In gioventù ho conosciuto la notte per ragioni politiche. Dopo le riunioni durate fino a mezzanotte, restavo a stampare i volantini che gli altri militanti avrebbero ritirato al mattino.
Le ultime di quelle insonnie le ho passate nei bivacchi davanti alle porte della Fiat Mirafiori a Torino nell’autunno del 1980.
Ho poi conosciuto i turni di notte da operaio di rampa in aeroporto.
Da più di mezza vita non frequento la notte. Questi sono i giorni di più lunga luce, intorno al solstizio d’estate. Il sole raggiunge il punto più alto sopra l’orizzonte. In questo periodo mi capita di andare a dormire a cielo ancora chiaro e di svegliarmi che albeggia. Sono i miei giorni senza notti.
Le civiltà hanno scrutato il cielo e stabilito su di esso le ricorrenze. Costellazioni, eclissi, cicli di comete, fasi lunari hanno cadenzato la vita terrestre. I solstizi hanno ispirato feste, riti religiosi.
La vastità senza fondo della notte ha fatto spalancare e alzare gli occhi in su, molto più che di giorno.
Mi rendo conto di essermi escluso da questa frequentazione. Del resto ho smesso di leggere le rubriche degli oroscopi, un genere letterario piuttosto ripetitivo.
L’amico Paolo Sassone Corsi, studioso dei ritmi circadiani del corpo umano, era anche e naturalmente appassionato di astronomia. Per lui ero un estremista del ciclo giorno/notte.
In questi giorni intorno al solstizio mi ricordo di lui e ammetto di essere un tipo diurno.