Il momento è decisivo e pieno di rischi, per l’Italia e l’Europa, che vivono dentro un mondo da mantenere in equilibrio. Una congiuntura mai vista dal dopoguerra che richiede un richiamo alla responsabilità – individuale e collettiva – per una prossimissima scadenza elettorale.
Letta ha provato a comporre visioni discordanti in un unico interesse unitario, che doveva essere funzionale a interessi condivisibili, almeno per quella buona educazione politica che usa il salvagente per salvare tutti, senza appropriarsene come la palla da rugby. “Campo largo” ma de-ideologizzato. De-idoelogizzato? no, mai. Nemmeno per un mese. Nemmeno per non perdere.
Così, meglio perdere per principi che si chiamano perfino “onore”, che di solito è quello delle armi, ma se chiedete al vecchio codice è anche quello storicamente collocato tra le loro gambe. Per fortuna, nessuno aveva parlato di programmi, ancor più difficili del solito in una stagione di crescenti complessità e di contrastante imprevedibilità. Dopo anni di abbandono della scena territoriale e relativa crescita dell’astensionismo. Per un’antipolitica convalidata da social e fake news.e accreditata – per carità, senza volerlo – dalla sinistra. Quieta non movere dentro il Pd che ha fatto congresso nel 2019 solo per eleggere il segretario senza fare i conti con le differenze interne: meglio eliminare i non adeguati anche se Renzi è ancora quello che fa i discorsi migliori in Senato per salvare la sinistra e se ha brutto carattere bisognava accorgersene prima; idem Calenda.
Preferendo (non) risolvere i problemi con le scissioni (perfino Bersani si è creato Articolo 1) e farsi carico degli infidi (e incapaci). Inaudito che, per i voti prevedibilmente transitori, di un M5S, si sia accettato un Conte 1, alleato della destra nel 1918 e della sinistra nel 2019, firmatario di leggi cancellate dalla magistratura, non da lui, pronto solo al Conte 3. Inaudito che per questa scelta politica il Pd abbia votato la diminuzione del numero dei parlamentari mantenendo il bicameralismo e assicurando la propria sconfitta. Errori premeditati – un’aggravante – e non corretti nella successione delle segreterie: Letta fa quello che può. E mette in salvo (?) Casini a Bologna.
Impossibile non citare il Berlinguer che nel 1981 diceva “i partiti non fanno più politica”. E’ un’anomalia se le parole giuste per la società civile che commemorava il 42° anniversario della strage di Bologna (ii cittadini che avevano vent’anni sono i sessantenni di oggi e gli altri non sanno) le pronuncia non la serie dai politici in piazza della Stazione ma l’omelia di un cardinale che oggi, senza pretese clericali, è il più efficace politico di Bologna.
Affrancare in un mese la politica del Pd dai tatticismi – per una persona in situazione normale incomprensibili – quando non solo un partito, ma il Parlamento è a rischio, ma chi è bravo e ha coraggio può trarre opportunità dalle crisi – e in autunno ci attende una crisi ancora più severa – è tardi. Ciascuno, per quanto depresso, deluso, sfiduciato e sempre più abbandonato da chi dovrebbe guidarlo, deve recuperare il minimo di dignità di cittadino/a, continuare a porsi domande da formulare a chi di dovere dopo il 25 settembre, deve capire che per i suoi interessi materiali di italiano/ ed europeo/a il peggio è lasciare che le cose vadano secondo la corrente: c’è la siccità e se il fiume non ha acqua qualcosa si deve rimediare. Non dobbiamo aspettare l’inverno quando qualcuno scenderà in piazza per protestare, ci troverà la polizia e magari non ha votato. Non è più che “lo dice la Costituzione” (Calamandrei era presidenzialista), non è che lo dice la sinistra (quale?), non è che bisogna “stare al centro”.
Adesso tocca dire basta ai magoni e alle querimonie: il latte versato non ritorna nella bottiglia se non si riprende in mano la bottiglia e anche chi è allergico al lattosio va in latteria. Perché deve pensare ai nipoti, non sempre allergici.