Qualche sera fa un amico mi ha chiesto perché non ho fatto il maestro d’italiano invece che l’operaio. Ovvia risposta è che non ho proseguito gli studi dopo il liceo, non aggiungendo titoli necessari. Altra parte della risposta è che per insegnare ci vuole vocazione e forse bisogna anche essere genitori per avere sulla gioventù un punto di vista più largo del campo di studi. Le cose che ignoro sono innumerevoli, mi imbatto ogni momento in persone che hanno conoscenze specifiche a me sconosciute, addirittura nel titolo. Faccio lo scrittore che non è una somma di competenze ma la riduzione a una sola, il vocabolario, strumento a portata di mano di chiunque.
È l’archivio generale di una lingua, la capacità di esprimere ogni aspetto della vita e del mondo. Da lettore ho saputo che l’intera esperienza umana è stata descritta e resta descrivibile. L’espressione: ”Non ci sono parole per…” è sbagliata. Ci sono parole per. Si può vivere con poco vocabolario, ma perdendo definizione delle cose intorno. Posso entrare in un bosco, attraversarlo, senza conoscere il nome degli alberi. Ma se distinguo le singole specie, i vari legni con i loro usi migliori, non sto solo attraversando un indistinto intrico, ne sto anche leggendo vita e storia. Le mie incompetenze hanno per contrappeso il vocabolario, giacimento e catalogo generale di ogni conoscenza.