In aprile la terra butta fuori quello che si è tenuta dentro nei mesi dell’inverno. Spuntano gemme sui tronchi, fioriture trai cespugli, il seminato di autunno affiora in superficie.
L’Ucraina è un’immensa pianura il cui suolo si sta risvegliando. Su di lei erano passati i cingoli dei trattori, seguiti da altri cingolati. La guerra ha attraversato i campi senza conquistarli, lasciandoseli dietro. Oggi i combattimenti si fanno contro, dentro, in mezzo alle città dove ogni casa diventa postazione militare.
Intorno intanto si scioglie la neve sul più vasto granaio del continente Europa. La terra solleva i suoi getti verso l’alto, insieme al sole che a ogni mezzogiorno porta più in su la verticale sopra l’orizzonte.
Il silenzio dei campi è il più opposto a quello delle città svuotate dai fuggiti. Le strade sono servite per andarsene oppure si sono chiuse a trappola con i rimasti dentro.
Il silenzio delle città è funebre, quello dei campi vibra di fervore. Crescono le spighe e si rinforzano col vento.
Raccolto o lasciato agli uccelli, trebbiato e dato alle fiamme, il grano è la più precisa parola di pace pronunciata in coro dalla terra, al di sopra, al di là delle distruzioni.