“Io sono ebreo, ma le vittime sono i palestinesi abbandonati da tutti”, Moni Ovadia
Per capire quanto accade in questi terribili giorni in Palestina non si può non ricordare quanto è successo in quella terra dopo la costituzione dello Stato di Israele, il 15 maggio del 1948. Una storia di umiliazioni, furti di terra, espulsioni dei palestinesi dalle proprie case, una occupazione dura e violenta da sempre finalizzata a ridurre la presenza palestinese nei territori occupati nel 1967, con l’esproprio di terre e l’espansione delle colonie ebraiche. Numerose sono le risoluzioni ONU, mai rispettate da Israele, un paese fuorilegge che ha per alleati i paesi più potenti della terra e che viene impropriamente indicato come l’unica democrazia in medio-oriente, Un evidente falso storico, visto che in questo paese vige la “Legge dello Stato-Nazione” approvata dal parlamento israeliano, che definisce Israele “stato ebraico”. E’ evidente che se uno stato si proclama ebraico non può essere democratico perché non si fonda sull’uguaglianza, almeno formale, di tutti/e i/le cittadini/e. Nessuna democrazia istituisce privilegi sulla base di una confessione religiosa. Con questa legge è evidente a tutti/e che Israele è uno stato di apartheid come documentato dalla ONG internazionale Human Right Watch e da quella israeliana B’tselem.
Le ultime vicende, segnate dal tentativo di confiscare le abitazioni di 28 famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme, dai raid dei coloni israeliani nei villaggi palestinesi di Nablus, dalle provocazioni dei coloni che hanno cercato di impedire l’accesso dei palestinesi alla Spianata delle Moschee, dai cortei dei coloni al grido “morte agli arabi”, dall’irruzione della polizia israeliana nella moschea di Al-Aqsa costituiscono solo la scintilla che ha innescato gli scontri fra ebrei e palestinesi, anche nella stessa Israele.
Nonostante gli appelli provenienti da più parti di far cessare i soprusi nei confronti dei palestinesi perpetrati dai coloni e dai militari, il governo israeliano si è distinto nel cercare di alimentare l’incendio. Questo perché lo stato di guerra perpetuo è il collaudato strumento mediante il quale l’Occidente giustifica l’impunità di Israele, il non rispetto dei diritti degli arabi, delle leggi internazionali e delle risoluzioni ONU e perché è utilizzato da sempre dalla leadership israeliana per stabilizzare governi in crisi. Infatti Netanyahu, da tempo sotto processo per corruzione, frode e abuso di potere, si trova in questa fase in una situazione di grande debolezza politica in quanto proprio recentemente è stato oggetto di numerose contestazioni, unitamente al suo governo, in vista della quarta tornata elettorale negli ultimi due anni; cosa quest’ultima che segnala fra l’altro l’estrema instabilità dell’attuale quadro politico israeliano a cui si cerca di rimediare con l’ennesimo bombardamento di Gaza.
Per tutto questo oggi non è possibile limitarsi alla richiesta di una tregua, ma è necessario manifestare affinché si ponga fine all’ambiguità di quegli stati, fra cui quello italiano, che hanno fin qui concesso a Israele di violare tutte le leggi e i principi più elementari di giustizia e si facciano cessare connivenze e complicità con uno Stato che non rispetta i diritti umani di un popolo oppresso da oltre settanta anni.