che sono state condannate per crimini ambientali in Amazzonia dal fino al 2018, Amazon Watch identifica una serie di gruppi industriali anche italiani che hanno fatto affari con esse fino al 2018. “Parliamo – continua il rapporto – del Gruppo Bihl che lavora nell’allevamento bovino e che ha lavorato con le più grandi pelletterie nel nord Italia”. Amazon Watch individua le responsabilità del gruppo agrifood Louis Dreyfus, sostenuto da Unicredit. E poi c’è Minerva, gigante dell’allevamento, sostenuta da Azimut, azionista fino al 2018 anche della brasiliana Mafrig, gruppo della carne, insieme a AcomeA. “Parliamo, infine, della multimiliardaria corazzata dell’agribusiness Cargill, finanziata anche dall’italiana Intesa Sanpaolo, mentre Unicredit ha investito nelle attività della controversa Adm, attiva nell’agricoltura e nell’allevamento” aggiunge il rapporto. Nell’articolo intitolato “Le mele marce” pubblicato da Science, un gruppo di ricercatori ha dimostrato che Il 2% delle proprietà in Amazzonia e Cerrado è responsabile del 62% di tutta deforestazione potenzialmente illegale e che circa il 20% delle esportazioni di soia e almeno il 17% delle esportazioni di carne bovina da entrambi i biomi verso l’UE potrebbero essere colpevoli dalla deforestazione illegale.
Il ruolo della soia
E non sono solo gli allevamenti ad avere pesanti responsabilità dal punto di vista ambientale: Un quinto delle 53.000 aziende che producono soia in Amazzonia e nel Cerrado l’hanno coltivata su terreni deforestati dopo il 2008,ignorando le regole, cioè illegalmente. I ricercatori hanno concluso che “circa 2 milioni di tonnellate di soia contaminata potrebbero essere state destinate ai mercati dell’Unione europea nel periodo coperto dallo studio. L’Unione europea acquista dal Brasile il 41% (13,6 milioni di tonnellate) di tutta la soia che importa e quasi il 70% di quel volume proviene dalle regioni dell’Amazzonia e dal Cerrado”. L’Ue importa dal Brasile anche oltre 140mila tonnellate di carne bovina all’anno. Il team internazionale di ricercatori ha scoperto che “Almeno uno su otto dei 4,1 milioni di capi venduti nei macelli ogni anno proviene direttamente da proprietà che potrebbero essere state deforestate violando la legge. Questo rappresenta il 2% della carne prodotta in Amazzonia e il 13% della produzione del Cerrado”. Ma lo studio avverte che “È necessario monitorare anche i fornitori indiretti di bestiame e questo non viene fatto dai grandi macelli, né dal governo”.
Le valutazioni d’impatto Ue
La Commissione europea ha commissionato alla London School of economics una valutazione d’impatto del trattato Eu-Mercosur sullo sviluppo sostenibile (Sia), che ha indicato tra i principali vantaggi che potrebbe venire al nostro Paese dal trattato. l’abbassamento dei costi di alcuni passaggi produttivi delle filiere del valore del tessile e dei mobili che le aziende italiane del settore hanno storicamente delocalizzato nei Paesi dell’area. E secondo una valutazione d’impatto indipendente redatta su input del gruppo parlamentare dei Verdi europei, l’Italia è al secondo posto dopo la Germania e prima di Olanda, Spagna, e Uk dei principali destinatari del 41,1% delle 140.243 tonnellate di carne bovina esportata dal Mercosur in Europa. “L’Italia, dunque, è fortemente corresponsabile della deforestazione e delle violazioni dei diritti umani e ambientali connessi all’attività dell’allevamento nell’area” scrive il rapporto di Stop Ttip-Ceta. Il nostro paese, poi, insieme a Olanda, Spagna, Germania e Italia è tra i principali acquirenti di soia nell’UE: importano più dell’80% della soia che entra nell’unione.
E intanto l’Italia esporta pesticidi
Invertendo la direzione del flusso di scambio, invece, l’Italia è molto attiva nell’export nell’area di pesticidi e farmaci per gli allevamenti che verrebbe reso dal trattato più semplice e economico. Secondo uno studio della ricercatrice brasiliana Larissa Mies Bombardi, il Brasile e gli Usa sono i Paesi che utilizzano le maggiori quantità di pesticidi al mondo: consente l’uso di 500 fitofarmaci, 150 dei quali sono vietati nell’Ue. Come se non bastasse, aumentano le dighe e bacini idroelettrici finanziati anche dai programmi italiani per le cosiddette “fonti rinnovabili”. La media rilevata dall’organizzazione brasiliana Imazon è di circa 350 kmq di superfici d’acqua perse ogni anno nell’area.
Le aziende italiane in Argentina
Ma quali sono le grandi aziende italiane con più interessi in Argentina e Brasile? Vediamole. Operano In Argentina oltre 200 aziende italiane, di cui moltissime nel settore manifatturiero. In Argentina la presenza italiana è fatta di big, come Aysa, Branca, Endesa Argentina (Enel), Fca, Ferrero Argentina, Generali Argentina, Italfer gruppo FS, Italtel, Iveco, Mapei Argentina, Pirelli, Salini Impregilo, Telespazio Argentina, Trevi Pilotes, ma anche di medio-grandi nei settori della meccanica, della siderurgia, sella produzione di energia e dei servizi. Con l’acquisto della spagnola Endesa, il gruppo Enel é entrato nei settori della generazione, distribuzione e trasmissione di energia elettrica. Detiene il 20% della generazione nazionale con le centrali Costanera, El Chocón e Dock Sud e Edesur.
…e in Brasile
In Brasile, sono importanti gli investimenti recentemente effettuati da Enel, che si è posizionato come primo investitore privato nel settore dell’energia elettrica, primo distributore di energia elettrica e primo generatore di energia da fonti eoliche e solari. Nel settore automobilistico, Fca è la seconda con il 17,5% del mercato. Altro settore della manifattura italiana in crescita in Brasile è quello dei mobili. Tutti i principali marchi italiani sono presenti sul mercato, in particolare a San Paolo, capitale industriale del paese. Ne è esempio Natuzzi, con un impianto produttivo a Bahia, inizialmente pensato per fornire al mercato americano e poi al mercato interno. Altri importanti marchi del settore includono: B&B Italia, FlexForm, Poliform, Living Divani, Giorgietti, Baxter, Porro, Ceccotti Collezioni, De Padova, Porada, Paola Lenti, Gervasoni, Armani Casa, Rabitti, Giobagnara, Arcade, Baleri, Edra, Ghidini 1961, Lema, Magis, Memphis Milano, Varaschin e Zanottalvi.
In generale la maggior parte delle principali aziende italiane di tutti i settori sono presenti in Brasile: Alitalia, Almaviva, Asja, Atlantia, Azimut (finanza), Azimut (yacht), Barilla, Bonfiglioli, Bracco, Buzzi Unicem, Campari, Danieli, Eataly, Enel, FCA, Ferrero, Fincantieri, Fiera Milano, Gavio, Generali, Ghella, Illy, Impregilo, Intesa San Paolo, Leonardo, Luxottica, Maccaferri, Marcegaglia, Natuzzi, Pirelli, Prysmian, Rina, Saipem, Salini, Techint, Tecnimont, Terna, TIM, UBI Banca, Unicredit, solo per citarne alcunilii.
Il solo gruppo Enel detiene in Brasile 122 partecipazioni.
Barilla, in particolare, ci fa sapere che non importa dal Brasile o Argentina nessuna materia prima in Europa.