Egregi signori, Vorrei conoscere gli obiettivi delle vostre iniziative: state progettando, in intesa tra voi, la terza guerra mondiale o state giocando a chi ce l’ha più lungo?
Perché leggo notizie allarmanti abbastanza inquietanti. A voi non fanno impressione? O ne avete paura?
Lasciamo da parte le guerre in corso nelle zone del mondo che “non ci interessano” perché non si combattono sotto casa; ma sono sei mesi che vi servite dell’Ucraina – nobile causa, non c’è dubbio – per impoverire l’Europa. Avete già prodotto più di 4.00 vittime civili e almeno 50.000 di soldati delle due parti, mancherà l’energia elettrica e avremo un’inflazione molto severe in autunno e resta la preoccupazione della pandemia. Il fronte ucraino pensa di allargarsi alla Crimea (dove eravamo a dare una mano negli anni ’50 dell’Ottocento) e la Bielorussia sembra disponibile non si sa a che cosa.
Intanto Biden pronuncia a giorni alterni parole tipo benzina sul fuoco dedicate a Putin. Poi ha mandato – non dica che ha lasciato una signora andare da sola – Nancy Pelosi a Taiwan. Dove, allo stato, i problemi sono i chip, non la Cina. Però la Cina – saggezza più millenaria della nostra – sa di essere già la nuova “grande potenza”, ma sa anche di vincere se arriva, con o senza la via della seta, ovunque nel mondo, soprattutto in Africa che forse non lo sa, ma è destinata a concorrere in potere se l’UA diventerà più unita, purché non venga contagiata della nostra frammentazione e dai conflitti religiosi.
Quanto ai due “colossi” che si sfidano oggi, come non vederne la crisi davvero grave. Il popolo americano non ha capito che può regredire al far west: o salva la democrazia o può cancellare dalla dichiarazione di indipendenza la parola felicità. A meno che la Federazione degli Stati Uniti d’America non diventi l’esempio storico d’uno Stato che, federato sul serio, si comporta davvero come un unico Stato. Idem la Russia, che oggi potrebbe essere tranquillamente inghiottita dalla Cna, ma è ancora così grande da essere diventata capofila del mondo orientale che guarda a Occidente. Mantiene aperto il conto tra Roma e Costantinopoli, che stanno all’origine di una scissione culturale che non deve diventare conflitto d’area. Resta l’Europa, intesa come UE, che è l’area di mercato più grande del mondo e che dovrebbe fare sintesi autorevole della solo cultura globalizzata necessaria al futuro della New Generation Eu, la cultura dei diritti, della democrazia, della pace perpetua.
Dovreste capire che, in questa fase, il potere è più precario che mai e avete responsabilità troppo grandi per i giochini di destrezza, di cui nemmeno siete capaci.
Se guardate Taiwan, l’occhio va al Sudest asiatico. Ci sono isole che la Cina vuole per il proprio scenario difensivo e il povero Abe era andato avanti a progettare, rinnegando la costituzione pacifista del dopo Hiroshima, un grande riarmo della flotta. Vi conviene un Giappone (che sta con gli americani) pronto a rinnegate l’impegno pacifista di Hiroshima e Nagasaki per tornare alla potenza nazionaliste del Mikado? Anche prescindendo dal mare, c’è sempre la Corea del Nord che, tra due fuochi, è la classica pedina del ricatto in tutte le occasioni, nonostante il buon senso della Corea del Sud che conserva sempre sotto il banco lo slogan della riunificazione. E la Birmania? I discorsi sui diritti umani e la democrazia carta straccia, se Aung San Suu Kyi premio Nobel per la pace e vincitrice delle elezioni 2021, è stata messa in carcere dalla giunta militare che ha scatenato una repressione violenta e almeno quattro migliaia di morti?
L’Ucraina ha riportato le isterie tra i popoli nordici, che da sempre sono gelosi della loro autonomia ma, dalla seconda guerra mondiale, hanno imparato in lunghi decenni a vivere bene nella democrazia agevolata dalla diplomazia: non possiamo morire per Kaliningrad. Anche perché i nordici fanno bene ad avere paura dei sottomarini russi, ma sarebbe bene che si sentissero impegnati anche nel Mediterraneo. L?Ucraina ha dato una scossa alle aree etniche che hanno differenze poco compatibili con le attuali frontiere o i loro vecchi statuti, ma se agitano spiriti nazionalisti rischiano di passare dal conflitto alla guerra: nel Caucaso, nei Balcani, verso quell’Oriente che diventa Medioriente e, se pensiamo all’Afganistan e all’indecoroso abbandono ai talebani, ci porta verso aree dove la guerra abita stabilmente i territori e la gente – gente con gli stessi diritti di sopravvivenza di tutti noi – muore. Erdogan si atteggia a mediatore ed è diventato interlocutore necessario per risolvere problemi che nessuno in Europa ha cercato di tamponare attivando le risorse diplomatiche. Erdogan trae vantaggio dall’opportunismo generale e cerca di espandere la sua ambizione di musulmano che vuol restaurare il dominio della Sacra Porta e, mentre un’intesa con l’Arabia Saudita gli frutta un consolidamento delle finanze precarie, l’interesse sulle risorse di gas e petroli attorno a Cipro e in altre zone del mediterraneo, gli appoggi divisivi in Libia e nei confronti dei curdi, il ricatto latente sull’invio dei migranti lo rendono un pericolo pubblico di cui non vi libererete facilmente. Giustamente la questione israelo-palestinese resta marginale, anche se i diritti dell’uomo e quello dei popoli sono in default anche dopo il Patto di Abramo.
Se poi volete rischiare una terza guerra mondiale per aprire il futuro alle ben note “ricostruzioni”, piani di sviluppo democratico, monumenti ai caduti e inni alla pace, fateci sapere. Sembra che minimizziate anche il nucleare che, miniaturizzato, può fare un piccolo botto paradossalmente non peggiore di quel che è successo a Mariupol? Non lo confessereste neppure sotto tortura, ma sicuramente è così. Per il resto sperate che sia tutto come nella prima guerra mondiale: ci può essere Caporetto, ma poi il 4 novembre si continua a festeggiare la “vittoria”: quale? Quella che era possibile ottenere al tavolo delle trattative o quella che è stata causa economica e morale che ha portato alla violenza, al fascismo e alla seconda guerra mondiale? Anche Caracciolo ci pensa a “la guerra grande”. Come la grande guerra ‘15/’18. Che pose fine all’impero asburgico, all’impero zarista e all’impero ottomano.