Sabato 4 settembre 2021 – Quarrata 28a Marcia della Giustizia
Grido della Terra Grido dei Poveri
Antonietta Potente, teologa e suora domenicana
La situazione mondiale che viviamo e allo stesso tempo che abbiamo da- vanti agli occhi, non ha nessuna forza vocale per gridare; non si impone con il suo grido, altrimenti, penso, qualcosa sarebbe successo.
È un momento così particolare quello che viviamo oggi nel mondo e nell’ecosistema. Se da una parte percepisco che è l’unico spazio e tempo in cui abbiamo ancora la possibilità di vivere con passione d’amore, dall’altra sento che siamo avvolte e avvolti da un dolore così diffuso, che si moltiplica così velocemente, tanto da farci sentire impotenti. Per questo faccio sempre più fatica a percepire la situazione della Terra e di tutto l’Ecosistema, così come quella di milioni e milioni di donne e uomini, bambine, bambini e giovani, come un “grido”. Anzi mi sembra di essere avvolta in un silenzio totale: oggi c’è grande silenzio e solitudine -scriveva un autore anonimo o chissà autrice anonima del IV secolo, nel giorno del venerdì santo-. Silenzio e solitudine, questo è il mio sentire di questi tempi. E mentre percepisco questa intensità silenziosa di tante situazioni che comunque palpitano an- cora vita, sento anche che dobbiamo trovare altre vie, che qualcosa abbiamo sbagliato. Che non basta sapere chi sono i cattivi, o solo tenere chiaro ciò che dobbiamo fare.
Oggi sta accadendo qualcosa che non riusciamo mai a mettere in conto nelle nostre pratiche di giustizia. Io potrei dirvi cosa vedo, ed è ciò che vedete anche voi e sicuramente meglio di me. La violenza esercitata su esseri umani e su ogni essere vivente; il perpetuarsi di guerre che si moltiplicano così tanto che quando ne spunta una che ci sembra nuova (anche se in realtà esisteva già) pensiamo che da un’altra parte sia finita.
Questo perché le armi sono le alleate più fedeli della finanza mondiale. Il loro mercato è resistito anche quando tutto sembrava fermo, anzi, è aumentato. La loro circolazione è sempre più intensa anche se sempre più illegale, contro la costituzione (almeno nel nostro paese), anche quando queste armi sono vendute dal governo. C’è morte, sì c’è molta morte; ovunque guardia- mo la morte è già passata. Le guerre provocano profondo dolore, silenzio e solitudine, sia tra gli esseri umani, sia sulla Terra. Nelle guerre salta in aria tutto, ogni possibilità di relazione tra gli esseri umani e l’ecosistema. Tutto viene buttato all’aria, prima gli affetti, poi la casa, le cose, poche o tante che siano; gli animali, le piante, gli alberi. Si uccidono culture, narrazioni preziose della sapienza dei popoli che ci interessa sempre troppo poco o che prendiamo solamente come qualcosa di folklorico.
Qualcuno osa ancora parlare della violenza della natura che, con i suoi venti e le sue piogge, spazza via tutto. Ma nessuno si domanda mai cosa succede negli abissi degli oceani, quanti esperimenti si fanno nei mari del nostro universo-mondo. È tutto un groviglio di dolori, ingiustizie, espropriazioni indebite, che sembrano non avere fine. Mentre miliardi di esseri umani vengono colpiti da un virus, altri si arricchiscono per i suoi antidoti. Assurdo, sì è un mondo assurdo, retto da una logica assurda, ma farne un’analisi è troppo poco.
Dobbiamo cercare un’altra via e oso pronunciare qui, in questo contesto dove si ricercano pratiche di giustizia, quella parola che sempre celiamo, come se il suo spazio non fosse quello pubblico o del bene comune. Questa parola è passione d’amore.
Amore per me significa che nonostante tutto ogni persona, di ogni cultura, in ogni situazione ha qual- cosa da dire perché il mondo cambi la sua violenta e dolorosa rotta. Ha qualcosa da dire per cercare insieme vie e pratiche politiche diverse.
Amore per me è che ogni persona nella sua più sottile differenza, anche in situazione di precarietà è soggetto prezioso per trovare pratiche altre. Amore è anche restare umilmente e consapevolmente fuori da quel circolo ristretto e deleterio in cui tutto si gioca tra buoni e cattivi. Una visione molto maschilista per me che sono una donna. Visione che comunque mi fa restare sempre in una logica del duello tra bene e male, buoni e cattivi, giusti e ingiusti. Ma io voglio uscire dal duello; non amo il duello che è radice di ogni schizofrenico dualismo, nella vita personale e nelle relazioni sociopolitiche.
Amore per me è un sentire positivo, come una brezza in giorno di afa; è impulso creativo che mi sostiene ancora per cercare altre vie.
Amore per me è restare consapevolmente nel mistero e dunque nel dubbio e questo mi sospinge a cercare con altre e altri che per me sono sempre e solo soggetti d’amore, di idee e gesti alternativi, di pratiche di vita e mai oggetti o realtà da salvare.
Questa sera avrei voluto leggervi alcuni pensieri della filosofa Maria Zambrano che di esili e guerre se ne intendeva, per rendere la piazza -come sempre- luogo di sapiente cultura. Ma non essendo tra voi, trascrivo queste parole.
“Il progresso umano condannerà irrimediabilmente la Pietà? L’etica moderna ha preteso di sostituirla con differenti virtù o valori: la filantropia, la cooperazione e la giustizia. Oggi si chiede sempre in nome della giustizia e ciò che si concede e ciò che si fa, ugualmente, lo si fa a nome suo. Sarà sufficiente? […] L’angoscia in cui oggi ci dibattiamo potrà essere dissipata con rimedi nati dalla mente? […] Non ci saranno cose e relazioni tanto sottili, nascoste e indiscernibili che solo per il presentimento o l’intuizione, siano comprensibili? Si potrà prescindere dall’ispirazione?”
Amore è anche questo: si potrà prescindere dall’ispirazione? Proseguiamo dunque e cerchiamo ancora. Osiamo altre vie che non eliminano quelle già percorse, ma che le rafforzano e le rendono più vere e capaci di concepire ancora vita.
Don Mattia Ferrari, cappellano di bordo della nave Mediterranea
Grazie da parte di tutta Mediterranea Saving Humans. Conosco bene il vostro Antonio Vermigli perché sono il viceparroco di Nonantola e come sapete noi e voi di Quarrata abbiamo Antonio in comune. Metà da voi e l’altra metà da noi.
Lui è importante anche per la nostra comunità perché oltre alla sua ca- rica umana è portatore di quelle istanze che sono la nostra storia e che noi riassumiamo con Mediterranea.
Nello spirito di quella “piattaforma” in cui mi trovo essere cappellano.
Il progetto di Mediterranea nasce proprio in risposta a una sfida che ci presenta la storia e quel titolo che avete dato alla marcia “Grido dei Poveri. Grido della Terra” è come l’espressione del Santo Padre, Francesco, quando ci richiama a porgere l’orecchie e mettere il cuore in ascolto del grido che si fa sempre più forte.
Il grido che arriva dalle nostre fabbriche, come arriva dal nostro mare, come arriva dalla Libia.
Come arriva dalle campagne e dalla grande parte della società del mon- do.
Ascoltare la sfida che al centro di questa marcia diventa fondamentale per riuscire a risolvere tutti gli altri temi di quella cosiddetta “crisi migratoria” come a volte viene definita.
Ma non si tratta di una crisi migratoria ma come dice Carola Rakete, si tratta di una crisi della giustizia globale. L’ha spiegato bene anche Mohamed BA nel corso del suo intervento qui dal palco della Marcia per la Giustizia.
Noi continuiamo a cercare di cambiare la realtà per certi nostri schemi ma se solo approfondiamo questa distinzione fra rifugiati e migranti economici vediamo che si tratta di una differenza che esiste solo nelle nostre leggi. Una differenza che nella realtà delle persone non esiste.
In questo nostro mondo ci sono tante persone che s’impegnano alla ri- cerca di una vita degna. Tentano e provano ad arrivare in Europa, in quello stesso continente che nei secoli, ma anche in questo momento, sta devastando le terre dalla quale provengono.
Basta sentire i loro racconti, quello che succede loro.
Queste persone che vengono per cercare una vita degna, provano ad arrivare in Europa ma non possono arrivare con i documenti, con i canali legali di accesso.
Arrivano clandestini, attraversando valichi, fuggono in aereo o in nave, sono costretti a sfidare i confini, il mare, con i loro morti, dopo aver attraversato il deserto.
Questo è quello quello che sta avvenendo in questo momento alle frontiere dell’Europa. In Libia siamo al collasso dell’umanità mentre l’Europa
continua comunque su questa linea.
Alcune delle figure che rappresentano le più alte istituzioni europee hanno celebrato la chiusura dei programmi di salvataggio in mare.
Ma la sostanziale chiusura delle frontiere vuol dire rimandare le persone che arrivano nei luoghi dove vengono torturate.
Questa mattina abbiamo letto che in Libia scritto vengono stuprate e donne e bambini.
L’Europa, grazie ai famosi accordi della Libia, fatti
con l’Italia nel 2017 e rinnovati tutti gli anni, rimanda le persone in quei lager dove i bambini vengono torturati e sfruttati.
Su questo punto abbiamo un’abbondanza di prove, abbiamo testimonianze vissute sulla carne viva e di questi fratelli e sorelle.
Ci sono reportage di giornalisti coraggiosi, come Nello Scavo, abbiamo la parola delle Nazioni Unite e ma ancora non basta evidentemente. Oggi ad opera del governo Europa siamo dunque a celebrare il modello dei re- stringimenti.
Tutto ciò ha portato una persona a dire una frase che vi dico, una frase di vita molto forte e molto vera: “In questi anni, abbiamo pronunciato bellissime parole sui diritti umani e sui valori europei. C’è gente che ha creduto in quello che stavamo dicendo. Ma arrivati lì, ai confini con l’Europa, si sono accorti che quello che fino ad oggi abbiamo detto, erano solo bugie. Facciamo attenzione anche quando parliamo di identità cristiana dell’Europa perché non posso andare in Chiesa, pregare Dio e, sapendo che c’è gente che muore e soffre, non fare niente. Non è possibile”.
Questa frase si potrebbe pensare che l’abbia detta Antonio Vermigli e magari lui sarebbe capace benissimo di dirla.
Ma, invece, questa frase non l’ha detta Antonio ma il cardinale Jean- Claude Hollerich, presidente della Commissione degli episcopato dell’Unione Europea e relatore generale del prossimo sinodo dei vescovi.
In questo momento abbiamo una consistente parte della nostra società e anche tanti di coloro che detengono il potere che cadono in queste scelte disumane ma dall’altra parte troviamo una convergenza che va dalla Chiesa a tante perso- ne di buona volontà che camminano insieme e che non vogliono rassegnarsi ma compiere un’opera di resistenza.
Una resistenza che oggi si può fare mettendoci accanto ai veri protagonisti che sono proprio le persone migranti.
È così che nasce Mediterranea, nel 2018, perché appunto in quell’estate, più di tre anni fa, davanti alla situazione che c’era e che non era molto dissimile dalla situazione che abbiamo oggi, c’erano alcune persone che non riuscivano a dormire la notte.
Persone che sentivano dentro di loro il peso di quanto avveniva intorno e che non potevano stare ferme davanti alla tragedia di quanti venivano a lasciati annegare in mare.
Da quanti venivano respinti nei lager.
Così, dopo l’ennesima notte insonne, queste persone hanno concepito questo sogno, quello di prendere una nave, appunto la Mare Ionio e di fon- dare una ONG.
Di fondare Mediterranea, una piattaforma che chiamasse raccolta tutta la società civile, le persone di buona volontà di qualsiasi provenienza sociale, culturale e religiosa.
Abbiamo compreso che solo mettendoci insieme, tutti quanti, possiamo vincere questa sfida che il momento storico ci sta ponendo davanti.
Mediterranea sta andando avanti prevalentemente attraverso le nostre navi ma anche attraverso la “flotta civile”.
Tutti insieme andiamo avanti per compiere queste azioni in mare che si saldano con le azioni in terra.
Azioni ed interventi che vengono realizzate da tante realtà come senti- remo dire da questo palco da Aboubakar Soumahoro della Lega Braccianti e da don Luigi Ciotti del Gruppo Abele, di Libera. Anche loro sono fra le prime tessere di Mediterranea.
Tutti sappiamo che la sfida di Mediterranea è un pezzettino di una sfida complessa che vuol costruire un mondo più giusto.
Sono oramai tre anni abbondanti che la nostra piattaforma esiste, molte vite sono state salvate, recuperate come fanno le altre navi di salvataggio delle ong ma la situazione non è cambiata granché, anzi.
C’è il fango di certa politica e c’è tutto quello che sapete che viene messo in campo, sul come si fa ad andare avanti in mezzo a tutte queste difficoltà. Luca Casarini è stata quella persona che non riusciva a dormire la notte.
Un sabato Luca parlando con un amico decise di prendere una nave.
Ed eccoci qua, eccoci alla domanda dell’arcivescovo metropolita di Palermo, Corrado Lorefice, amico di don Luigi che volle domandare a Luca “come fai ad andare avanti in questa situazione che cosa ti muove?”.
La risposta fu semplice: “Quello che mi spinge è quello che mi ha por- tato tre anni fa a fondare Mediterranea. È quello che ogni giorno sostiene il nostro impegno ed è il fatto“, dice ancora oggi Luca “che nelle mie viscere e nelle nostre viscere, dentro di me, dentro di noi, sento il grido degli “altri”, sento le loro sofferenze e le loro speranze.
Sento le loro angosce, i loro dolori mi danno la forza per andare avanti, sempre e comunque, perché mi fanno capire che la mia stessa vita troverà pienezza, troverà senso, pace e gioia nell’incontro con queste persone”.
A questo punto l’amico di don Luigi, Lorefice dopo che Luca gli ha detto gli ha risposto, dice: “Grazie perché tu, Luca, mi stai dando una grande testimonianza di Vangelo. Per chi è credente ed anche per chi non è credente, per chi non tiene lontano il Van- gelo dal proprio dal cuore.
Se noi apriamo il nostro cuore alle sofferenze e alle speranze delle altre persone saremo portati a metterci in gioco e a rischiare. Potremo anche abituarci alle calunnie e beccarci delle denunce, delle minacce, ma nonostante tutte le difficoltà che incontreremo nulla sarà mai più grande, più forte, della gioia che da il fatto fatto che la nostra vita la mettiamo in gioco, per quelle persone che hanno bisogno e che uno sia cristiano”.
Non si tratta dunque di un dato di merito ma di esperienza per tutte le lotte che noi conduciamo.
Sia che si tratti di una lotta contro la mafia, che siano le lotte nelle campagne, che siano le lotte come per i lavoratori di Gkn, che siano le lotte per aiutare a salvare ad attraversare i confini.
Siamo fratelli, sono fratelli e sorelle, qualsiasi siano le lotte che facciamo e che per quanto possano essere difficili, la gioia può farci veramente fratelli e suo fratello e sua sorella. Dunque chi sta lottando ti dà una gioia.
È una pace che nulla si può togliere o dare. Ciò che sostanzi tutto il nostro agire e per cui continuiamo ad andare avanti. Grazie.
Aboubakar Soumahoro, fondatore della Lega dei Braccianti
Per quanto detto da Antonio Vermigli che nel presentarmi su questo palco ringrazio sinceramente, il merito di quanto faccio va, in realtà, a tante donne e tanti uomini, a tante persone che hanno permesso di farmi raccontare le cose che lui rammentava prima.
Da soli non si riesce e non si può minimamente ambire, proiettarsi ma anche immaginare di avviare dei percorsi se questi non vengono portati avanti con la prospettiva collettiva di un noi dove l’io diventa il relazionale che si mette al servizio con generosità, con altruismo di un progetto ancora più ambizioso; quello del miglioramento della condizione delle persone.
Voglio ricordare quanto diceva uno scrittore ivoriano Jean Marie Adiaffi: “Un popolo che non riesce più ad interpretare i propri segni, i propri miti, i propri simboli, diventa estraneo a se stesso e perde la fede del proprio destino.”
Quante volte noi abbiamo perso la capacità di interpretare i segni che cercano di attirare la nostra attenzione a focalizzarsi su quei drammi, su quei bisogni e quelle problematiche che dovrebbero essere al cuore, al centro del nostro agire.
Nell’era della costante connessione digitale vi è una tendenza che va verso una disconnessione sentimentale perché non riusciamo più a sentire il grido di dolore perché quel grido viene silenziato dall’indifferenza, viene silenziato dall’assuefazione.
Quel grido viene silenziato da “tanto ormai va di moda”, ma quel grido è quello dei precari, è quello dei nostri giovani.
Abbiamo sentito la testimonianza dei lavoratori della Gkn di Campi Bisenzio, ma quel grido è quello di tante lavoratrici e di tanti lavoratori che della parola lavoro, rispetto a quanto scritto e richiamato all’articolo uno della nostra Costituzione, sta più diventando quella variabile che mette in evidenza quanto oggi la nostra democrazia, stia subendo delle ferite.
La qualità della nostra democrazia va verificata attraverso quella del la- voro, di quello che da questo punto di vista, non è quel lavoro che ci da quella serenità quella dignità.
Un lavoro che oggi viene svolto nella costante situazione dell’incertezza non porta a proiettarsi nel futuro, non soltanto dal punto di vista di migliorare le proprie condizioni, ma anche per soddisfare i bisogni dei propri familiari.
Quante persone che hanno svolto un lavoro per 30 o 40 anni e oggi, guardando negli occhi i propri figli, vedono nell’orizzonte l’incertezza e hanno paura, sono preoccupati?
Questo è quello che intendo per i segni della nostra società di oggi.
Quel grido che viene silenziato ma anche la nostra incapacità di sentire quel “silenzio gridante”.
Siamo di fronte alla “disconnessione sentimentale” che non riesce più ad interpretare quel silenzio che diventa espressione di una vergogna che dice che sei un povero, una persona impoverita e quindi ti devi vergognare.
Quante lavoratrici e lavoratori, quante persone, durante questa ondata di pandemia, hanno dovuto subire quelle sofferenze che abbiamo riscontrato?
Quante persone che non sapevano neanche il prezzo di un litro di latte, da un giorno all’indomani, si sono ritrovati nelle condizioni di chi, quel litro di latte, si è sempre ricordato del prezzo?
Quella persona deve così vergognarsi nel dire, anche lei, di non essere più in grado di soddisfare i propri bisogni fondamentali.
Questo a causa di una società costruita su un livello di meritocrazia che in realtà non partiva dalle basi dell’uguaglianza, come richiamato dall’arti- colo 3 della nostra Costituzione, una società che ci ha portato così al tema di cui parliamo oggi.
Quindi, in questo tempo, noi riusciamo oggi, a sentire il “silenzio gridante” o riusciamo ad ascoltare quel “grido silenziato”?
In quale modo noi ci possiamo sentire parte della stessa comunità umana se non parliamo più lo stesso linguaggio, non soltanto nella fratellanza ma nella bellezza della nostra relazione con il mondo, come dice Papa Francesco?
Possiamo sentirci parte della stessa comunità umana quando noi, per la parola giustizia, non diamo una connotazione ancorata alla libertà, alla solidarietà nella fratellanza e se noi, allo stesso tempo nella parola giustizia ambientale non riusciamo a dare la prospettiva che tocchi la giustizia sociale?
Quante persone oggi nel sentir dire giustizia ambientale preferiscono dire vorrei prima di tutto placare le fame, vorrei innanzitutto avere dei mezzi di trasporto funzionali, vorrei vedere, nel mio quartiere, la possibilità per i miei figli di socializzare.
Quindi, ecco, una giustizia ambientale che rischia di diventare per po- chi, un privilegio.
Noi in che modo possiamo dirci oggi espressione di una solidarietà nuova quando tale solidarietà non è nient’altro che una forma di auto assoluzione del nostro agire?
Prendiamo il caso dell’Afghanistan, vent’anni di guerra, di occupazione e non riusciamo ad avviare un dibattito, una riflessione, per interrogarci sul senso di ciò che noi vogliamo chiamare oggi democrazia.
Amartya Sen nel suo libro “La democrazia degli altri”, oppure ancora di più, se vogliamo riferirci a quelli di Nelson Mandela, ci invitano a meditare sul nostro agire.
Questo ci permetterà d’identificarci a partire dal nostro rapporto con l’altro.
Non si tratta di dare dei soldi ad uno Stato vicino all’Afghanistan per dire che abbiamo risolto tutto, non si tratta di continuare a portare avanti le iniziative politi- che, come si è visto nel caso della Turchia, dei rifugiati in Turchia.
Thomas Sankara parlando con i contadini continuava a parlare dell’imperialismo e loro gli chiedevano su cosa fosse l’imperialismo e lui a rispondere “è il riso che state mangiando”.
Il tema non è quello di sbandierare la giusta e doverosa accoglienza che va garantita a tutte le persone. Allo stesso tempo ciò non può diventare, come va di moda oggi, il profugo afgano che consenta di creare una forma di gerarchia.
Un sistema dove si dice che quanti sono impegnati nell’accoglienza, chi salva vite umane, anche sotto le nostre finestre, non va di moda fino a quando non vengono chiamati afghani.
Il tema, piuttosto è chiamarli esseri umani, persone. Il tema è dare dignità al lavoro, ascoltare i nostri giovani.
Per quale motivo non riusciamo più ad ascoltarli e quando li ascoltiamo diventano un peso?
Perché i centri sono diventati dei parcheggi, mentre continuiamo a dire che siamo una civiltà capace di dare un sostegno e interpretare i bisogni delle famiglie?
Ci accorgiamo della velocità con la quale noi stiamo correndo di quando ci si ferma, improvvisamente, a parlare con una persona.
Il corpo è lì ma la mente è già altrove, è già avanti, eppure bisogna saperci fermare. Fermarsi, è meditare, è agire anche interpretando delle nuove basi per i nostri rapporti e questo non può essere tradotto se non a partire dalla capacità nostra di individuare un nuovo paradigma.
Un modello economico al servizio dell’essere umano e della persona. Qui vedo amministratrici e amministratori; quante volte i bisogni pressanti dei cittadini e delle cittadine che arrivano, ogni giorno, in quelle vostre stanze, si scontrano rispetto alla capacità di disegnare una società, una città diversa?
Chi soffre di allergia a causa di una pianta è portato a prendere delle precauzioni, allo stesso modo l’attuale paradigma economico è fondato sullo spirito dell’avidità quindi lo sfruttamento è un prodotto naturale da combattere.
Cos’è la povertà, è la povertà materiale delle nostre coscienze dormienti, appiattite?
Sono queste le due dimensioni che dobbiamo in qualche modo cercare di interpretare, abbiamo sentito dire a lungo, qualche anno fa che era stata abolita la povertà ma oggi l’Istat ci dice che ci sono 5.600.000 di poveri.
Ancora di più chi è povero viene colpevolizzato di tutti i mali e di conseguenza dobbiamo abolire il reddito di cittadinanza. Signori miei, uscite da quelle stanze e venite nei mercati popolari ad ascoltare, a guardare negli occhi di chi cammina fra un banco e l’altro, fra chi fa fatica a spendere i soldi perché non ne ha più.
Provate ad ascoltare i giovani e provate soprattutto ad immedesimarvi nei panni di chi non riesce più a soddisfare i propri bisogni vitali.
Tutti noi vogliamo tornare a ritrovare quella dimensione della bellezza della vita ma per averla bisogna calarsi nel fango della miseria e poi risollevarci come un’unica comunità umana. È questa la nostra sfida.
don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera
Grazie a voi, sono tanti anni che c’incontriamo e vi devo dire che alcune parole sono ormai stanche perché rischiamo, purtroppo, di ripeterle. Questo non deve trarci in inganno e anzi dobbiamo tutti avere il coraggio, di avere sempre più coraggio, di osare di più, di non scoraggiarci, di diventare sempre più lottatori per la vita perché lottare per la vita vuol dire dare più dignità, libertà e speranza a tante persone.
Lo so che alcune parole continuiamo a ripetercele ma non stanchiamoci di alzare il tono della voce quando vediamo che la libertà, la dignità di tante persone, ieri come oggi, viene continuamente calpestata.
Lo slogan della Marcia è “Grido della Terra, grido dei poveri” che vuol dire ed è stato detto molto bene che la tutela della natura e la giustizia sociale vanno considerate come un binomio inscindibile, facce di un’unica medaglia che si chiama vita.
Noi, questa sera, siamo qui nel nome della vita, siamo qui per lottare per la vita ognuno fa la propria parte, ma tutti in quella direzione lottare per la vita.
Questa è una sfida che riguarda tutti perché tutto è connesso in questo mondo. Ci sono cose che voi mi insegnate che dobbiamo ripeterle questa sera e cioè che l’uomo e gli esseri umani hanno gravemente alterato il 75% delle terre emerse e il 66% dei mari.
Il Mar Mediterraneo è solo l’1% degli oceani e quando parliamo che gli esseri umani hanno alterato il 66% dei mari allora diventa grave, seria e necessaria la riflessione.
Questo è lo scenario altrimenti non ci sarebbe il grido della terra e il grido dei poveri.
Questo è lo scenario della sesta estinzione di massa ma è la prima provocata dall’essere umano.
Noi stiamo distruggendo la terra, la faccia del nostro pianeta.
Questo è il dato che ci viene consegnato dagli studiosi, dai ricercatori, questo è il dato che noi tocchiamo completamente con mano.
Quando ci viene detto seriamente in modo scomodo, difficile che ogni anno 60 miliardi di tonnellate di risorse del pianeta vengono sottratte, di- strutte, inquinate non ci può non essere che un sussulto di conoscenza, di maggiore consapevolezza e di responsabilità da parte di tutti.
Non è possibile che diventiamo indifferenti perché sono troppe le perso- ne superficiali che non prendono coscienza che questa considerazione.
Siamo di fronte alla sesta estinzione di massa e lo ripeto, la prima provo- cata dall’essere umano, stiamo distruggendo noi la faccia del pianeta.
Voi lo sapete molto bene e la nostra vuole essere una riflessione anche perché la fame è fortemente aumentata e lo è sempre di più nell’arco degli ultimi anni mentre ciascuno di noi ha cresciuto del 15% il consumo delle materie prime della Terra.
Se è così io respingo che si parli di transizione ecologica e perché transizione da che cosa?
Forse il paradigma che c’è stato ricordato noi non lo possiamo accettare perché quel paradigma tecnocratico è quello che ha creato povertà, disuguaglianze, ingiustizie; è un sistema che ha calpestato la dignità e la vita di tante persone.
Non è dunque transizione ecologica, proviamo a recuperare quello che Papa Francesco ci ha detto detto come conversione ecologica e non una transizione con paradigma che ha creato questi disastri, queste fatiche, queste sofferenze.
La conversione ecologica verso un’ecologia integrale, per salvaguardare il pianeta Terra e allora l’ecologia è ecologia che il Papa ha voluto in quell’en- ciclica Laudato sì che deve diventare laudato qui!
Dobbiamo fare in modo di tradurre tutto questo e di tradurlo veramente mentre ci viene ricordato che l’ecologia studia la relazione fra gli esseri vi- venti e l’ambiente in cui si sviluppano.
Qui c’è un aspetto importante che voi conoscete e che noi dobbiamo fare il nostro che l’85% della Terra è costituito dalla specie vegetale e solo il 3% dagli esseri animali, dagli uomini e dalle donne.
Noi siamo solo il 3% sulla faccia del pianeta questo è importante che ce lo diciamo e che lo sottolineiamo.
L’85% è costituito dalle speci vegetali allora va preso in maggiore considerazione l’intelligenza vegetale non limitandoci alla sola intelligenza ani- male, allora torniamo a prenderci cura del pianeta e quindi lottare anche per i diritti dell’ambiente, per i diritti umani e per i diritti della natura.
Guai se non se non lo facciamo e va presa in maggiore considerazione l’intelligenza vegetale non limitandosi all’intelligenza animale.
Il grido della terra questa sera, va aggiunto a quello di questi nostri carissimi amici a cui va attenzione e gratitudine.
Va preso in considerazione tutto questo e l’alternativa. Loro hanno portato il grido, il loro vissuto, le loro esperienze di cui io sono grato.
Per ascoltare il grido della terra occorre una sensibilità, una grande sensibilità che da troppe parti abbiamo perso perché c’è un deficit culturale, educativo, politico ed etico nel nostro Paese.
Molti di noi sono andati a firmare, ben 27 milioni di italiani hanno votato e due sentenze hanno ratificato quel referendum perché l’acqua in Italia non venga privatizzata ma resti un bene accessibile a tutti, perché sia un bene universale.
Oggi, c’è solo una città in Italia che ha fatto questo, dopo un referendum e due sentenze.
Allora si incominci anche a casa nostra ad applicare tutto questo perché anche qui viene calpestato l’ambiente.
L’acqua è un bene di tutti e allora bisogna incominciare a ribadirlo umilmente, vi prego, in casa nostra, quel grido della Terra. Allora passiamo al grido dei poveri, c’è il diritto alla vita.
È il diritto fondamentale, è quello che rende possibile tutti gli altri diritti.
Quei diritti, m’insegnate, significano riconoscimento giuridico di uguale dignità di tutte le persone.
Ma non c’è il vaccino per tutti, l’Europa e gli Stati Uniti hanno gestito, al momento attuale, il 75% dei vaccini e l’Africa solo l’1% e noi stiamo lottando, per un atto di civiltà e di amore, di giustizia, noi stiamo lottando perché sia veramente accessibile e disponibile a tutti.
Avete sentito che anche l’Europa, l’Occidente ha dichiarato che questo è giusto, ma i nostri Paesi, l’Unione Europea, ha dichiarato che è giusto fare questo ma quei provvedimenti necessari, perché tutto questo si possa realizzare, non sono stati messi ancora in campo.
Allora, scusate, abbiate pazienza, c’è una parola una che diventa importante nelle vostre conoscenze ma che deve alzarsi rispetto alla politica, non solo in casa nostra ma nella visione più ampia.
Qual’è questa parola è la parola urgenza. È urgente tutto questo.
Il virus ci ha mostrato che gli esseri umani sono interconnessi, interdipendenti, ci ha dimostrato ancora una volta che il bene del singolo è il bene di tutti.
Voi lo sapete che mentre nel 2020 abbiamo pianto i nostri morti per il COVID, abbiamo toccato con mano la generosità stupenda di tante persone, dei medici, degli infermieri ma tutto quello che è scattato nelle nostre città e nei nostri paesi per andare incontro alla fragilità, alle povertà, alle solitudini delle persone, ebbene sì, mentre vogliamo ricordare le cose belle, importanti, positive che dobbiamo riconoscere, sostenere e incoraggiare in quegli stessi mesi, non dimentichiamolo, i morti “ufficiali”, per fame del mondo, sono stati 3 milioni e non ci possono essere i numeri “ufficiali”, ve lo dico io che nella Costa d’Avorio dove siamo come gruppo Abele, in quella stupenda terra, se muore qualcuno, in quella statistica non ci rientrerà mai.
Mentre noi piangiamo i nostri morti, nel mondo, tre milioni di morti “ufficiali” per fame, mezzo milione per aids e altre migliaia di persone per le malattie e per quell’acqua inquinata, violentata che crea altre malattie e nuova morte.
Mi ha fatto piacere sentire qui, dal palco della Marcia, un dato che graffia dentro le coscienze e mi ha fatto piacere sentirlo perché vuol dire che tocca tutte le nostre coscienze; ogni minuto che passa, lo sapete, muoiono 7 o 8 bambini e sono 5 milioni le persone, sotto i cinque anni, morte l’anno scorso.
È un dato che si ripete, sono parole stanche, ma continuiamo ad alzare la nostra voce, non dobbiamo stancarci, non ci sono solo parole ma gesti, di azioni, d’impegni, di metterci di più e veramente la nostra faccia.
C’è un amico che se ne andato tanti anni fa, un profeta, pensate nel 1992, un santo un amico per molti di noi, Don Tonino Bello.
Nel 1992 disse parlando dell’Europa, Lui, vescovo di Molfetta e anche presidente di Pax Christi, il movimento per la Pace, disse parlando dell’Europa che era preoccupato.
Vedeva una politica ridotta a regolatrice di interessi e intravide lo “sviluppo” di una Europa “cassa” comune e non “casa” comune, è quello che avviene oggi. Faccio fatica a dirlo, ma lottiamo perché non sia così.
Dobbiamo avere un atto d’amore verso il nostro Paese e augurarci che non sia così anche per l’Italia e incoraggiare le cose positive anche verso l’Europa che deve rimettere insieme le diversità dei Paesi in un’unità che riporti al centro la persona e i suoi bisogni fondamentali.
Oggi l’Europa pare diventata molto “cassa” comune e poco “casa”, quindi più di mercanti che di fratelli.
Abbiamo bisogno di fare più casa comune, l’Italia è una piccola cosa ma dobbiamo adoperarci per quel sogno dei fondatori di un’Europa vera.
Amici, se la persona umana conta, allora s’è più importante di ogni cosa, non possiamo più continuare a sostenere, ad accettare, a difendere un sistema dove le cose contano più delle persone.
Allora, com’è possibile che non si riesca ad avere lo Ius soli nel nostro Paese?
È una vergogna e mi ha fatto molto piacere che tu poco fa, ( rivolgendosi ad Aboubakar Soumahoro, presente sul palco della Marcia ndr.) hai fatto un passaggio ed hai detto, parlando dell’articolo tre della Costituzione, hai ricordato la “nostra” Costituzione.
Non mi è sfuggito questo passaggio e poi tu hai detto di essere milanese.
Penso a queste migliaia di ragazzi che sono cresciuti qui, ci pare che sia un Paese civile che non da questo riconoscimento giusto, dovuto?
Le forze di sinistra abbiano il coraggio, magari si perde il consenso, ma di fronte alle proprie coscienze, si guadagnerà di più e dopo.
È una vergogna, abbiamo “bisogno” di migliaia di bambini e di ragazzi.
Invece tutti a dire bravi con le medaglie d’oro a quelli che sono stati poi riconosciuti cittadini italiani “dopo”.
Poi abbiamo avuto i truffatori che sono andati a Perugia a fare degli esami per avere diritto di
poter giocare in Italia nelle squadre di serie A.
Questo è stato possibile ed i gradassi gli abbiamo visti ed invece c’è una marea di persone che chiede da anni un sistema, un metodo.
Io mi domando, adesso e sono parole stanche che ripetiamo, non mandiamolo a dire, voglio anch’io esprimere non la solidarietà, io non esprimo la solidarietà, sarebbe troppo facile perché tutti esprimono solidarietà.
Dovete invece sapere, anche se siamo tutti piccoli e fragili che lotteremo al fianco dei lavoratori, per tutti, lo facciamo, continueremo a farlo (rivolgendosi questa volta ai rappresentanti presenti, del Collettivo della Gkn impegnato nella lotta in difesa del posto di lavoro ndr.).
Ma questa è una lotta che deve vederci tutti più uniti è una delle più grandi ferite che oggi viviamo nel nostro Paese e quindi voi, amici della GKN che ho conosciuto questa sera, abbiamo letto nella cronaca che abbia- mo aiutato ognuno come può, ci impegneremo a non lasciarvi soli.
Vi sosterremo, non sappiamo come, però non vi lasceremo soli.
Ecco, allora amici, siamo un po’ tutti stanchi di troppe affermazioni di principio perché di parole ne troviamo tante nei discorsi del nostro Paese, ma che poi non trovano riscontro nella vita.
Mi permetto di dirlo a me, adesso e di gridarlo ancora una volta davanti a voi, “insorgiamo” per piacere, insorgiamo. Quando vengono violati i più elementari diritti umani, in ogni angolo del mondo, dobbiamo insorgere e non stare alla finestra. Siamo fin troppo tiepidi, non dico che dobbiamo fare chissà che cosa e che tutti dobbiamo avere il medesimo impegno, ma una spinta di più deve essere data, per piacere.
Se poi qualcuno ha qualche “lira” le faccia avere a Don Mattia Ferra- ri (intervenuto anche lui dal palco della Marcia, ndr) perché queste ONG vengono criminalizzate, “ritardate”, giudicate perché scendono in mare per salvare la vita delle persone.
Sono una vergogna tutti questi meccanismi messi in campo per ostacolarle.
Vi prego, è in gioco la vita.
L’appuntamento di questa sera è l’appuntamento per la vita, per riempi- re la nostra vita di vita e per spendere un po’ della nostra vita per dare vita a tanti altri.
Allora siamo un po’ stanchi di far appelli pur necessari e non c’è giorno che alziamo la voce per farli. Sono anche quelli sono necessari.
Non è più possibile concepire una società in cui le risorse sono nelle mani di pochi ed i meno privilegiati sono costretti a raccogliere le briciole e fare genuflessioni.
Noi li vediamo, anche i poveri di casa nostra che sono costretti a fare le tante genuflessioni. Abbiamo un mondo ch’è sempre più a doppia corsia.
Voi lo sapete molto bene, perché in questo dato lo si dice, il patrimonio netto dei miliardari del mondo, durante le “giornate” della tempesta del COVID ed è dato ufficiale, i più ricchi hanno accumulato al giorno, 5 miliardi di dollari.
Ogni giorno cresce il patrimonio delle persone più ricche.
Noi vediamo, invece, dall’altra parte la sofferenza e la fatica delle perso- ne più povere.
Sì, un mondo a doppia corsia ed anche in casa nostra tocchiamo con mano la fatica di tante e di tante persone.
C’è un altro elemento molto importante e vedo i sindaci e personalmente mi fa piacere ringraziarvi perché siete qui. È una bella testimonianza perché danno un segno che sono veramente nella pancia dei problemi della gente e voi mi insegnate che la politica è proprio dedita ai bisogni della comunità.
Quindi è bello vedere gli amministratori che vivono con intensità tutto questo ma ne abbiamo anche altri che vivono un divorzio fra l’etica e la politica e se la politica è lontana dalla vita concreta delle persone, dai poveri, dagli ultimi, dalla strada, la politica non è politica, è un’altra cosa.
Grazie a tutti voi che rappresentate questa sera la vera “politica” che mi permette di dire che l’impegno per il sociale non è un costo ma è il più grande investimento. Non dobbiamo guardare al sociale come un mondo a parte, uno tra gli altri, ma dobbiamo guardare al sociale per portare le pro- pensioni politiche, i servizi, le presenze nei territori
Un’altro aspetto, mi permetto di dire che l’Italia, in questo senso, è in guerra. Nessuno si stupisca nel dire questo perché la guerra, oggi, non si fa solo in modo diretto con le armi ma si fa con un sistema economico, come Papa Francesco ci ha ricordato, ingiusto alla radice.
Un sistema che seleziona, allarga le distanze economiche e sociali in nome del profitto che toglie dignità a milioni di persone, ma occhio, quando il valore del denaro è superiore al valore della vita si è già in stato di guerra.
Il mio Paese che amo, vive lo stato di guerra perché è un Paese che ha milioni di persone in povertà asso- luta, perché prima del covid era già all’ultimo posto in Europa per la povertà educativa, agli ultimi posti per la dispersione scolastica.
È un Paese che vive una condizione di estrema fragilità.
Dico in guerra in questo senso perché è una guerra non dichiarata e perciò ancora più pericolosa, subdola, ipocrita e silenziosa.
Abbiate pazienza di un Paese che da 200 anni ha la presenza della mafia, nonostante l’impegno, il lavoro, il sacrificio di tanti, noi continuiamo a parlarne come di un Paese che vive ancora sotto la mafia.
Allora dobbiamo risvegliarci, è necessario uno scatto della mente, da parte di tutti.
Manca ancora una parola mentre c’è chi parla di guerra contro i virus perché troppi hanno taciuto e continuano a tacere di fronte alla guerra, alle guerre che continuano spargere sofferenza nel mondo.
La guerra è un tema quasi assente dalla riflessione pubblica ma che di fatto continua a condizionare in mille modi la vita di milioni di persone.
Ci siamo dimenticati che in questo momento ci sono 20 guerre in corso e forse molti si sono dimenticati che la guerra nello Yemen, in cinque anni di combattimenti, ha portato 250.000 morti e 20 milioni di persone ridotte alla fame.
Com’è possibile? È quello che sta succedendo in altri Paesi che sono in guerra di cui non si parla o se ne parla solo quando ciò tocca un po’ i nostri interessi o tocca la vita di persone a noi care. Quando, 20 anni fa, eravamo a Genova, a quel G8, non era il “no global”, non avevamo detto solo dei “no”. Noi dicevamo dei “no” a quel sistema ch’è quello ci siamo ritrovati vent’anni dopo davanti agli occhi di tutti. Avevamo denunciato, allora, quel sistema e va ricordato che proprio pochi giorni dopo c’è stato l’11 settembre e voi ricordate benissimo, che da lì è cominciata quella guerra infinita, voi ricordate quando siamo scesi sulle strade, due anni dopo, per dire “no”, in centodieci milioni di persone, c’era movimento, contro la guerra nell’Iraq, un grande movimento, per dire basta.
Noi avevamo detto cose per costruire un mondo diverso, dobbiamo ripetercelo questa sera e allora di fronte a milioni di profughi noi dobbiamo agire, esserci, impegnarci, non dimenticare che sono persone condannate a vita dal proprio luogo di nascita.
Il loro migrare è spesso una deportazione indotta che produce Olocausto che si è consumato e si consuma sotto gli occhi del mondo.
C’è un’emorragia di umanità, ma state attenti, dobbiamo lottare in difesa dei diritti umani, universali come la libertà di espressione, è intollerabile la detenzione di Patrick Zaki e non sono perdonabili le menzogne ed i silenzi sull’omicidio di Giulio Regeni.
Il fatto più grave è che quel regime è sordo ai diritti umani ma è un regime molto sensibile ai rapporti economici e di potere.
È un regime dittatoriale e noi siamo complici.
Scusate, l’ho detto prima che siamo in guerra, noi siamo complici di tutto questo perché nel 2020, l’Italia, ha incrementato la vendita di armi all’Egitto. L’anno scorso ci sono stati 891 milioni per vendita di armi di armamenti e c’è una commessa di fase di previsione per 9 miliardi nei prossimi anni.
Voi capite che questa è una violazione, anzi la negazione di un principio fondamentale della nostra democrazia che dice di non fare affari con i regimi totalitari.
Ecco perché non possiamo tacere. Intanto la guardia costiera libica, con le varie coperture, continua a essere in parte criminale e noi proseguiamo a foraggiarla e l’Europa paga la Turchia in mano al dittatore perché tengano alcuni milioni di profughi fuori dall’Occidente.
Ma vi pare che sia possibile tutto ciò?
Devo dire che proprio in Egitto, nel 2013, gli omicidi di massa sono stati 3885. Tutte persone che sarebbero state uccise dalle forze di sicurezza. Le persone condannate a morte, in Egitto, sono state 2437, di cui 1884 attraverso processi collettivi, almeno 763 persone sarebbero morte in regime di detenzione per torture, negligenza o uccisione diretta. Questo è l’E- gitto che noi “forgiamo”, questi sono i dati degli organismi internazionali seri. Ecco perché mi sono permesso con fatica e sofferenza di consegnarli ai media perché, anche noi, rischiamo di essere un po’ travolti da troppi fatti drammatici.
Allora forza amici perché ciò che non si rigenera, degenera.
Dobbiamo rigenerarci tutti per non degenerare e farlo come movimenti, come associazioni ma anche come persone.
Dobbiamo farlo insieme, vi prego, occorre disinnescare la miccia della fragilità, del disorientamento, la miccia della paura, della rassegnazione e della delega.
Dobbiamo riportare al centro della società i valori positivi, profondi che ancora sono presenti. Occorre agire tutti insieme, ognuno per la propria parte di responsabilità.
È necessario un cambio di rotta rispetto alla direzione attuale nella chiarezza che senza responsabilità attiva non è dato il futuro.
Allora forza, da parte di tutti.
Vorrei terminare dando voce a Gino Strada, per me un caro amico con cui abbiamo condiviso tante battaglie.
Proprio con lui e con gli amici di Emergency, nel- la Piana di Gioia Tauro, in un bene confiscato alla mafia, si era aperto uno di quei tanti luoghi per la libertà e per la salute delle persone.
Adesso, amici, voglio dirvi delle parole importanti di Gino, vi affido un simbolo importante che riguarda gli occhi, anche i nostri.
Molti di voi sapranno il simbolo dei monaci antichi era l’uccello notturno dai grandi occhi. C’è chi dice fosse la civetta, forse il gufo, comunque era l’uccello che vede nel buio che canta il suo richiamo quando il silenzio della notte avvolge tutti gli altri.
Prendo questo simbolo dei monaci antichi perché anche noi, nel mo- mento di buio, di covid, di fragilità, di povertà e di sofferenza dobbiamo avere occhi grandi che cercano nella notte per continuare tutti insieme il nostro cammino. Gino Strada, ecco le sue parole che vi consegno perché, se lui fosse qui, le avrebbe dette a voi:
“Ci sono vite immense, inestimabili, vite che ispirano migliaia di altre vite. Vite che ci fanno capire quanto l’essere buoni e il voler costruire il bene sia l’esatto opposto dell’essere passivi e neutrali. Vite che ti dicono tutti i giorni di spenderti, di agire, di schierarti a favore del Bene. Vite che sono modelli a cui tendere che tanto lo sai che non ce la farei mai ad avere lo stesso coraggio ma almeno sai verso dove devi andare”. Ciao, Gino.