Il titolo “Top of the world” è stato tradotto in italiano “Paese dalle ombre lunghe”. La frase interna al libro allude a territori presso il Circolo Polare Artico, dove il sole sfila rasoterra sopra l’orizzonte, proiettando ombre allungate prima di scomparire per dei mesi. Lo scrisse alla metà del secolo passato Hans Ruesch, nome che non si abbina facilmente alla nascita napoletana da genitori svizzeri immigrati sotto il Vesuvio.
Uomo avventuroso, pilota di automobili da corsa, emigrato negli Stati Uniti, amico di Chaplin per la cui difesa testimoniò durante i processi maccartisti nel dopoguerra; pioniere della protezione di animali, battendosi contro la vivisezione. Prima era stato nel Canada del nord abitando con esquimesi itineranti. Ne ricavò il racconto di vite aspre, selvatiche, di usanze alimentari, di credenze, infine dell’impatto con l’invasione delle spedizioni nell’Artico. La storia segue una famiglia con tale precisione dall’interno, da trasmettere una conoscenza fisica diretta dell’ingegno per la sopravvivenza nei territori più ostili da abitare.
È un epico riassunto di avventure di una specie umana accampata su ghiacci, abbarbicata a un suolo precario. È convivenza estrema tra pianeta e ospiti, pareggio realizzato da una comunità capace di prendere e di lasciare intatto, servirsi e conservare. A me che preferisco leggere storie del passato e di luoghi sconosciuti, è capitata la svista di intravedere in quelle vite una profezia circa l’umanità futura.