In questi giorni, il caldo torrido ha letteralmente bruciato le Regioni del Sud Italia, mentre allagava quelle del Nord Italia. In entrambi i casi, si evidenzia come l’assetto climatico sia fuori controllo e come la mano umana sia responsabile di ciò che accade.
Non si tratta di un fenomeno circoscritto ad alcune Regioni e nemmeno solo all’Italia: con una progressione vertiginosa e inarrestabile, si sta evidenziando una crisi climatica senza precedenti, rispetto alla quale si inizia ad avere una maggiore comprensione e qualche timido intervento istituzionale a livello internazionale.
Dalla Grecia, Turchia e Italia alla California, dall’Australia alla Siberia, l’Amazzonia e l’Africa, soprattutto l’Africa e in particolare quella sub-sahariana. Il mondo sta bruciando e lo si può vedere chiaramente dall’immagine del Fire Information for Resource Management System (FIRMS) della NASA.
Anche se il fuoco è un modo efficiente e economico per gestire la terra, soprattutto nella savana africana dove l’ecosistema dipende dagli incendi periodici per la sua salute, i roghi sono fonti di pericolo, come fumo, rilascio di gas serra e distruzione degli ecosistemi. In Africa centrale, conclude la NASA, la stagione degli incendi di solito inizia a maggio e raggiunge il suo picco in agosto.
Il 6° Rapporto sul clima dell’ONU, elaborato dall’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), l’ha specificato con solare chiarezza: siamo stati noi con le nostre attività predatorie nei confronti delle risorse terrestri a “surriscaldare l’atmosfera, gli oceani e la terra” provocando così “cambiamenti rapidi e irreversibili” le conseguenze tragiche dei quali sono sotto gli occhi di tutti, compresi quelli di coloro i quali si ostinano a negare l’evidenza.
Lo studio specifica che a partire dal XIX secolo, l’utilizzo sempre più massiccio dei combustibili fossili (principalmente petrolio e carbone) ha immesso nell’atmosfera colossali quantità di anidride carbonica (gas serra) che hanno innescato l’aumento della temperatura dell’aria.
Tutto questo ha determinato e determinerà ancora di più in futuro – nel caso le cose non dovessero significativamente cambiare da subito – una sorta di reazione a catena le conseguenze (nefaste) della quale sono/saranno: scioglimento dei ghiacci; innalzamento del livello dei mari; inaridimento di aree coltivate; scatenamento di imponenti flussi migratori; sconvolgimenti climatici estremi ovunque.
Trasformazioni sempre più frequenti, sempre più intense e ovviamente sempre più catastrofiche (basti pensare alle recentissime esondazioni che hanno disastrato la Germania) con cui dovremo fare i conti.
La parola d’ordine è carbon neutrality entro il 2050: solo l’abbandono progressivo delle fonti energetiche fossili conterrà l’aumento della temperatura entro i 2 gradi.
Il 6° Rapporto Ipcc lancia un monito ben preciso: superare la soglia critica dei 2 gradi significherebbe andare oltre il punto di non ritorno, tanto è vero che l’ultima volta che l’atmosfera si è riscaldata di 2,5 gradi è stato tre milioni di anni fa, quando ancora non c’era l’uomo. Mai come in questa circostanza è vero che chi si ferma (o aspetta) è perduto.
Ci sono comportamenti omertosi e comportamenti attivi che contribuiscono senza dubbio al disastro ambientale a cui stiamo assistendo, senza poter apparentemente fare nulla.
Ci indigniamo, infatti, di fronte alla devastazione degli incendi e ci scagliamo contro chi li appicca, augurando loro tutto il male possibile…ma proviamo a pensare a tutte le volte che abbiamo preso l’automobile e potevamo andare a piedi, a tutte le volte che abbiamo buttato la spazzatura tutta insieme, a quando abbiamo usato piatti e bicchieri di plastica, a quando abbiamo comprato decine di bottiglie di plastica pur sapendo che l’acqua del rubinetto è potabile, a quando abbiamo comprato l’ennesimo vestito e borsetta e decine di oggetti inutili, a quando abbiamo buttato cibo nella spazzatura o telefoni e TV ancora funzionanti. A quanta acqua abbiamo sprecato sotto la doccia o a quanto sapone abbiamo usato per sentirci puliti. A quante lavatrici abbiamo caricato solo per sentire il profumo della nostra biancheria.
Ma anche a quando abbiamo chiesto alla politica più strade e più parcheggi per girare sempre di più in automobile o più condoni per sanare i nostri abusi, più supermercati per comprare quintali di cibo spazzatura e più centri commerciali per soddisfare la nostra compulsione agli acquisti.
A quanta scarsa attenzione abbiamo dedicato a chi predicava azioni virtuose per contrastare i cambiamenti climatici, a quanto poco tempo a chi ci chiedeva fondi per riforestare la nostra città, a quando avete pensato che la Tumberg fosse una managrama e gli ambientalisti degli sfacinnati radical chic … È in tutti questi comportamenti od omissioni che il volto degli incendiari somiglia molto anche al nostro.
La cosiddetta transizione ecologica non è né semplice, né indolore, né priva di pesanti costi sociali. Riconvertire/reinventare il modo di produrre (passare cioè dall’economia lineare a quella circolare) non è affatto una cosa scontata. Anche se dovrebbe esserlo, viste le conseguenze dell’inazione.
Ci troviamo davanti ad una terribile alternativa: se non facciamo niente cadiamo nel burrone, se facciamo qualcosa di realmente significativo mettiamo a rischio interi settori produttivi e relativi lavoratori in essi impiegati. Insomma, lasciare la strada vecchia per la nuova non è e soprattutto non sarà banale, per usare un blando eufemismo.
L’homo sapiens con la sua scriteriata e miope avidità ha creato il problema e lo stesso homo sapiens con ciò che gli rimane in termini di lungimirante e coraggiosa visione del futuro deve tentare di risolverlo (possibilmente prima di subito).
Per questa ragione, anche i morti di questi giorni in Sicilia e in Calabria, ci riguardano…queste morti sono la punta di un iceberg che sta mettendo a ferro e fuoco il sud del mondo. L’ultima della serie, la più stridente, quella che ci ferisce dentro, nel profondo dell’anima.
Morti che non hanno colpevoli, ma in effetti trascinano con sé tanti colpevoli, troppi, nascosti nei luoghi più inattesi. Difficilmente – oggi – qualcuno di noi può sentirsi innocente. Ovunque si voglia guardare ci sono responsabilità, complicità, indifferenze, apatie e le tante teatralizzazioni ormai tanto di moda.
Tra poco dimenticheremo tutto, terminate le nostre “belle” vacanze, fino alla prossima tragedia, che potrebbe riguardarci molto più da vicino.
La terra brucia. L’uomo violenta con il fuoco i boschi, le pianure, fino ai confini delle città. Il fuoco divampa tra le case, s’insinua in quella campagna che accarezza le case, massacra le bestie, la vita che abita la natura. La terra brucia e le cause sono sicuramente di origine dolosa. L’uomo, proprio lui, quello che dovrebbe coltivare e custodire la terra.
Se vogliamo capirci qualcosa dobbiamo partire da una semplice osservazione: cosa succede ai terreni dopo gli incendi? Possono diventare edificabili, possono essere destinati al pascolo, si possono montare pannelli fotovoltaici, si possono cambiare le colture.
Le responsabilità sono di tanti. Di chi ha acceso il fuoco per i suoi sporchi interessi personali e abbiamo visto che sono tanti. Di chi potrebbe pensare a una strategia di difesa efficace e invece partecipa solo del dolore delle vittime. Di chi dovrebbe mettere a disposizione dei territori, le tecnologie più avanzate e invece privatizza la macchina dei soccorsi e non infrastruttura le campagne. Di chi dovrebbe stare vicino ai proprietari (contadini, allevatori, produttori, ecc.) con normative e azioni ad hoc per sostenere le attività agricole (agro-pastorali).